III.
ROSSELLINI
Roberto Rossellini (Roma, 1906 - 1977), si avvicina al cinema verso la metà degli anni '30, realizzando sia come montatore che come regista alcuni cortometraggi per l'Istituto Luce.
Nel '38 collabora ad una sceneggiatura e nel '41 esordisce dietro la macchina da presa con La nave bianca, segmento iniziale di una "trilogia della guerra" più tardi completata da Un pilota ritorna (1942) e da L'uomo dalla croce (1943
Il 1945 è l'anno di Roma città aperta, capo d'opera ed apripista del Neorealismo italiano, seguito da altri due film d'eccezione quali Paisà (1946) e Germania anno zero (1947).
Con Stromboli terra di Dio (1949) egli dà il via al suo sodalizio artistico con Ingrid Bergman, segnato da tematiche legate alla solitudine dell'individuo e da un linguaggio cinematografico innovatore e seminale; Europa '51 (1951) e Viaggio in Italia (1954) saranno - successivamente all ‘interludio di Francesco, giullare di Dio (1950) - le tappe successive di questo periglioso, affascinante percorso.
Dopo un periodo di crisi artistica e personale, caratterizzato da un lungo viaggio in India destinato a produrre materiale per l'omonimo film documentario del '58, egli dirigerà opere formalmente impeccabili ma non più che corrette quali Il generale Della Rovere (1959), Era notte a Roma (1960) e Viva l'Italia (1961), prima di dedicarsi interamente alla regia di lavori a carattere divulgativo e didattico pensati per la televisione: i prodotti di questa fase risultano però tutti di modesto artistico interesse.
Torna al cinema con Anno uno (1974) ed Il Messia (1976)che sono due pellicole che affrontano tematiche già visitate in passato con ben altra forza e convinzione: poco dopo, il 3 giugno 1977, muore a Roma.
Il film di Roberto Rossellini Roma città aperta1 (1945), considerato uno dei capolavori del Neorealismo, è il primo titolo della “Trilogia della guerra” con Paisà del 1946 e Germania anno zero del 1948. Girato in parte tra le macerie di Berlino dopo la guerra, «rappresenta la grande sorpresa italiana del dopoguerra, l’inaugurazione (o meglio, la consacrazione) del Neorealismo»2, ovvero “l’école italienne de la Libération”, come lo definirono i francesi. Elementi comuni ai diversi autori del cinema neorealista furono l’abbandono della struttura narrativa romanzesca, per evidenziare di più la descrizione documentaristica, con riprese in esterni come luoghi topici, riprese in interni che fotografavano la condizioni non abbienti, povere e degradate, la presenza di attori non professionisti, il racconto della realtà politica e sociale del Paese in un momento di grandi cambiamenti.
Il racconto cinematografico poneva uno spostamento della narrazione dal singolo alla collettività. La macchina da presa cercava “la poetica del pedinamento” (definizione di Zavattini) della realtà e dei protagonisti.
Vi fu inoltre l’influenza della scuola di montaggio sovietico e del realismo poetico del cinema francese (sia Visconti che Antonioni lavorano da giovani a Parigi rispettivamente con Jean Renoir e Marcel Carné). Per Rossellini il Neorealismo vuol dire prendere contatto diretto con l’uomo: “non conta la bella inquadratura, il Neorealismo consiste nel seguire un essere umano con amore in tutte le sue scoperte, in tutte le sue impressioni”.
E Roma città aperta sarà il suo manifesto. Realizzato tra il 1944 e il 1945, quando l’Italia è ancora spezzata in due, mentre la Repubblica di Salò ha i giorni contati, il film, nelle parole di Mario Verdone, «testimonia una fede nella Resistenza, un’attesa di libertà, una presa di coscienza del progresso morale del paese, pur tra gli errori e gli orrori, che danno carattere insieme attuale e profetico all’emozione e al messaggio che si sprigionano dal film. Le immagini spoglie, quasi di “realtà in atto”, costituiscono gli elementi stessi della tragedia”.
Inseriamo qui la locandina, a titolo esemplificativo, per un’indagine della produzione del film:
Film (1945)
durata: 100 minuti, Bianco e nero, rapporto: 1,37:1,
Soggetto: Sergio Amidei
Sceneggiatura: Sergio Amidei, Federico Fellini, Celeste Negarville, Roberto Rossellini
Produttore: Ferruccio De Martino
Casa di produzione: Excelsa Film3
Distribuzione (Italia): Minerva
Fotografia: Ubaldo Arata
Montaggio: Eraldo Da Roma
Musiche: Renzo Rossellini
Il film fu visionato in privato dal regista Roberto Rossellini presso il Cinema Moretti di Ladispoli e presentato successivamente al pubblico nel settembre del 1945 senza alcuna anteprima. Ebbe inizialmente uno scarso successo e solo successivamente, dopo aver ricevuto vari premi e riconoscimenti, fu apprezzato unanimemente dal pubblico e dalla critica. Inizialmente la pellicola è stata vietata in alcuni paesi, come in Germania e in Argentina. Uscì negli Stati Uniti nel 1946, a New York, dove all'inizio furono censurate alcune scene, della durata complessiva di circa 15 minuti.
