Per ora una cosa da nulla
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Per ora una cosa da nulla

Informazioni su questo libro

Un testo critico che, spaziando nella vita di Dino Buzzati e nelle sue opere, ne indaga in modo del tutto originale le sue angosce legate in particolar modo all'idea di malattia che, col tempo, assume aspetti sempre più totalizzanti finendo per divenire costante e "mito" personale e letterario. Originale è anche l'approfondimento, sempre sul tema, dell'attività teatrale dell'autore. Un libro per chi ha amato questo scrittore eclittico e polivalente e ancora lo trova più che attuale.

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CAPITOLO 1
MALATTIA E AUTORE
Il giorno prima di morire Buzzati rilasciò una breve intervista al collega Romano Battaglia. Lo scrittore è veramente in condizioni critiche eppure disserta con razionalità non del suo male, ma del male in ipotesi, di quello che potrebbe attendere chiunque dietro l’angolo e poche pagine dopo, alla domanda “Che cosa stai preparando?” risponde: “Sto scrivendo un libro. Impiegherò molti anni... un libro che parlerà della morte che è lì che ci attende ad ogni ora del giorno e della notte. È un avvenimento imprevedibile (...) Io, per esempio, potrei morire domani”.
1.1 CRONACA DI UNA MALATTIA ANNUNCIATA
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È la sera del 28 gennaio 1972, fuori nevica “in modo strano”31 “la città è ovattata, onirica, surreale”32. In una clinica milanese, stroncato da un male incurabile (lo stesso che aveva posto fine ai giorni di suo padre), è da poco morto Dino Buzzati.
Romano Battaglia, giornalista e amico dello scrittore, ricordando qualche anno più tardi il fatidico giorno fece giustamente presente che si era inesorabilmente manifestato “quel male (...) (che) per tutta la vita (...) in agguato dentro di te, come un gatto selvaggio sta dietro una siepe pronto a saltare addosso alla preda”33.
Questo spettro che lungo i quarantanni di attività dell’artista bellunese con ostinazione pedina l’uomo, l’ossessiona ma lo ispira anche, e gli si presenta e gli sfugge continuamente, come nel racconto Ombra del Sud34 o come nel Colombre35, per alla fine mostrarglisi e fargli provare di persona quel dramma decine di volte rappresentato, non meraviglierebbe se si scoprisse essere il personaggio alla fine palesatosi di una novella buzzatiana o, per meglio dire, il ‘tartaro’ di cui, scrutando il futuro, si attendeva l’arrivo.
Il parallelo tra fiction e realtà è tesi sufficientemente proponibile e del tutto coerente con l’universo del nostro autore, se si parte dal presupposto che l’idea latente di un elemento patogeno in incubazione fu topos costante lunga la produzione dell’artista, più evidente nelle principali opere narrative e in numerose composizioni teatrali, solo meno esplicitata nelle novelle surreali.
Se è stato osservato che Buzzati “pur occupandosi di cronaca, di letteratura, di pittura, di teatro e di musica, ha sempre parlato della morte come autobiografia”36, è corretto anche rilevare che per far sì che si manifestasse, per anticiparla, per evocarla artisticamente, ricorse sistematicamente alla malattia - dove per malattia si intende ogni forma di patologia fisica e mentale -, ottenendo come risultato quello di rimanerne schiavo.
Si consideri ad esempio un articolo del 2 febbraio 1969 intitolato Anima e pugilato, apparso sul Corriere dei Piccoli, giornale al quale l’artista collaborò per un breve periodo con la rubrica I perché di Dino Buzzati. Ad un certo punto, dopo aver spiegato la volontaria esposizione al rischio da parte del pugile, commenta: “(...) e questo il motivo per cui a me fanno molta ma molta più pietà le persone che muoiono di malattie spesso lunghe e umilianti piuttosto che un pilota di automobili, o un campione di sci, o un pugilatore e così via, i quali durante una gara ci rimettono la vita. Dopo tutto era un azzardo calcolato e accettato in partenza”37. Ed esposte varie considerazioni di tipo animalista sulle sofferenze degli animali, giunto a paragonare le morti di un vitello, un maiale, un bue indifesi a quella di uno sportivo ben cosciente dei rischi ai quali va incontro, il giornalista introduce, in apparenza casualmente, il confronto fra quest’ultimo e il malato, il quale per impotenza, inconsapevolezza, imposizione e spesso destino può, al contrario dell’atleta in competizione, fare ben poco contro un nemico invisibile e imprevedibile. È funzionale al discorso questo ultimo concetto? Certamente no, anche se appropriato. In realtà, come vedremo, anche questa affermazione si giustificherà pienamente se inserita in un contesto biografico e artistico personale, dal quale emergono con forza radicate ossessioni e private esperienze incentrate, come detto, sull’idea di malattia.
