1. REPERTI ARCHEOLOGICI IN PIEMONTE: TRA SERIALITÀ' ED ECCEZIONALITÀ'
1.1. URBANISTICA ED ARCHITETTURA NEL PIEMONTE ROMANO
1.1.1. La conquista romana: le prime esperienze urbane
La romanizzazione del territorio dell'attuale Piemonte coincide sostanzialmente con l'ingresso di una vera e propria civiltà urbana dopo il generale abbandono, volontario o forzato, degli abitanti collinari la cui persistenza avrebbe ostacolato l'opera di penetrazione imposta dalla politica dei nuovi occupanti. I nuovi organismi urbani solo in rari casi sorgono e si sviluppano nelle stesse località dei piccoli agglomerati preromani da loro soppiantati. Infatti, è raro che i resti dei monumenti o delle abitazioni di età romana rivelino la presenza di strutture antecedenti.
La regione, inizialmente abitata dai celti e dai liguri, venne assoggettata dai romani dopo la seconda guerra punica, anche se inizialmente il loro dominio non si estese alle zone protette dal rilievo alpino. Fino all'età graccana il bacino meridionale del Po rappresentò il limite settentrionale della trasformazione urbana, mentre la parte più a nord rimase più a lungo sotto l'assetto socioeconomico delle tribù liguri e celtiche: un'eco di questa realtà si riscontra nel fatto che l'intera area non ebbe, nella successiva suddivisione dell'Italia augustea, un nome che ne ricordasse, secondo le consuetudini dell'epoca, un'antica pertinenza etnica. Infatti, questa parte più occidentale della Cisalpina conservò nel nome di Transpadana la memoria di una duplice condizione di inferiorità: l'assenza di una civiltà urbana e la dominanza celtica.
Durante la dominazione gallica non poterono sorgere e svilupparsi in Piemonte veri e propri agglomerati urbani, a causa delle consuetudini tipicamente nomadi di quelle popolazioni che preferivano insediarsi su qualche altura oppure organizzarsi in strutture di tipo " castelliere". L'urbanistica si afferma subito come il più significativo sintomo della conquista romana, tuttavia in quest'area fa il suo ingresso un altro modello di penetrazione della struttura urbana, quello che in epoca medio-repubblicana era stato incarnato dalle colonie latine come avamposti: insediamenti avanzati, collocati in territori ostili e dalle caratteristiche funzioni di natura strategica a cui solitamente si affiancavano vaste deduzioni viritane1 di contadini-soldati con il compito di rafforzare le difese di una colonia altrimenti isolata.
Il quadro in cui si presentava la regione nell'89 a.C, anno della concessione dello lus Latii2 da parte di Pompeo Strabone, era quello di un vasto territorio nel quale si stagliavano unicamente due deduzioni coloniali: quella romana di Eporedia (Ivrea), isolata nel territorio dei Salassi che i Romani ritenevano di grande interesse sia per le ricchezze del sottosuolo sia per il controllo dei passi alpini verso la Gallia; e quella latina di Dertona (Tortona), circondata dalla corona dei centri del Monferrato interessati dalla distribuzioni di terra graccane di Pollentia (Pollenzo), Industria (Monteu da Po), Hasta (Asti) e Forum Fulvi (Villa del Foro). Anche se i dati sulla struttura urbanistica di queste città non sono univoci e certi, è possibile leggere negli impianti un residuo di tradizioni e pratiche più antiche, messe in evidenza dal fatto che le indicazioni sembrino portare verso isolati rettangolari improntati sul rapporto 1:2. In ogni caso, lo sviluppo urbano del territorio era notevolmente arretrato, per non dire inesistente, e negli oppida liguri e celtici non si riscontrava nulla di simile al fervore dei processi di urbanizzazione da tempo presente nei territori orientali.
Solo a partire dal regno di Augusto (25 a.C) è possibile notare segni inequivocabili di una trasformazione che porti a dissolvimento le antiche strutture socio-economiche indigene ed imprima nuovi segni sul territorio. Nel nuovo ordinamento dato da Augusto all'Italia, il Piemonte fu diviso tra regione ligure (territori a sud del Po) e regione transpadana (territori a nord del Po).
Da questo momento in poi le centuriazioni all'interno della campagna si fanno fittissime, comprovando una profonda trasformazione dei rapporti proprietari. Le tappe salienti vanno ricercate nelle periodiche ridistribuzioni delle terre che, confiscate dai Romani già in fase di conquista, erano state gestite in varia forma sia da abbienti ceti indigeni filoromani, sia da potenti possessores romani. A questa profonda riorganizzazione delle campagne corrisponde, ovviamente, un nuovo disegno delle presenze urbane sul territorio ed un rafforzamento della rete delle comunicazioni attraverso il collegamento dei percorsi di pianura, già frequentati da intensi traffici mercantili, con i domini transalpini e la fondazione di alcune tra le principali città.
