La comunicazione strategica nelle professioni sanitarie
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La comunicazione strategica nelle professioni sanitarie

Enrico Maria Secci, Carlo Duò

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La comunicazione strategica nelle professioni sanitarie

Enrico Maria Secci, Carlo Duò

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Cogliere al volo le esigenze del paziente. Contenere le sue paure e scegliere sempre la strategia giusta. Gestire in modo efficace le relazioni difficili. Ottenere la collaborazione indispensabile al trattamento. Vedere con chiarezza come approcciarsi al singolo caso. Proporre ed ottenere un ascolto efficace e motivato. Superare le resistenze che incontra ogni giorno chi svolge con passione e con responsabilità una professione sanitaria.
Ogni professionista della salute davvero esperto sa che la cura ha più successo in chi ha fiducia. La comunicazione strategica nelle professioni sanitarie svela al professionista come appropriarsi dei segreti della comunicazione strategica e come utilizzarla ogni giorno, sia nel rapporto con il paziente che nell'interazione con i familiari e i colleghi, spesso ambiti di conflitto e di stress.
Questo libro nasce dall'esperienza maturata dagli autori con oltre 10.000 professionisti della salute in quasi 20 anni di corsi di formazione ECM e spiega in modo semplice, immediato e concreto il complesso sistema della relazione col paziente. Pagina dopo pagina, valorizza i fondamenti teorici della comunicazione efficace e gli aspetti tattici e immediatamente praticabili delle tecniche illustrate con uno stile scorrevole e interessante.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788831607940
Capitolo 1.
La Comunicazione Strategica
“Conosci gli altri e te stesso:
cento battaglie, senza pericoli.

Non conosci gli altri, ma conosci te stesso:
a volte vittoria, a volte sconfitta.

Non conosci gli altri né te stesso: ogni battaglia è
una sconfitta certa”.