Prima dunque di focalizzare l’attenzione sul come Buzzati esplicito tale idea in diverse delle sue composizioni teatrali è indispensabile cercare di oggettivarla, mostrandone prima di tutto l’iter artistico attraverso l’esame di molteplici opere, realizzate in più momenti storici lungo un arco temporale di quarantanni.
In secondo luogo se ne rintraccerà il corso esistenziale-psicologico deducendolo dalle numerose informazioni di cui oggi, a distanza di anni dalla sua morte, possiamo disporre.
1.2 LA MALATTIA NELLE OPERE
L’attività dell’artista negli anni trenta, limitata ad una scrittura e ad una pittura concettualmente private, mostra fin dal primo romanzo del 1933, Barnabo delle montagne38, attenzione alla malattia, seppure questa non si possa ancora dire costituisca un momento importante.
A proposito di Del Colle, vecchio guardaboschi, si fa notare che “vede le malattie degli abeti, conosce il canto degli uccelli, ricorda tutte le più piccole strade”39 e più avanti è Giovanni, cugino di Barnabo, a sentenziare con ovvietà: “È inutile se non si sta bene, anche il morale ne risente”40.
Occorre attendere due anni prima che, sempre per l’editore Treves di Milano, esca Il segreto del Bosco vecchio41 e i riferimenti, limitati ancora nella prima parte al mondo vegetale - “piante alte ma patite”42 - vengano allargati alla sfera umana tramite un curioso accostamento fra esseri fantastici, allo stesso tempo piante e spiriti antropomorfi parlanti: Bernardi, uno di questi, interrogato dal colonnello Procolo circa un fastidiosissimo rumore, risponde: “È da agosto che tutte le notti il bosco si lamenta. Nessuno dei miei compagni mi sa dire perché. (...) E’ come una minaccia (...) come se una malattia covasse dentro di noi; e noi non la conosciamo”43.
La causa verrà identifica nel momento in cui nugoli di bruchi si scateneranno divorando ogni foglia raggiungibile. Il loro banchetto durerà solo una stagione grazie all’intervento della saggia gazza ‘awisatrice’ la quale, chiamate da lontano un gran numero di icneumoni, farà da loro iniettare nei corpi di quei “flaccidi esseri striscianti”44 uova fatali. Da esse infatti si genereranno larve che, tra mille sofferenze dei bruchi ignari, potranno svilupparsi nutrendosi ciascuna del proprio ospitante. E’ questo il primo riferimento archetipico dell’idea di un male interno che lavora all’insaputa del portatore e che una volta manifestatosi non lascia speranza.
Allorquando il lettore viene informato che anche il protagonista della storia, il piccolo Benvenuto, è “piuttosto malaticcio”45 al punto da cadere infermo, l’ossessione di un agente patogeno compie esplicitamente il suo ingresso nell’immaginifico umano di Buzzati. Benvenuto guarirà, a dimostrativo che in questa, ancora, l’entità patologica non è vista come un qualcosa di negativamente definitivo, ma solo come prova per ascendere e maturare. La malattia in questa fase è rito di passaggio.
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Negli ultimi cinque anni del decennio 1930-1940 l’autore viene coinvolto dagli eventi bellici mondiali e, pur svolgendo diligentemente la propria parte di giornalista, partecipando tra l’altro nel 1940 a bordo dell’incrociatore Fiume a storiche battaglie navali, non tralascia la fertile vena narrativa accrescendo ulteriormente la propria consapevolezza professionale. E si rende conto che può diventare un vero scrittore.
Dalla produzione non solo artistica di quegli anni, Domenico Porzio nel 1972 ha tratto il libro Cronache terrestri46. In esso sono raccolti articoli composti dall’autore tra il 1940 e il 1970 che verranno, quando opportuno, citati nel presente studio (nel 1992 è uscito anche il volume II buttafuoco che raccoglie ancor più dettagliatamente gli articoli composti tra il 1940 ed il 1943).
È a trentaquattro anni che Buzzati compone l’opera più importante, non solo del decennio quaranta cinquanta, ma di tutta la sua attività. Esce per l’editore Rizzoli, l’otto giugno 1940, il celeberrimo Il deserto dei Tartari47.
Sul romanzo sono state avanzate un’infinità di considerazioni, poco però ci si è soffermati sul fatto che sia il protagonista sia il tenente Angustina muoian...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Diritto d'autore
  4. Dedica
  5. Indice
  6. INTRODUZIONE
  7. CAPITOLO 1 - MALATTIA E AUTORE
  8. CAPITOLO 2 - MALATTIA E TEATRO
  9. CAPITOLO 3 - ALTRI DRAMMI
  10. CAPITOLO 4 - FORTUNA SCENICA DI UN CASO CLINICO
  11. CRONOLOGIA DELLE RAPPRESENTAZIONI
  12. NOTE
  13. LAVORI DELL’AUTORE - FILM TRATTI DALLE SUE OPERE - CRITICA