DORA FILIPPONE
Dora Filippone è da anni un'importante figura professionale per la sua specializzazione nell'esecuzione del repertorio d'opera, sinfonico e cameristico in cui la chitarra e il mandolino fanno parte dell'organico. Collabora stabilmente con l'orchestra del Teatro Regio di Torino e con il "Divertimento Ensemble" di Milano, con il Carlo Felice di Genova, l'orchestra Marchigiana, l'Arena di Verona partecipando ad importanti produzioni concertistiche e discografiche.
Ha accompagnato quindi cantanti famosi tra i quali Cathy Berberian, Rockwell Blake, Renato Bruson, Josè Carreras, Luisa Castellani, Angela Ghiorghiu, Philip Landrige, Luciano Pavarotti, Ruggero Raimondi, e molti altri. Ha suonato anche con direttori quali Roberto Abbado, Yuri Ahronovitch, Bruno Bartoletti, Luciano Chailly, Bruno Campanella, Gianluigi Gelmetti, Eliau Inbal, James Levine, Andrea Noseda, Peter Maag.
I suoi interessi spaziano dalla musica antica (è diplomata in musica corale) a quella contemporanea e la sua attività rispecchia la sua personalità ecclettica (laurea presso il DAMS di Bologna) non solo attraverso la sua consolidata carriera di musicista ma anche come organizzatrice di eventi musicali: Hymnen di K.Stockhausen per il Lingotto, "I love Torino" per l'Assessorato al Turismo, ecc. Ha fondato il FFFortissimo e il PPPianissimo Guitar Ensemble e ultimamente Guitare Actuelle.
Ha suonato con Cathy Berberian, Alessandro Specchi, Roberto Fabbriciani, Georg Mönch, Ciro Scarponi, Elena Càsoli, il Quartetto Arditti, il Quartetto Voces, il Quartetto di Torino.
Ha effettuato tournées in tutta Europa, in Sud America, Africa, Stati Uniti, Giappone, Australia, Cina: Centre Pompidou (Paris), Lehman College (New York), Teatro Colon (buenos Aires), Kleine Musikhalle (Hamburg), Gaudeamus (Amsterdam), Settembre Musica (Torino), Teatro alla Scala (Milano), Festival Pianistico di Bergamo e Brescia, ecc.
Il suo repertorio spazia dalla musica dell'ottocento, con particolare interesse per inediti di quel periodo, a quella d'avanguardia. Ha presentato prime esecuzioni assolute o italiane di numerosi compositori italiani e stranieri tra cui Berio, Correggia, Castagnoli, Donatoni, Ferrero, Henze, Maderna, Petrassi, Scelsi, Solbiati e molti altri. E' attualmente titolare della cattedra di chitarra presso il Conservatorio "G.Verdi" di Torino dopo aver iniziato la sua attività didattica giovanissima presso il Conservatorio di Milano.
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Quando hai iniziato a suonare la chitarra e perché? Che studi hai fatto e qual'è il tuo background musicale? Con che chitarre suoni e con cui hai suonato?
