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La banda Cavallero. I rapinatori della periferia
Informazioni su questo libro
Le vicende della banda Cavallero si intrecciano con la Storia sociale: il processo di urbanizzazione, il boom economico, l'emigrazione, la rivolta di piazza Statuto, il processo di modernizzazione del 68, il 77, il postfordismo e la deindustrializzazione.
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Informazioni
Argomento
StoriaCategoria
Storia italianaNella storia d’ Italia e nella storia di Torino, gli anni Sessanta sono ricordati e collegati soprattutto alla loro fase finale e vengono associati a nomi come Viale, Bobbio, etc.
Così come il Risorgimento è associato, a Torino, a Cavour, a Balbo, a Lamarmora a Cialdini ad Abba. Possibile che non ci sia stato nemmeno un cuoco, uno stalliere, un sarto, di cui mettere il nome su qualche lapide o via? Possibile che nessuno impiegato, fattorino, nessun semplice operaio abbia partecipato al ’69 al ’70?
Ci sono stati invece, con il loro entusiasmo, con la loro energia, con la loro ingenuità e hanno contribuito a fare la Storia con la S maiuscola e non. Dimenticati, noi li ricordiamo, li ricordiamo giovani sì vogliamo ricordarli e ci teniamo a ricordarli giovani con le loro speranze e i loro sogni. Sarebbe bello però, dar voce, sull’esempio di Nuto Revelli, a questo mondo dei vinti della periferia torinese che non ha trovato né un Pasolini né un Nuto a ricordarlo.
“Talvolta vorrei ripercorrere le strade del mio quartiere
ricordare gli affanni, ricordare la fame, ricordare il freddo...”
Barista, fattorino, magazziniere, lavapiatti, cuoco, casellante, venditore, commesso, faccendiere, operaio e studente serale, itp e studente universitario, taxista e insegnante precario, insegnante, preside, spesso deriso, per i congiuntivi e le citazioni, latine, approssimative da professorucoli boriosi e pieni di sé per essere stati accompagnati dalle mamme al classico e poi all’università per aver festeggiato l’inutile tesi con il parentado e la fidanzata, con i fiori e l’aperitivo le paste secche e il bignè.
Pensino prima di ridere al loro tempo perso in vacanza a respirare lo iodio e a corteggiare con scarso successo la compagna di scuola annoiata dall’indecisione e dal rispetto.
Pensino, prima di ridere, alle loro domeniche passate nei candidi guanciali, a leggere la grammatica greca con noia e insofferenza. Pensino alle vacanze passate a lavare migliaia di piatti, pensino alle calde ore dei pomeriggi d’agosto a cucinare lasagne.
Pensino ai turni di notte passati nelle fabbriche, alle poste, nei caselli in mezzo alle risaie a due, tre, quattro lavori contemporaneamente, pensino ai libri, inesistenti, letti negli spazi liberi.
Pensino alle notte passate alla Pellerina a prendere e a portare ragazze africane.
Pensino. Troppo impegno. Troppa profondità di analisi.
Meglio sorridere rancorosi a chi li dirige senza essere passato dalla consecutio temporum.
“e ricordare qui vorrei
gli anni ’50
Tutti. Uno per uno.
Giorno dopo giorno”
In quel solaio pieno di cose inutili, che è you tube, ho trovato un video degli Assalti frontali, che presentono, a Bologna, l’autore di numerosi pezzi, di un loro lavoro: la nostalgia e la memoria. Un uomo ormai maturo ma che il pubblico riconosce e saluta; un pubblico di giovani, giovanissimi, si identifica e si riconosce in un uomo, che aveva vent’anni nei primi anni ’60.
Vado sui siti, digito il suo nome; emergono nomi fatti, date,luoghi, emozioni sopite ma mai seppellite. Inizia un percorso di ricerche di luoghi e di sensazioni, che sento forti nella memoria. Un viaggio nell’innocenza, un percorso nella povertà materiali e nella ricchezza morale di quegli anni. Un viaggio a piedi, al contrario. Rifaccio quel percorso che tante volte feci per affacciarmi al di la di strade aspre ma conosciute per abbandonare sudori e ire e sentire i profumi delle luci. Scendo, due chilometri in discesa senza incontrare occhi umani scrutanti e amichevoli; case che riflettono agiatezza e solitudini. Piste ciclabili senza bici, reminiscenze di volontà pedagogiche inascoltate, di volontà tese a creare l’uomo nuovo che non sarebbe mai venuto. Piste ciclabili senza bici, oggetti estranei a questa città.
