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La vera casta
Informazioni su questo libro
La "vera casta" è rappresentata, secondo l'autore, dall'apparato burocratico statale. Il presente saggio cerca di fornirne le ragioni e le conseguenze.
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Informazioni
Condizioni di lavoro a confronto
Al mio paese c’era un cotonificio (ora non c’è più) che, dando lavoro a molte persone, assicurava un reddito a due famiglie su tre.
Quando un operaio andava in pensione, la ditta si sentiva in dovere di assumere il figlio.
Le poche volte in cui ciò non avveniva era perché il figlio non aveva i requisiti minimi necessari.
In questi casi interveniva il Sindaco che, per non lasciare il ragazzo disoccupato, lo mandava a sco-pare le strade o tagliare l’erba al cimitero.
Un impiego nel cotonificio rappresentava la massima aspirazione per tutti. E ciò nonostante le condizioni di lavoro non fossero particolarmente allettanti.
Basti pensare che negli ultimi tempi, con l’introduzione dei telai a controllo numerico, una sola operaia aveva il compito di controllare il corretto funzionamento di 12 telai, in ciò coadiuvata da un “assistente tecnico”, che però di telai da controllare ne aveva 24.
Lo so perché uno di questi assistenti era mio amico.
Qualche giorno fa, prima che la mamma del piccolo Lorys venisse arrestata, la sua casa fu perquisita dalle forze dell’ordine allo scopo di individuare possibili tracce del delitto.
Finalità doverosa. Ma sapete quante persone si presentarono in contemporanea per quella perquisizione?
Ben quindici.
Ora, immaginando che l’appartamento dei signori Stival sia di cinque vani, siamo di fronte ad una media tre persone per vano, bagno compreso, senza contare quelle già presenti in casa.
A parte il fatto che sfugge alla mia comprensione (e certo anche alla vostra) come si possa effettuare un’efficace perquisizione in queste condizioni di affollamento, è evidente che la Pubblica Amministrazione non può rivendicare, tra i suoi problemi, quello di essere carente di personale.
Come invece fa.
Oltretutto alle quindici persone entrate in casa Stival dobbiamo aggiungere quelle, di numero non inferiore, rimaste fuori per svolgere non si sa quali compiti, visto che tra questi, non si può certo comprendere la guardia ai mazzi di fiori lasciati da mani pietose.
Si tratterà di deformazione professionale, ma io non posso fare a meno, vedendo questi poliziotti, di pensare a quell’operaia del cotonificio.
E, soprattutto, di riflettere sulle rispettive condizioni di lavoro, in cui entrano in gioco, non solo la retribuzione, ma anche la situazione psicologica, come la paura di perdere il lavoro e l’ansia da prestazione .
Preoccupazioni che stanno tutte da una parte, perché solo l’operaia sa che, se non si presenta al lavoro, rischia di perdere il posto e che, se un telaio si ferma mentre lei è in bagno, mette a repentaglio l’intero processo produttivo.
Il carabiniere/poliziotto non ha nessuna di queste preoccupazioni, perché egli sa che la sua assenza non causerà alcun problema, né a lui, né ai colleghi.
Una volta i rappresentanti dell’ordine evitavano accuratamente di essere ripresi dalle telecamere, perché temevano di apparire oziosi.
Ora, ed è tristemente indicativo, non più.
E difatti non è insolito che, alle riprese esterne dei talk show televisivi partecipino, a fine meramente coreografico, decine di carabinieri o poliziotti, cui bisognerà pure pagare gli straordinari, visto che si tratta di riprese notturne.
L’operatrice tessile sarebbe troppo stanca per parteciparvi.
All’operaia del cotonificio debbono ovviamente essere associati, nella similitudine, anche gli operai metalmeccanici che lavorano alla catena di montaggio.
Anche loro, come le operatrici tessili (ed a differenza dei tutori dell’ordine), soffrono della stessa sindrome, perché sanno che, se anche uno solo di loro si assenta, è l’intero processo produttivo che subisce le conseguenze.
Parlo di carabinieri e poliziotti solo perché, in questo momento, essi appaiono più frequentemente sotto i riflettori; o almeno così sembra a me.
Ma potrei benissimo riferirmi ad altri dipendenti dello Stato, come gli insegnanti o gli ufficiali postali.
Nessuno di loro si preoccupa dei disagi che causano alla scuola o all’ufficio postale rimanendo a casa.
Per non parlare dei musei siciliani, dove i custodi sono più numerosi dei visitatori.
Come già detto, i tutori dell’ordine, rispetto agli altri dipendenti dello Stato, hanno solo il difetto di essere tirati in ballo più frequentemente.
Come quando il prefetto di Roma dichiara, senza alcun pudore, che, per consentirgli di fronteggiare le rinnovate insidie terroristiche, il Ministro degli Interni dovrebbe mettergli a disposizione cinquecento nuovi poliziotti.
Sissignore, cinquecento. Come se parlasse, non di uomini addestrati, ma sacchetti di sabbia con cui arginare un fiume.
Al prefetto della capitale non può sfuggire che, in questo caso, la qualità (soprattutto la buona volontà) vale molto più della quantità e che pertanto, più che ad assumere nuovi uomini, egli dovrebbe pensare ad utilizzare meglio quelli di cui dispone.
Per esempio sottraendoli a funzioni puramente decorative, come quella di scortare i politici. Molti dei quali sono solo smaniosi di s...
Indice dei contenuti
- Cover
- Frontespizio
- Indice
- Per cominciare
- Il combinato disposto
- Condizioni di lavoro a confronto
- La dirigenza statale
- Le cause del divario
- La vera casta
- I difetti della casta
- Il destino della casta
- Appendice
- La FIAT se ne va
- La minaccia islamica
- Post Scriptum