La chiave di lettura della mia carriera artistica è quella di saper trasformare degli svantaggi in vantaggi. Ovviamente partendo da uno svantaggio bisogna avere molta determinazione e lavorare il doppio, ma questa è anche una pratica che affina. Ho studiato chitarra privatamente iniziando a 9 anni con un grande Maestro, Ernesto Salio, a Torino. La sua prematura scomparsa, avevo 13 anni, mi ha posto di fronte alla prima grande scelta: la figura di quell'uomo, ineguagliabile didatta, che ha fatto di me una virtuosa, è stato anche tra i molti il Maestro di Maurizio Colonna, mi ha impedito di poter trovare un sostituto suo pari. Inoltre in quegli anni le cattedre di chitarra presso i Conservatori erano pochissime e a Torino non c'era. Fermamente decisa a continuare gli studi musicali ad ogni costo mi sono iscritta alla scuola di composizione, perché l'alternativa era quella di cambiare strumento per entrare in Conservatorio. Così ho intrapreso uno studio folle per me, che l'avevo scelto per ripiego e non per vocazione, per fortuna con maestri impareggiabili, l'ultima grande generazione di musicisti ancorati saldamente alla "tradizione", piuttosto contrari all'avanguardia musicale che incominciava a nascere, ma straordinari per la padronanza della materia e per il metodo d'insegnamento. Sono stati anni pesantissimi il liceo, il pianoforte, la composizione con l'analisi e lo studio maniacale delle forme musicali per poter superare gli esami e arrivare al diploma di musica corale. La chitarra era relegata in un mondo sospeso ma la classe di composizione dove ero entrata era quella di Enrico Correggia, un musicista dotato d'intuito ed intelligenza rari, che in quegli anni ha saputo raccogliere la ribellione artistica che agitava i cuori dei giovani compositori che non volevano più aspettare il termine degli studi per comporre musica propria, ma volevano affiancare allo studio tradizionale della materia la produzione dei loro lavori, per affermare all'interno dell'Istituzione il loro "status" di compositori. Questo fatto, dato oggi per scontato, era allora impensabile e così nacque Antidogma Musica Ensemble e Festival di Musica Antica e Contemporanea presenti a tutt'oggi nel panorama della musica contemporanea, con l'intento "antidogmatico" di far conoscere la musica di giovani compositori italiani e stranieri ben prima della fine degli studi accademici e soprattutto accogliendo qualsiasi forma di scrittura compositiva senza pregiudizi. L'ensemble nella sua forma base era formato da chitarra, pianoforte, flauto al quale si potevano, secondo le circostanze, affiancare altri strumenti.
Da uno scontro generazionale e soprattutto istituzionale, è nata l'esigenza di occuparsi di avanguardia tout-court. E' stato il credo artistico degli "antidogmatici": più l'impresa sembrava impossibile e più ci si cimentava. Il mio esordio con la chitarra è stato sia come esecutrice, che come committente di brani in cui la chitarra era uno strumento obbligato e siccome a quell'epoca era tutto un fermento d'avanguardia, ho lavorato con moltissimi compositori proprio sulla fattibilità della loro scrittura per chitarra.
La prima impresa con la quale ci affacciammo sulla scena internazionale fu la prima esecuzione italiana del “Marteau sans Maitre di Boulez”, al Piccolo Regio di Torino siamo nel 1977! Dopo quel battesimo del fuoco tutto il resto è stata quasi una passeggiata!
Vorrei concludere con quello che Bruno Gambarotta, noto giornalista, ha scritto in un insolito catalogo a cura della Fondazione della Fotografia una delle prime realtà culturali ad essere oggi scomparsa, la quale con straordinaria preveggenza lo aveva dedicato agli artisti della città di Torino nel 1993. Il titolo è abbastanza eloquente e quantomeno, purtroppo, molto attuale “Una razza che scompare”. Ispirato alla campagna fotografica sugli Indiani d'America realizzata da Edward Curtis agli inizi del novecento è una prima ricognizione del territorio culturale cittadino. Le "riserve" metropolitane sono le istituzioni, enti, organizzazioni, associazioni e manifestazioni che segnano e tracciano ormai da anni la città; i capi tribù sono la razza che, solo metaforicamente (purtroppo oggi realmente), scompare. Gambarotta scrisse: “Dora Filippone (Ensemble Europeo Antidogma Musica, dal 1977) Rappresenta una tribù dai costumi severi, quasi una conventicola l'Antidogma Musica, votata alla pratica di autori contemporanei. C'è bisogno anche di loro, soprattutto di loro, per mantenere accesa qualche fiaccola! “
Le mie chitarre sono e sono state:
Chitarra Pietro Gallinotti 1971
Chitarra Masaru Kohno 1987
Chitarra Gaetano Guadagnini 1884
Chitarra anonimo scuola francese fine 1700
Chitarra elettrica Fender Usa Stratocaster
Banjo chitarra
Mandolino Luigi Embergher modello 5 bis 1913
Mandolino Giovanni Kasermann 1928
Mandolino Pasquale Vinaccia 1881
Liuto Jacob van de Geest
Liuto barocco Ricardo Branè
Anche tu una Kohno! Ma cosa avevano di così particolare quelle chitarre e quel liutaio?