Nel 1946 a Milano, molti cartelloni promozionali del film furono dati alle fiamme dai militanti del sedicente Partito Fascista. L'incasso accertato a tutto il 31 dicembre 1952 è ammontante a 124.500.000 lire, e rappresenta il maggior incasso cinematografico in Italia della stagione 1945-46.
Nel settembre 1945, in una piccola ma gremita sala cinematografica alla periferia di Roma, un giovanissimo Alberto Asor Rosa andava a vederlo:
«un film che già nel titolo richiamava la nostra città e la nostra esperienza dei mesi passati. Era una storia su Roma occupata dai tedeschi. (…) Il codice dei film americani vi era radicalmente rovesciato. Il pubblico in sala non era invitato a sognare che cosa gli sarebbe potuto accadere in una situazione analoga a quella che vedeva raccontata, ma gli si faceva vedere quel che lui era o quel che era stato fino a pochi mesi prima. In giro per la sala c’era la stessa gente umile, poveramente vestita, smunta, con i buchi della fame sotto gli zigomi, gli zatteroni di sughero consunti, gli abitucci di cotone leggero, le giacche lise, insomma le stesse povere cose di quei personaggi che, a poca distanza da loro, recitavano la loro modesta storia sullo schermo: e questa storia era più o meno la stessa che gli spettatori in sala, o i loro amici più stretti o i parenti, o i vicini di casa, avevano anche loro recitato fino a poco tempo prima per le strade di Roma (…)».4
Il coinvolgimento di Federico Fellini5 fu del tutto causale in quanto il giovane sceneggiatore aveva messo su un negozio di caricature per gli americani per sbarcare il lunario. Scrive Fellini:
“un giorno che me ne stavo lì, tra la folla di soldati ubriachi in attesa di farsi fare la caricatura ho visto uno con una faccia magra da emigrante, un cappelletto grigio, un cappottino. Era Rossellini. Io stavo disegnando, stavo facendo una caricatura e lui mi fece segno che mi voleva dire qualcosa. Gli dissi se poteva aspettare un po'. Allora Rossellini mi domandò, dal momento che io conoscevo molto bene Aldo Fabrizi, se potevo intercedere presso di lui, perché accettasse di fare un cortometraggio sulla vita di un prete. E’ un copione che aveva scritto Alberto Consiglio: la storia di Don Morosini. Perché sai io Mi sono venduto tutto, Sono senza una lira. E, ho trovato una contessa che mi fa fare un cortometraggio”. Infatti il giorno dopo, mi presentò questa contessa la quale mi disse se potevo parlare con Fabrizi per fare il cortometraggio per duecentomila lire. Allora io andai da Fabrizi che stava facendo teatro al salone Margherita. Non si commosse affatto. Disse: “Ma che me frega a me de Don Morosini, a me devono dà un milione!”. Allora sono tornato da Rossellini: “sai vuole un milione”. “No, possiamo arrivare a 250000 lire”. Amidei non mi pareva che avesse molta fiducia. Si dice una sera: ma perché invece di fare due cortometraggi non cerchi di fare un film? Unisci queste due cose, ampliamo questa storia del Prete … E così in una settimana lavorando a casa mia, in cucina perché non c'era riscaldamento, abbiamo fatto questo copione che era “Roma città aperta” ma francamente, senza molta convinzione. Dopo, con il copione, tornai da Fabrizi e riuscì a convincerlo per una somma abbastanza congrua, ma sempre esagerata; così nacque “Roma città aperta”. Rossellini aveva molta simpatia per me. Mi ricordo che rideva spesso, sfotteva Amidei. E, veniva di notte a trovarmi: “Guarda io e Amidei abbiamo fatto questo dialogo, guarda un po' …” e quando fu finito avventurosissimamente, si fermò parecchio…Il copione era venuto bene ugualmente proprio perché è spontaneo: ma il film, quando vedi il film in proiezione, rimasi molto, molto colpito. Mi fece un'impressione enorme. E, mi commosse, una proiezione che finì tra il fastidio e l'indifferenza generali di questi cretini”. 6
Che la questione economica fosse critica e che rendesse precaria l’organizzazione delle riprese era evidente. Rossellini ricorda:
“Girai il film con pochissimi soldi raccolti a stento, a piccole dosi. E c'era malapena di che pagare la pellicola (molto spesso usata e a pezzi) che non potevo nemmeno mandare a sviluppare perché non avrei saputo come pagare il laboratorio. Non vi fu dunque alcuna proiezione di prova prima della fine della lavorazione. Più tardi, avendo trovato ancora un po' di denaro, montai il film, lo presentai a un ristretto pubbli...