Dunque, con Augusto si registra il primo effettivo programma di ristrutturazione complessiva del territorio piemontese: nel meridione (corrispondente alla Regio IX - Liguria) si andava sviluppando la lenta ma sicura diffusione del modello urbano, già centrato sulle colonie latine e romane più antiche fondate tra il II e I secolo a.C. e poi gradualmente esteso su gran parte di quel territorio per iniziativa delle elites celto-liguri sotto la spinta dei provvedimenti dell'89; mentre nel settentrione (corrispondente alla Regio XI - Transpadana) introduceva la forma urbana, la cui realtà economico-sociale ed il cui prestigio erano ormai a portata anche delle popolazioni barbariche, sia sollecitando l'emergere di nuove elites entrate nell'orbita di Roma, sia soprattutto avviando deduzioni coloniali con forte valenza monumentale come nel caso di Augusta Pretoria (Aosta) e di Augusta Taurinorum (Torino) fondate nel 25 a.C. al termine delle vittoriose campagne contro i Salassi.
Queste due colonie rappresentano un modello tipico dell'assetto urbanistico e monumentale delle colonie romane delle regioni occidentali, elaborato tra la fine del Ili e gli inizi del II secolo a.C, la scacchiera ad isolati tendenzialmente quadrati, sperimentato da quel momento in poi in tutto l'impero romano. Le moderne città di Aosta e Torino ripetono le grandi linee di quell'assetto regolare, anche se appare chiaro che nel capoluogo piemontese (a differenza di Aosta) la regolarità dell'impianto, e cioè l'esatta ripartizione delle misure dell'isolato, non sarebbe stata sempre rispettata. In ogni caso il carattere simbolico dell'apparente3 derivazione di questi impianti dalla planimetria degli accampamenti militari di epoca romana è indubbio. Esemplare risulta, sotto questo profilo, l'organizzazione di tipo castrense della pianta di Aosta, più di quella di Torino.
Come viene confermato dalla dislocazione delle porte urbiche, il cardine massimo non è situato nella metà esatta del decumano massimo, bensì a tre quarti della sua lunghezza, con un impianto che veniva teoricamente a contare 64 isolati come nei veri e propri castra militari noti in molte parti dell'Impero. Il foro non occupava il centro esatto della pianta, ma la metà del quadrante nordoccidentale affacciata verso il centro, mentre nel quadrante nord-orientale si collocavano le terme principali della città e gli edifici per lo spettacolo: le prime verso il centro nelle adiacenze della piazza forense, ed i secondi verso i margini in prossimità della cinta muraria. Come con molta probabilità accade in tutto l'Impero, nelle città romane del Piemonte gli anfiteatri occupano posizioni marginali a causa della minore maiestas dell'edificio e della vicinanza con la struttura del campus, il campo di esercitazione militare della iuventus locale.
In Piemonte, quindi, i centri storici di molte città moderne hanno conservato pressoché intatto il tessuto urbanistico antico anche attraverso il Medioevo e l'età Barocca. Un'indagine della loro topografia può permettere di distinguere tre tipi di impianto che rispecchiano lo sviluppo storico edilizio dei singoli centri.
Il primo comprende le città di origine preromana che hanno conservato nel piano distributivo le caratteristiche dell'aspetto originario (vedi Figura 7). In questo caso la romanizzazione dimostra la sua impronta soltanto in una certa rettifica o regolarizzazione della rete viaria interna, adattando la distribuzione e la dislocazione delle zone di maggior concentrazione pubblica alla natura dei luoghi. Un esempio di questa tipologia è rappresentato da Segesium (Susa), oppidum di origine celtica caratterizzato originariamente dal nucleo della reggia di Cozio.
Il secondo comprende le fondazioni romane venute a trasformare agglomerati più antichi (vedi Figura 8). Un esempio ne è Eporedia, fondata dai Romani intorno al 100 a.C. con il duplice intento di stabilire un controllo dei passi alpini e di creare un avamposto lungo la via delle Gallie verso i Salassi. La città sorse su un insediamento preesistente, probabilmente di origine gallica, di cui fu cancellata ogni traccia per sostituirvi un impianto che rivela l'intervento dei Romani. Lasse romano, costituito dall'attuale via di Vercelli, attraversò l'antico agglomerato urbano, che conserva il ritmo imposto dalla natura del terreno, dando origine ad una serie di direttrici ai cui incroci sorsero edifici più rispondenti al costume ed alla politica romana. Così dove il cardo massimo incrociava il decumano fu ricavato il teatro, mentre un anfiteatro trovò sede ai limiti del suburbio lungo la strada per Vercelli. La città venne anche circondata da una cinta difensiva che nel lato Sud correva lungo la Dora.
Il terzo tipo è rappresentato dalle nuove fondazioni, create ex-novo dai Romani secondo il consueto piano regolatore ispirato alla distribuzione dell'accampamento militare. Naturalmente rispondevano sempre alle esigenze strategiche alla base dell'attività dei conquistatori, ma la loro realizzazione fu imposta anche dalla necessità di dare una sistemazione stabile ai veterani delle guerre, offrendo loro una casa per ospitar...