Penso di essere stata tra i primi in Italia a comprare la Kohno. Io suonavo su una Gallinotti che ho a tutt'oggi con un diapason di 67 cm. La mia prima esigenza era quella di avere una chitarra che andasse contro tendenza rispetto alla misura del diapason di quegli anni. Una chitarra più vicina alla tradizione della liuteria ottocentesca in un certo qual senso. La mia Kohno è in palissandro jacaranda e soprattutto il suono e gli armonici sono straordinari. Ho viaggiato tutto il mondo con la Kohno e non ho mai avuto problemi. Lo strumento è solido ed in grado di non subire effetti collaterali tipo troppa umidità o troppo secco. E' uno strumento fedele in questo senso, è una chitarra che non ti tradisce mai, appartiene alla cultura giapponese nel senso che ha un fascino particolare oltre ad essere di fattura perfetta. Mi sono fidata del mio istinto quando Kohno era solo un nome come un altro e nulla più. almeno in Italia e di un mio giovanissimo allievo che lavorava presso un negozio musicale, che mi ha invitato a provare lo strumento. Ogni strumento parla a quello che sarà il suo esecutore. Personalmente non ho mai trovato uno strumento per caso: sono loro che hanno cercato me.
So che hai partecipato a delle manifestazioni e convegni per ricordare la figura di Gallinotti, hai avuto modo di conoscerlo? Che persona era?
Ero piccola, avevo 13 anni, quando con mio padre in un gelido inverno in treno abbiamo raggiunto Solero in provincia di Alessandria e siamo stati ricevuti da Pietro Gallinotti. Nonostante il tempo trascorso ho delle immagini molto vive. Pietro era un uomo semplice, quasi irreale nella sua casa bottega, il banco da lavoro, l'odore della vernice, ecc. Mi ricordo gli occhi azzurri, un sorriso buono, la sua capigliatura bianca e quel colore azzurro dei suoi abiti. Il mio ricordo è di un uomo uscito fuori chissà da quale favola, era incorniciato da un'aura di bontà che traspirava da ogni suo gesto e dalle mani che mi avevano colpito moltissimo. Da quelle mani uscivano degli strumenti straordinari e la sua fama non aveva intaccato minimamente il suo stile di vita semplice, quello di un piccolo paese. Era rimasto fermo nel tempo ma questo creava una magia intorno a lui. Evidentemente non potevo a quell'età, essere una sua interlocutrice. Sono già stata fortunata che mi hanno coinvolto e che sono andata più volte a vedere la costruzione della mia chitarra.
Solo qualche anno fa in occasione del convegno che ho organizzato proprio a Solero su Pietro Gallinotti con il liutaio Mario Grimaldi grande studioso di Gallinotti, ho appreso da mio padre una storia curiosa che non ho mai saputo. Gallinotti aveva moltissime richieste e la lista d'attesa era considerevolmente lunga. In più aveva una sorta di fiuto, non potrei definirlo se non così, per cui a qualcuno non ha mai fatto la chitarra, in parole povere non le faceva a tutti, tergiversava, prendeva tempo e alla fine non la faceva. Quando mio padre vestito da vigile del fuoco perché smontando dal lavoro non aveva avuto tempo di cambiarsi mi ha portato per la prima volta da Gallinotti penso che abbia fatto l'impressione di una persona che andava a chiedere ad un grande liutaio una chitarra per la figlia, che era poco più di una bambina, un'incognita dal punto di vista musicale. Cosa potevo garantire io a 13 anni con mio padre vigile del fuoco a fianco e nessun maestro? Infatti molto gentilmente mio padre mi ha confessato che la prima risposta di Gallinotti è stata un no. Di fronte al rifiuto mio padre ha giocato l'unica carta che aveva in mano che era quella di chiedere di ascoltarmi. Infatti io mi ricordo di aver suonato e alla fine Pietro disse a mio padre che per la Dora, così mi ha sempre chiamato, la chitarra la poteva fare in sei mesi!
