Tre fascisti - Tre fascismi
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Informazioni su questo libro

Questa opera vuole contribuire a ricostruire, attraverso tre saggi biografici, il percorso esistenziale di importanti figure del regime come Cesare Maria De Vecchi, Alfredo Rocco ed Edmondo Rossoni, personaggi che affiancarono Mussolini nelle scelte politiche e nella loro attuazione durante il ventennio fascista. Questi tre uomini, tra loro molto diversi ma accomunati dal loro ruolo di gerarchi, ricoprirono cariche che consentirono loro di influenzare molteplici aspetti delle vicende italiane in età tardo liberale e fascista.

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Mirko Riazzoli
Tre fascisti
–
Tre fascismi
Cesare De Vecchi,
Alfredo Rocco,
Edmondo Rossoni

Introduzione

Il fascismo è stato un fenomeno complesso e sfaccettato nel quale sono confluite differenti ideologie e personaggi diversi per ceto, esperienze, percorso politico ecc. Tutto questo portò ad una molteplicità di approcci, interpretazione e concezioni alquanto diverse del fascismo stesso.
Questa opera vuole contribuire a ricostruire il percorso esistenziale ed ideologico di alcuni dei personaggi che affiancarono Mussolini nelle scelte politiche e nella loro attuazione durante il ventennio fascista attraverso tre saggi biografici su importanti figure del regime. Nei saggi si è dato ampio spazio alle citazioni degli scritti e dei discorsi dei personaggi trattati in modo da poter ricostruire in modo non mediato le loro idee.
Questi tre uomini erano tra loro molto diversi ma, accomunati dal loro ruolo di gerarchi, ricoprirono cariche che consentirono loro di influenzare molteplici aspetti delle vicende italiane.
Il primo personaggio trattato è Cesare De Vecchi, un monarchico cattolico e conservatore che aderì presto al movimento fascista divenendone uno dei principali ras, ricoprendo in seguito la funzione di Quadrumviro della Marcia, ministro, governatore coloniale e ambasciatore e rimanendo una figura di spicco fino alla guerra.
Il secondo personaggio è Alfredo Rocco, giurista e teorico del fascismo, transfuga radicale, poi liberale e infine nazionalista. Favorevole ad una dottrina statolatra, condizionò profondamente il regime e l'adozione del sistema corporativo.
Il terzo ed ultimo personaggio è Edmondo Rossoni, ex sindacalista rivoluzionario, passato all'interventismo e poi al fascismo di cui organizzò il movimento sindacale assumendone per anni la guida e appoggiando la sua trasformazione progressiva in corporativismo, uno dei nuovi elementi cardine del regime.
In appendice all'opera, in modo da fornire al lettore un facile accesso alla documentazione citata, vengono riportati parte dei testi e dei documenti cui si fa riferimento nei tre saggi. In modo da favorire la ricostruzione del percorso dei contributi politico-ideologici di questi tre gerarchi fascisti, per ogni personaggio vengono inoltre riportati gli elenchi delle rispettive opere a stampa.

