Leonardo pittore
Inizia perciò dalla prestigiosa bottega del Verrocchio la carriera del pittore Leonardo da Vinci. Una carriera che ci lascerà tantissimi capolavori, ma che sarà anche costellata da una discreta serie di disastri e pasticci. Avrete già capito che ci soffermeremo soprattutto su questi ultimi.
La parola passa di nuovo al Vasari: “Vennegli fantasia di dipignere in un quadro a olio una testa d’una Medusa con una acconciatura in capo con uno agrupamento di serpe la più strana e stravagante invenzione che si possa immaginare mai; ma come opera, che portava tempo, e come quasi interviene in tutte le cose sue, rimase imperfetta... cominciò una tavola della adorazione da Magi, che v’è su molte cose belle massime di teste. La quale era in casa d’Amerigo Benci dirimpetto alla loggia dei Peruzzi, la quale anche ella rimase imperfetta come l’altre cose sua.”
Della prima opera rimasta imperfetta non abbiamo nessuna traccia, in quanto la Medusa conservata agli Uffizi, in passato ascritta a Leonardo in seguito al racconto del Vasari, è attualmente attribuibile alla scuola fiamminga. La seconda, rimasta effettivamente incompiuta, è invece ancora oggi visibile nel grande Museo fiorentino. Nonostante che oggi l’opera sia comunque considerata un capolavoro, all’epoca i monaci committenti l’Adorazione dei Magi dovettero alla fine rivolgersi a Filippino Lippi per avere la loro pala per l’altare maggiore.
Il fatto di non portare a compimento i lavori iniziati caratterizza molto spesso la produzione leonardesca, per la disperazione dei committenti, spesso anche molto potenti, come Papi e Imperatori. Il fatto è che Leonardo, dopo aver ricevuto la commissione e magari incassato l’anticipo, perdeva facilmente interesse nell’opera, magari perché aveva esaurito la sua spinta sperimentale o perché aveva nel frattempo trovato qualcos’altro di più interessante da fare. Non un grande esempio di professionismo insomma.
Nel numeroso elenco di opere iniziate e mai finite un posto di rilievo spetta alla Vergine delle Rocce. Durante il suo soggiorno milanese presso la corte di Ludovico il Moro, Leonardo, con i fratelli De Predis fu incaricato di eseguire una pala per la Confraternita dell’Immacolata Concezione. Al magister (almeno così definito nel testo della commissione) spettò la realizzazione di una Vergine circondata da angeli, in una scena dominata da montagne, con un presepe sullo sfondo.
Data di consegna 8 dicembre 1483, compenso 200 ducati, garanzia dell’opera almeno dieci anni. Patti chiari … amicizia lunga, sembrerebbe, ma non andò così. Il giorno dell’Immacolata, tutto fatto tranne ovviamente la Madonna del nostro magister. Leonardo aveva sì dipinto una Vergine tra le Rocce, ma contrariamente al pattuito, l’aveva collocata nella penombra, circondata tra ruscelli, dando rilievo all’incontro tra i piccoli Gesù e Giovanni; ma soprattutto il giorno della consegna mancava ancora completamente, particolare non da poco, la colorazione dell’opera. I Frati infuriati invocarono la rescissione del contratto offrendo solo venticinque dei 200 ducati pattuiti. Iniziò un contenzioso tra gli artisti, la Confraternita e lo stesso Ludovico, che peraltro cercò di starne fuori il più possibile. Leonardo fu persino accusato di voler appioppare ai frati un dipinto non suo che si era portato da Firenze. L’accusa forse non era poi del tutto campata in aria, tant’è vero che ad oggi ci sono arrivate due versioni della Vergine delle Rocce, una conservata al Louvre, presumibilmente antecedente ai fatti milanesi e l’abbozzo proposto alla Confraternita conservata alla National Gallery. Alla fine della disputa legale, durata diversi anni, l’opera fu dichiarata ufficialmente incompiuta e a Leonardo furono imposti due anni di tempo per completarla. Sembra poi che a finirla, come ci racconta Silvia Alberti de Mazzeri nella sua bella biografia leonardesca (1983), siano stati proprio i fratelli De Predis, impazienti di incassare il resto del compenso.
Nel frattempo Ludovico, grandemente devoto alla Confraternita dell’Immacolata, rimasto scosso dall’accaduto, cominciò ad avere qualche dubbio per lo meno sull’affidabilità del Leonardo pittore, e dal quel momento sembra più interessato alle sue doti di ingegnere, commissionandogli progetti di ristrutturazione della corte milanese. Le parole con cui Michelangelo aveva bollato il soggiorno alla corte degli Sforza di Leonardo devono essere riecheggiate nella testa del Moro ..."Et che t'era creduto da que' caponi de' Milanesi!".
Se il primo lavoro milanese di pittura portò quindi a Leonardo più scocciature che onori, il successivo passo pittorico del Maestro vinciano assunse addirittura il carattere della catastrofe. Fatale fu l’incontro-scontro con l’affresco. Questa tecnica antichissima, conosciuta già in epoca minoica, è basata sulla deposizione “a fresco” del colore sull’intonaco, cioè prima che questo si asciughi. Il colore così inglobato acquisterà particolare resistenza all’acqua e al tempo, attraversando praticamente inalterato lo scorrere dei secoli. Le difficoltà nel procedimento consistono nel fatto che l’artista è chiamato a terminare la porzione d’intonaco interessata molto velocemente, prima cioè che si asciughi del tutto, e che il processo non consente ripensamenti, in quanto il colore sarà immediatamente assorbito dall’intonaco.