Ancora oggi la mia Gallinotti è il mio strumento, nel senso che me la sono conquistata le altre invece hanno cercato loro, me.
Ho anch'io una Stratocaster e quel suono … è un qualcosa che credo ormai sia stato inciso nella memoria genetica dei chitarristi, il suono Fender è una specie di archetipo, una timbrica che ha segnato la storia della chitarra elettrica, che modello hai?. Per il resto cosa usi come amplificazione e effetti? Per la elettrica suoni con plettro o con le unghie?
La mia è una Fender Usa rossa. Suono la chitarra elettrica sia col plettro che con le dita. Come sai essendo anche mandolinista l'uso del plettro mi è molto famigliare. L'epoca in cui Antidogma ha fatto molto sperimentalismo è stato il decennio 1980/90. I compositori giovani di quel periodo come Enrique Macis, Daniel Teruggi, August Mannis legati al GRM di Radio France a Parigi erano molto attratti dalle manipolazioni live del suono. Così noi per l'ensemble abbiamo comprato molte delle apparecchiature della Yamaha e siamo diventati leader nel settore delle esecuzioni con trasformazioni live del suono: infatti in quegli anni abbiamo viaggiato moltissimo. Era un riuscitissimo sodalizio tra il mondo della musica elettronica pura ed il mondo della musica contemporanea. Inoltre tutto ciò si legava benissimo a Scelsi che era per noi una icona, per la sua visione del suono, al quale venivano affiancati i compositori rumeni Costin Miereanu e Horatio Radulescu grandi esploratori e affascinanti manipolatori del suono inteso come un universo sonoro in grado di concentrare nelle sue componenti la propria forza espressiva. Mi sono servita di una pedaliera e del Yamaha DX7 come processore di suoni. Non ho mai abbandonato però l'uso dell'archetto, dei ferri da calza, di bicchieri fondendo lo sperimentalismo fatto di oggetti che venivano usati per ottenere effetti sonori particolari, con gli effetti ottenuti con le apparecchiature.
Personalmente mi sono interessati di più gli oggetti, questo aspetto se vogliamo tra il giocoso ed il surreale mi è appartenuto di più e non ho mai voluto abbandonarlo.
Hai un curriculum semplicemente impressionate, mi ha particolarmente colpito il fatto che hai una grossissima esperienza nel repertorio d'opera, sinfonico e cameristico, sono ambiti poco frequentati in genere dai chitarristi ... come mai questa scelta e come mai la scelta di accoppiare alla chitarra anche uno strumento come il mandolino?
Si potrebbe superficialmente liquidare il mandolino come la caratteristica dell’Italia dopo gli spaghetti e la pizza ma è stato utilizzato più volte nella musica contemporanea. Avendo fondato l'Ensemble Antidogma Musica è chiaro che la musica da camera è stata la formazione per eccellenza, con la quale mi sono esibita, affiancando ad essa anche la mia attività solistica incentrata sul repertorio contemporaneo, presentando numerose prime assolute. Se la chitarra incominciava ad affermarsi anche con un consistente repertorio d'avanguardia, per quanto riguardava il mandolino c'era proprio tutto da riscrivere. Il mandolino soffriva ancora di più di una mancata identità non solo nella musica contemporanea, ma era totalmente fuori dai Conservatori, anzi messo quasi al bando. Così quando al Teatro Regio di Torino fu programmato il Don Giovanni di Mozart, il Direttore Artistico della stagione del Piccolo Regio M° Roberto Cognazzo, anche mio maestro di lettura della partitura, mi disse di provare a studiare, visto che ero stata così abile in Boulez, il mandolino e nello specifico la Serenata dal Don Giovanni di Mozart, perché così avrei potuto partecipare all'audizione presso il Teatro Regio, per quella parte. Non mi sono mai tirata indietro è così senza sapere assolutamente nulla, ho comprato un mandolino, un