Sunzi
Negli anni ’50 un ristretto gruppo di studiosi iniziò a riferire alla comunicazione l’aggettivo “strategica” per definire un insieme specifico di modalità e tattiche di interazione finalizzate a produrre cambiamenti pianificati nel comportamento umano.
L’idea che la comunicazione, opportunamente utilizzata, potesse avere effetti dirompenti in molti settori della vita umana, prese forma a Palo Alto, negli Stati Uniti, dall’osservazione degli scambi comunicativi e delle strutture interattive in famiglie di pazienti schizofrenici. In questi scambi e in queste conversazioni erano presenti ridondanze e schemi che tendevano a presentarsi nei nuclei familiari osservati. Nacque così l’ipotesi che la patologia psicologica non derivasse da un disturbo dell’individuo o da qualche trauma infantile, ma fosse indotta o rinforzata dalla disfunzionalità delle interazioni familiari.
Partendo da tali premesse, i padri della moderna “comunicazione strategica”, Haley, Jackson, Weakland e Watzlawick scoprirono che è sufficiente cambiare gli schemi comunicativi mediante nuove strategie di interazione per ottenere significativi e rapidi miglioramenti nella condizione dei pazienti.
Va detto, comunque, che i primi ad avvalersi con notevole profitto del potere della comunicazione strategica furono filosofi e politici della Grecia antica ben 400 anni prima di Cristo (Skorjanek 2000, Nardone 2005) e, ancor prima di loro, i cinesi, che seppero applicare stratagemmi comunicativi di incredibile efficacia nelle arti belliche più di 700 anni prima di Cristo. (Magi 2003, Nardone, 2005).
La sapienza “strategica” ha, dunque, una tradizione millenaria e una storia scientifica recente (Secci, 2005). Gli studiosi della Scuola di Palo Alto e i loro allievi che oggi si occupano di comunicazione strategica, non hanno scoperto qualcosa, ma hanno formalizzato antiche intuizioni in modelli che possano essere trasferiti ed insegnati. Forse, uno dei maggiori contributi degli scienziati della comunicazione è stato riconoscere e affermare senza esitazioni che la comunicazione è un processo di influenzamento continuo (Watzlawick, Beavin e Jackson, 1974). Se l’atto stesso di comunicare influenza l’altro ed è impossibile evitare che ciò accada, allora tanto vale programmare e orientare volontariamente questo potere per conseguire obiettivi. E’ strategico il comunicatore che è consapevole dell’influenza dei propri atti comunicativi e la utilizza per scopi chiari e definiti.
Le scoperte della Scuola di Palo Alto hanno reso “strategiche” la psicoterapia, la direzione aziendale, il marketing, l’insegnamento e la politica, eppure questo particolare approccio alla comunicazione è ancora poco noto nella maggior parte degli ambienti sanitari. Ciò si deve forse al fatto che psicologia e professionisti della salutena sono ancora separate dalla medievale contrapposizione tra mente e corpo, tra “oggettività” e “soggettività”. E poi, le arti della comunicazione vengono spesso svalutate da chi non le utilizza. Per fortuna, tra i professionisti della salute e, più in generale, tra i professionisti della salute, è sempre più diffusa la consapevolezza che curare la comunicazione col paziente è una priorità nella cura del male (Secci, 2005). Anzi, molti dei padri della comunicazione strategica furono proprio professionisti della salute, o esercitavano per scopi clinici la propria abilità interpersonale. Per esempio, uno tra i primi comunicatori strategici, un sofista di nome Antifonte di Ramunte, vissuto a Corinto intorno al V secolo avanti Cristo, aprì nel centro della città una sorta di ambulatorio professionista della salute dove sanava i propri pazienti attraverso la parola (Skorjanec, 2000). Innanzitutto, Antifonte faceva parlare il malato della sua sofferenza e poi, utilizzando il linguaggio del paziente stesso, lo spingeva a immaginare una realtà della malattia diversa, una situazione in cui sarebbe guarito (Watzlawick, 1977). Bisogna precisare che Antifonte si occupava di guarire “sindromi d’angoscia” (ansia, panico, profonda tristezza, ecc.) e, con ogni probabilità, i sintomi anche fisici di quella che più tardi verrà chiamata isteria.
Si riscontrano tracce di pensiero strategico anche in Galeno, che nel II secolo dopo Cristo insegnava ai sui allievi che “La cura ha più successo in chi ha fiducia”.
Il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, era un professionista della salute. Forse, lo straordinario successo delle sue teorie fu dovuto in parte al fatto che la psicoanalisi imponeva in ambito professionista della salute la regola aurea dell’ascolto, che è uno dei prerequisiti della comunicazione strategica.
Dunque, la comunicazione cura, o aiuta a curare, il corpo.
Ma quando la comunicazione può essere considerata strategica?
Si può subito affermare che, per quanto concerne l’ambito della salute, è strategica la comunicazione pianificata per conseguire obiettivi nell’interesse del paziente, e del professionista della salute.
Infatti, il rapporto professionista della salute-paziente è una situazione comunicativa in cui l’obiettivo è comune e condiviso, e la logica non è di tipo mors tua-vita mea (gioco a somma zero), ma vita tua-vita mea. Se uno solo dei due “perde”, entrambi “perdono”. Se, viceversa, professionista della salute e paziente cooperano affinché la relazione comunicativa abbia successo e faciliti la cura, entrambi “vincono”.
Il delicato mandato “strategico” del professionista della salute o dell’operatore sanitario consiste nel:
• condurre la relazione;
• accompagnare il paziente verso l’obiettivo clinico;
• mantenere sempre elevate la motivazione e la fiducia proprie e del paziente;
• assicurare buoni livelli di compliance e gestire nel modo migliore possibile eventuali imprevisti