“guardare vorrei
per una volta ancora
la vecchia casa
col cesso sul ballatoio”
Poco dopo la grande piazza del mercato, di Porta palazzo, inizia quello, che fino a qualche anno fa, era il borgo del fum, tante erano le industrie che rendevano invivibile il quartier con i loro scarichi, la Grande Motor,i la Nebiolo, la Metallurgica, la CEAT, la siderurgia Fiat; borgo, oggi trasformato in parte ma ancora sostanzialmente tetro, deprimente, grigio, come allora, gli anni ’60 anni spesso dimenticati dagli intellettuali di casa nostra (chiamati così per aver scaldato, con scarso profitto i banchi di scuola).. Il borgo più proletario della città più proletaria d’Italia.
Borgo allora coeso dall’identità operaia, dal dialetto e dagli oratori che seguivano ciurme di ragazzi in attesa di entrare, i più fortunati e raccomandati, nelle scuole Fiat o, per i meno fortunati, nelle piccole boite che in cambio del settimanale succhiavano per sempre la gioventù e la salute... ah! la povertà ti toglie il tempo, la ricchezza usa quello degli altri. Attraverso facce di giovani arabi, che sostituiscono visi mediterranei, che occultano memorie di ragazzi magri venuti d’altrove che qui allora come oggi sopravvivono. Attraverso banchi che permettevano di sopravvivere a chi voleva e sapeva sopravvivere. Caricati, come giovani muli, di verdure e frutta che consentivano di tenere nei cassetti qualche biglietto per la pigione o per il carbone in quelle case oscure e umide che oggi uguali a se stesse hanno cambiato l’anima. Parole incomprensibili ma gesti,espressioni, suoni conosciuti; uguali a quelli dello sponda nord del mare.
Attraversato il ponte Mosca si entra nel borgo identico, materialmente, ad allora ma intriso di suoni e colori e aromi che vengono dalla sponda sud del Mediterraneo. Spariti i luoghi delle serate spese in gruppi a consumare film inutili ma che permettevano di lasciare case buie e padri violenti, nonni asmatici e sorelle rancorose.
Il Sociale, il cinema Aurora, il Maior, altra categoria! il Palermo, il Sempione, i cinema degli oratori, due film visti due volta,e un pacchetto di arachidi guadagnati partecipando al catechismo. Meglio il catechismo della strada. La mitica sezione Banfo, dove spesso veniva Danilo stimato da tutti perché era stato comandante partigiano e teneva lo sten in casa, no lui abitava in via San Donato ma era sempre lì a partecipare alle riunioni e teneva testa a tutti, ascoltato e ammirato; si capiva aveva altre ambizioni. Licenziato dalla Fiat perché aderente al Partito comunista, niente dava più prestigio e rispetto.
La sezione Banfo crogiolo di età, di esperienze, di dialetti dove giovani venuti da altrove, soli e alla deriva, trovavano maestri di marxismo, semplificato e un lavoretto per portare qualche soldo al sabato in casa. Denaro aspettato con speranza e fiducia non sempre ben riposta. Almeno alla domenica aggiungere qualcosa alla pasta. Ah! la fame la pasta con la carne di pecora uno due piatti sì a pensarci è il sapore della fame che risveglia nella coscienza anni lontani e pure così vicini pane e olio, pane e zucchero, tovaglioli bagnati nell’acqua dolce; sedata quella fame oggi se ne presentano altre, di altra natura impossibili da sedare.
Piazza Crispi, il centro del quartiere, sempre animata dal mercato, luogo di mescolanza di giovani svelti e questurini, anche loro assillati dai soldi che non bastano. Il mercato che con la chiesa era l’unico posto dove si potevano vedere le ragazze di Calabria, di Sicilia, di Puglia, sì velate, e segregate nelle case a imparare il cucito e a leggere, sognanti, giornali stropicciati che passavano di piano in piano prima di attraversare le scale, fotoromanzi che permettevano di fuggire...
Indice dei contenuti
- Indice
- PREMESSA
- La banda Cavallero. I rapinatori della periferia
- I cambiamenti
- Gli anni ’70
- Il ritorno