Cesare Maria De Vecchi

Il gerarca fascista Cesare Maria De Vecchi, Conte di Val Cismon (titolo nobiliare da lui acquisito durante la sua vita, non era infatti nobile alla nascita) nacque in una famiglia borghese a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, il 14 novembre 1884 da Luigi De Vecchi, notaio poi dedicatosi all'agricoltura, e Teodolinda Buzzoni. Dopo gli studi liceali, a diciassette anni, entrò all'Accademia navale di Livorno, che però abbandonò dopo pochi mesi a causa della disciplina che riteneva troppo rigida. Si laureò quindi in giurisprudenza nel 1906 presso l'università di Torino e successivamente, nel 1908, anche in Lettere e Filosofia. In questi anni, nello specifico nel 1907, si sposò con Onorina Buggino, figlia di un maggiore di artiglieria, da cui ebbe tre figli, Giorgio, Maria Luisa e Pia.
Andò a vivere a Novara ove fece pratica legale presso lo studio dell'avvocato Enrico Zaccheo, ex sindaco cittadino di tendenze clerico-moderate e legale della locale curia vescovile. Nel 1910 si trasferì con la famiglia a Torino, ove svolse la professione di avvocato aprendo uno studio in centro, qui partecipò alla vita culturale essendo, per esempio, per ben due volte segretario della Società Promotrice delle Belle Arti, svolgendo lui stesso l'attività di pittore e pubblicando una raccolta di versi intitolata Primavera, oltre a redarre una commedia in versi intitolata Le reginotte: fiaba in versi; a questo affiancò la pratica dello sport.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale prese parte alla mobilitazione bellica come Sottotenente di complemento nel corpo dell'Artiglieria, poi passò agli arditi (nel 1904 aveva svolto il servizio militare come volontario ed era poi divenuto sergente nel 1905). Durante il conflitto, grazie alle sue imprese ottenne tre volte la medaglia d'argento e due volte quella di bronzo al valore militare. L'evento divenuto poi più noto fu il combattimento che sostenne con alcuni suoi compagni Arditi, che avevano lasciato indietro il reparto, contro una intera divisione ungherese al Ponte di Corlo nella Val Cismon (zona del Grappa) nell'ottobre del 1918, ottenendone la resa nonostante la differenza di numero e ottenendo una medaglia d'argento. Per questa sua impresa venne proposto per una medaglia d'oro ma il generale A. Diaz, ministro della Guerra, si oppose al suo conferimento bloccandolo definitivamente nel dicembre del 1922.
Terminato il conflitto con il grado di capitano degli Arditi (la sua carriera militare non si fermerà però qui, nel maggio del 1940 raggiungerà infatti il grado di generale di brigata) tornò alla vita civile e aderì al movimento fascista nella seconda metà dell'aprile del 1919 contribuendo "ad infondere una sferzata di energia sia sul piano organizzativo sia su quello di una presenza, per quanto sporadica, nelle strade e nelle piazze della città"[1], questo grazie alle sue "indubbie capacità organizzative … sia per le ampie amicizie di cui … gode nella borghesia torinese, per i contatti e le relazioni che intrattiene con la locale aristocrazia e con le autorità militari"[2] dalle quali i fascisti guidati da Mario Giuseppe Mario Gioda (1883-1924), un ex anarchico con un passato di anarchico, erano rimaste esclusi.
In questo movimento De Vecchi rappresentò quindi l'ala monarchica, motivo per il quale ebbe vari contrasti con Gioda, esponente dell'ala repubblicana, nella guida del movimento nel torinese.
Entro breve riuscì ad entrare nel Comitato esecutivo locale del movimento, grazie anche alla sua attività di propagandista che portò rapidamente alla fondazione di altri fasci nella regione già in maggio.
Nell'ottobre del 1919 partecipò al I Congresso nazionale fascista svoltosi a Firenze, qui cercò di opporsi alle posizioni della sinistra fascista sindacalista e futurista di matrice antimonarchica. Fu in questa sede che venne approvato l'o.d.g. che autorizzava la Commissione esecutiva ad aderire alle associazioni combattentistiche ed ai gruppi politici che avessero un programma comune. Da questo scaturi. nel novembre, la sua candidatura alle elezioni nel Blocco della Vittoria (una lista comune tra fascisti, monarchici, nazionalisti, liberali di destra), qui De Vecchi fu uno dei quattro fascisti presenti nella lista, gli altri furono il generale Etna, Garino e Revelli. Questo, per il fascio fu un buon risultato, anche se dovette accettare il programma alquanto generico della lista comune.