A volte, adempiere a tale compito è per il professionista della salute un’attività semplice, spontanea e immediata. Con molti pazienti non occorre, infatti, assumere coscientemente un atteggiamento strategico, o adottare particolari tattiche. Si tratta dei pazienti con cui la comunicazione, semplicemente, fluisce, genera equilibri funzionali alla cura e costruisce regole che facilitano il lavoro dell’operatore.
Altre volte, però, la relazione col paziente (e/o coi suoi familiari) è critica e la cura può risentirne. In questi casi, sono a rischio sia il benessere del paziente che quello dell’operatore sanitario. Accade con pazienti coi quali il professionista della salute fatica a comunicare, i pazienti sfiduciati, quelli che mettono in discussione il ruolo e il “potere” terapeutico di chi lo ricopre. E’ critica la comunicazione coi pazienti che sembrano “disobbedire” al professionista della salute, che non seguono le prescrizioni, o che le seguono a modo proprio. Con questi pazienti l’atteggiamento del professionista della salute deve essere pensato e pianificato. Il professionista della salute deve poter attingere a un repertorio di tattiche che migliorino la relazione per tutelare il paziente, la cura e se stesso. E’ evidente che l’operatore sanitario è strategico se è in grado di comportarsi non solo come esperto d’organo, ma anche come esperto di processo. L’esperto di processo sa captare i segnali, anche deboli, e utilizzarli per favorire la relazione terapeutica. E’ strategica l’attenzione al “segnale debole”, perché annuncia sovente importanti cambiamenti positivi o negativi nella relazione. Inoltre, è strategica l’osservazione del comportamento non verbale del paziente e il controllo della propria comunicazione non verbale per aumentare il grado di influenza che si esercita sulla relazione. Questo tipo di attenzione rappresenta una forma estremamente efficace di ascolto. L’operatore ascolta sia quello che il paziente ha da dire con le parole, sia ciò che esprime col corpo.
E ancora, è strategica la capacità di utilizzare un linguaggio persuasivo e suggestivo finalizzato ad allargare la base di consenso e di fiducia del paziente.
La comunicazione strategica in ambito sanitario si configura quindi come un mezzo per generare nei pazienti comportamenti sintonizzati sul raggiungimento dell’obiettivo terapeutico.
Un professionista della salute francese, Cabanis, vissuto alla fine dell’800 affermò che “i professionisti della salute che guariscono di più, sono quasi tutti uomini esperti nel trattare, nel volgere in qualche modo a piacer loro l’animo umano, a rianimare la speranza, a riportare la calma nelle immaginazioni sconvolte” (Cabanis, 1790 – cit. in Merini A, 1993 – Euripilo e Patroclo: rapporto del professionista della salute con il paziente, CLUEB, Bologna ).
I professionisti della salute che più guariscono, sono appunto esperti nell’arte di comunicare persuasivamente con i pazienti. Naturalmente, essendo i pazienti uno diverso dall’altro, non esiste una tecnica universale per rendersi efficaci. Si può parlare però di quattro principi di metodo strategici molto precisi:
-Principio di flessibilità
-Principio di parsimonia
-Principio di utilizzazione
-Principio di ristrutturazione
Il Principio di flessibilità.
Le strategie d’intervento e il modo in cui vengono comunicate debbono adattarsi alla persona verso la quale sono dirette ed essere congruenti col contesto in cui vengono attuate.
Ogni fatto comunicativo che si verifica nella relazione con uno specifico paziente ha un particolare valore, valore che non può essere generalizzato ad altre persone o circostanze.
E’ un imperativo strategico: l’operatore deve adattarsi all’interlocutore, mettendo da parte, per quanto possibile, pre-giudizi e pre-concetti, stereotipi e luoghi comuni sul paziente. Tra questi alcuni sono particolarmente frequenti:
· il paziente ne sa sempre meno del professionista della salute;
· il livello socio-culturale del paziente è sempre inferiore a quello del professionista della salute;
· se il paziente si ribella al professionista della salute, vuol dire che è una persona incivile e maleducata;
· non occorre spiegare tutto al paziente, tanto non capirebbe comunque. (Lazzari, Costigliola, 1994)
Quanto più aumenta il livello di “preconcetto” portato dal professionista della salute o dall’operatore sanitario nella relazione col paziente, tanto più aumenta il grado di stereotipia delle mosse comunicative. A ciò segue, inevitabilmente, un abbassamento dell’efficacia terapeutica e, spesso, un allontanamento del paziente.
Poiché non è possibile evitare completamente pregiudizi e stereotipi, è bene esserne consci, sapere quali, più di altri, potrebbero disturbare le nostre comunicazioni. Molti di questi limiti non riguardano solo ciò che lo specialista pensa dell’altro, il paziente, ma anche le convinzioni che ha su se stesso. Per esempio, “lavoro meglio con le donne, con gli uomini mi sento a disagio” è un preconcetto che rende difficilissimo rispettare il principio di flessibilità. Infatti, chi ha questa convinzione limitante nel lavoro coi pazienti maschi può sentirsi minacciato a priori e quindi, a priori, può attivare uno schema difensivo.
Il Principio di parsimonia.
I messaggi efficaci sono quelli che “ottengono il massimo col minimo”, quelli generalmente formulati con uno stile suggestivo e adatto al linguaggio del paziente (principio di flessibilità), che ne ricalcano le convinzioni, i valori e le motivazioni.
Non risponde al principio di parsimonia la comunicazione oltremodo specifica, irta di tecnicismi, riferimenti scientifici, dettagli che il paziente potrebbe trovare difficile capire.
Il principio di parsimonia si riferisce alla qualità...

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