metodo, fatto le fotocopie della Serenata del Don Giovanni e completamente da autodidatta, mi sono presentata all'audizione con il Direttore tedesco che dirigeva l'opera, con Ruggero Raimondi giovanissimo al suo esordio e sono stata presa. La mia carriera di mandolinista è incominciata così con il Teatro Regio di Torino, ruolo che ricopro a tutt'oggi anche come chitarrista, coronato dall'incisione per la Deutsche Grammophon di un CD di arie mozartiane cantate da Ildebrando D'Arcangelo con la Direzione di Gianandrea Noseda. Dopo lo "shock Mozart" ho continuato a studiare il mandolino e causa l'alone di mistero in cui versava lo strumento ho cominciato a cercare nei Fondi delle Biblioteche Italiane i manoscritti settecenteschi, così come dagli antiquari gli strumenti antichi che possiedo. Così mi sono appassionata allo studio e alla scoperta di rari ed inediti per mandolino, ma ovviamente mi imbattevo anche in quelli per chitarra. Sono stata per esempio la prima a capire e a pubblicare sul Fronimo il catalogo del Fondo Noseda della Biblioteca del Conservatorio "G.Verdi" di Milano per quanto riguardava i brani per chitarra o con chitarra, sostenuta da Ruggiero Chiesa in questa impresa, perché è stato fatto tutto a mano con macchina da scrivere, senza computer e quant'altro.
Collabori stabilmente con il Divertimento Ensemble, ci vuoi parlare di questa esperienza? So che avete suonato pezzi importanti di Kagel, Maderna, Schoenberg e anche The Yellow Shark di Frank Zappa …
Il Divertimento Ensemble è stata senz'altro l'altra formazione di punta con cui ho avuto l'onore di lavorare e lì è iniziato un sodalizio artistico e d'amicizia con Elena Càsoli in quanto con questo Ensemble ho collaborato come mandolinista. Col Divertimento è stato un altro modo di affrontare alcuni tra i brani più importanti della letteratura contemporanea. Anche qui un compositore Sandro Gorli incessante anima dell'Ensemble, anche direttore d'orchestra. Un compositore che indaga e realizza opere di un altro compositore è un angolazione molto particolare per ottenere risultati del tutto inediti. Questa "militanza" come mandolinista con il Divertimento, mentre in Antidogma ho principalmente ricoperto il ruolo di chitarrista, mi ha permesso di affrontare anche con questo strumento alcuni tra i pezzi più importanti della letteratura contemporanea, dalla Serenata di Schoenberg per la serata monografica alla Biennale di Venezia, al Don Perlimplin di Maderna registrato per la Stradivarius con Carlo Cecchi tra gli interpreti, a The yellow shark di Frank Zappa per la Stagione da Camera del Teatro alla Scala che è stata senz'altro una tra le parti più virtuose che ho dovuto affrontare. Tra le esperienze artistiche più interessanti, per l'iterazione tra compositore ed ensemble, c' è "Mare Nostrum" di Maurice Kagel, che è stato presente fin dalle primissime prove, per l'esecuzione alla Biennale di Venezia.
Kagel ha scritto una parte per un solo esecutore, in grado di suonare chitarra, mandolino, liuto e octave guitare. Sono una delle pochissime esecutrici all'altezza della richiesta perché suonare mandolino e chitarra, strumenti totalmente differenti, non è così comune. Dai miei recenti studi questa attitudine, oggi poco diffusa, era prassi nella Bella Epoque dove esistevano Ensemble di mandolini e chitarre, con esecutori che si alternavano tra i due strumenti, fino ad arrivare anche a 192 elementi (Londra 1903 concerto al Palazzo di Cristallo). Questo è un ennesimo esempio di quello che abbiamo oggi perso ed oltre all'approfondita documentazione attraverso fotografie d'epoca e documenti che lo studioso Sparks ha raccolto nel suo incredibile libro "The classical Mandolin" a dimostrazione di quello che sto asserendo, un'ul...