La campagna elettorale fascista venne condotta da De Vecchi che tenne personalmente gli unici due comizi della sua parte, il primo il 6 novembre, senza grande successo, e poi il 9 a piazza Bodoni, con un migliaio circa di partecipanti. Questi due eventi sono di particolare rilevanza perché costituiscono le prime due manifestazioni politiche condotte sulla pubblica piazza dal fascismo torinese e furono entrambe organizzate dal De Vecchi.
Il 16 si svolsero le elezioni, vinte a Torino dai socialisti (53,5% dei voti), il PPI vi ottenne il 17,4% e il Blocco della vittoria il 20% e due seggi, assegnati a Bevione e Boselli.
De Vecchi quindi non risultò eletto ottenendo comunque 3.895 voti, il che lo rendeva il sesto candidato più eletto nel collegio ed il quarto nella sua lista.
L'insuccesso elettorale il mese successivo ebbe conseguenze sull'assetto dei vertici fascisti locali. Gioda il 13 annunciò che le ragioni dell'adesione al Blocco, costituito da forze politiche non in linea con la sua tendenza, erano venute meno e procedette al rinnovamento della Commissione esecutiva alla quale De Vecchi rifiutò di partecipare (rimase membro del Comitato centrale dei fasci di combattimento), quasi sicuramente a causa delle crepe emerse con le altre forze del blocco, al riguardo Gioda dichiarò che "la nostra onestà di uomini liberi e senza pregiudiziali politiche ci suggerisce di vagliare bene la situazione prima di ingolfarci ulteriormente in altre combinazioni bloccarde"[3], tesi che di certo De Vecchi non poteva sottoscrivere. Il gruppo vicino a Gioda assunse quindi il controllo del fascio, dovendo affrontare una grave crisi economica che colpì l'organizzazione privata dei finanziamenti in seguito a questo cambiamento di rotta e probabilmente al disinteresse di De Vecchi che fu causa della rottura dei rapporti con la "Gazzetta del Popolo" fino a quel momento garantiti proprio da De Vecchi, che ignorò per la prima metà del 1920 l'attività del fascio, causandogli un gravissimo danno essendo questo ancora privo di un suo giornale.
Questo ebbe delle conseguenze sull'organizzazione fascista torinese, Castronovo osserva al riguardo che:
Sia per l'allontanamento di Cesare De Vecchi, sia per la rottura quasi completa dei rapporti con la "Gazzetta del Popolo" i fascisti torinesi erano ridotti a una schiera sparuta di militanti senza mezzi e senza effettiva rilevanza sul piano politico. La presenza alla segreteria politica del "sindacalista" Gioda, un ex tipografo, a capo di una commissione esecutiva di piccoli impiegati e professionisti, di studenti, di qualche operaio ed ex combattente, non era tale da suscitare intorno al nuovo movimento un reale interesse da parte degli ambienti economici e dell'alta borghesia. Si era preferito, semmai, tenere i rapporti con il Comitato centrale dei Fasci a Milano.[4]
Questa crisi venne confermata dal secondo congresso dei fasci piemontesi del 1° maggio 1920, che riscontrò una mancata crescita dell'organizzazione. Ancora per questo mese, quando si svolse il congresso di Milano, rimase in disparte rispetto alle responsabilità direttive nel fascio, mantenendo solo la presidenza degli ex combattenti (carica che assunse nel 1920), poi in seguito all'emergere della crisi e al fallimento di un'apposita commissione nominata in gennaio per risolvere i problemi del fascio, riassunse la sua carica direttiva del fascio torinese, assumendo la guida della nuova Commissione esecutiva insediatasi il 29 luglio, dopo che lo stesso Gioda aveva dovuto ammettere il fallimento della nuova dirigenza, dichiarò al riguardo "la Ce [Commissione esecutiva] si è … sfasciata in questi giorni dopo sei mesi di vita poco brillante. Tutto ciò si è fatto ha gravato solo sulle mie spalle. Sorta in opposizione al De Vecchi e per dare anche a Torino un carattere operaio di 'sinistra' al Fascio (già perché la precedente Ce era accusata di nazionalismo e di monarchismo) ha vissuto coi mezzi ereditati dai predecessori e non ha saputo combinare nulla tranne che delle begolate. Ha creato delle beghe personali dove mani ne erano esistite. Tutto ciò era stato da me e dal De Vecchi previsto. È necessario procedere alla costituzione di un nuovo Ce."[5] Per spiegare l'allontanamento di Gioda oltre alla crisi interna del fascio, si deve aggiungere prendere in considerazione l'o.d.g. approvato il 12 giugno a maggioranza, dopo ampia discussione, nel quale si condannava duramente il nuovo governo Giolitti, contraddicendo le posizioni attendiste assunte da...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Contents
  3. . Introduzione
  4. L'autore
  5. Notes