Massimo esempio rinascimentale dell’affresco fu, senza dubbio, il Giudizio Universale della Cappella Sistina realizzato da Michelangelo Buonarroti e non è un caso che lui e Leonardo si detestassero profondamente. Da notare che Michelangelo ricevette da Papa Giulio II la prima commissione per affrescare la volta della Sistina su consiglio del Bramante, che come amico e parente di Raffaello, a sua volta avversario del Buonarroti, cercò in questo modo di metterlo in difficoltà, pensando non riuscisse nell'opera, data la sua scarsa esperienza nella pittura a fresco. Una bella mossa, non c'è che dire.
Tornando a noi, è del tutto evidente come questa tecnica non si confacesse all’indole, per così dire, riflessiva di Leonardo che perciò, non appena fu chiamato a confrontarsi con essa, non perse l’occasione per studiarne delle profonde variazioni. Ciò avvenne nel 1495, quando Ludovico lo incaricò di affrescare il refettorio dei Frati Predicatori con un' Ultima Cena di Gesù con gli Apostoli. Il completamento dell’opera durò tre lunghissimi anni. Poiché, come detto, la tecnica dell’affresco mal si addiceva alla sua lentezza esasperante, Leonardo decise di fare di testa sua. In pratica dipinse sull’intonaco ormai asciutto, usando colori tipici della pittura su tavola. Questa tecnica permise al momento di ottenere effetti di luminosità che erano impensabili per un affresco tradizionale, ma se per secoli nessuno l’aveva mai adottata ci sarà stato pure un perché.
Testimone della lentezza di Leonardo e delle sue giornate passate a riflettere piuttosto che a dipingere fu lo stesso Priore di Santa Maria delle Grazie che se ne lamentava con lo stesso Pittore e con Ludovico. Narra a proposito il Vasari: ”Dicesi che il priore di quel luogo sollecitava molto importunamente Lionardo che finissi l’opera, parendogli strano veder talora Lionardo starsi un mezzo giorno per volta astratto in considerazione, et arebbe voluto, come faceva dell’opere che zappavano ne l’orto, che egli non avesse mai fermo il pennello. E non gli bastando questo, se ne dolse col Duca e tanto lo rinfocolò”. La geniale vendetta non si fece attendere e dovendo dipingere ancora il viso di alcuni personaggi “gli mancava poi quella di Giuda, che anco gli metteva pensiero, non credendo potersi imaginare una forma, da esprimere il volto di colui, che dopo tanti benefizii ricevuti, avessi avuto l’animo sì fiero, che si fussi risoluto di tradir il suo Signore e creator del mondo, purché di questa seconda ne cercherebbe, ma che alla fine non trovando meglio, non gli mancherebbe quella di quel priore, tanto importuno et indiscreto”. E così anche il Priore fu servito e non fece più parola.
Terminato il dipinto, Leonardo si accorse immediatamente che la tecnica utilizzata stava distruggendo l’opera. Nella parte in basso a sinistra cominciava a crescere una piccola crepa, ma non era che l’inizio del degrado che ne seguirà. Circa venti anni più tardi, i danni erano già molto evidenti e il Vasari che la vide poi nel 1566 commentò che ”non si scorge più se non una macchia abbagliata”. Un tal Francesco Scannelli, erudito e scrittore d'arte romagnolo, lasciò scritto nel 1642 che dell’originale non erano rimaste che poche tracce e che il soggetto era pressoché incomprensibile. Ciò che Leonardo non aveva previsto era l’umidità della parete, tra l’altro esposta a nord, e la condensa prodotta dagli sbalzi di temperatura. I tentativi di restauro nei secoli successivi non riuscirono mai a riportare l’opera in linea con quella proposta nelle copie su tavola predisposte come studio, caratterizzate da colori vivissimi.
Il colpo di grazia all’opera ormai in completo disfacimento fu poi inferto in epoca successiva dalle truppe Napoleoniche che usarono il refettorio come bivacco e il Cenacolo come sagoma di tiro a bersaglio. Solo la più grande opera di restauro mai partorita dall’uomo, durata più di venti anni dal 1978 al 1999, riportò il Cenacolo se non al 100% almeno in buona parte all’opera originale, così come è possibile ammirarla ancora oggi nell'ex-refettorio del convento adiacente al Santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano.
La lezione non fu sufficiente a convincere Leonardo dall’esimersi dal proporre modifiche a tecniche che funzionavano benissimo da secoli e ci ricascò ancora. Questa volta i danni furono ancora più drammatici. Stiamo andando dritti verso La Battaglia di Anghiari.
Nell'aprile del 1503 Pier Soderini, appena nominato Gonfaloniere a vita (si fa per dire, visto che sarà sostituito una decina di anni dopo da Giovanni di Lorenzo de’ Medici) della rinata Repubblica Fiorentina decise di far affrescare le grandi pareti del nuovo ed imponente Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio. Si trattava di opere grandiose per le loro dimensioni (intorno a 20 metri per 10) e per intenti, così che il Gonfaloniere pensò bene di ingaggiare i due più grandi artisti della Firenze dell’epoca,...