Il Capitale di Marx Brevemente compendiato (Con una lettera di Marx all'autore)
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Il Capitale di Marx Brevemente compendiato (Con una lettera di Marx all'autore)

Informazioni su questo libro

Il Compendio del Capitale, approvato dallo stesso Marx, è un'opera esemplare e del tutto riuscita, per sintesi e chiarezza dell'esposizione. Carlo Cafiero (1846 – 1892) è stato un anarchico e uno scrittore italiano.
Dopo l'incontro a Londra con Karl Marx e Friedrich Engels, si accostò al marxismo, divenendo uno dei principali divulgatori del capitale di Marx.
Successivamente si allontanò dal comunismo autoritario marxista, accostandosi al comunismo anarchico, di cui peraltro divenne uno dei principali esponenti. Insieme ad Andrea Costa, Giuseppe Fanelli, Errico Malatesta e Lodovico Nabruzzi, entrò a far parte della Lega Internazionale dei Lavoratori di Bakunin (una sorta di organizzazione segreta, dotata di speciali statuti).
Cafiero era convinto che la società futura, realizzata dall'anarchia, avrebbe permesso una più equa distribuzione delle ricchezze e dei beni, la cui produzione sarebbe stata nettamente maggiore rispetto all'attuale perché conseguenza spontanea del lavoro libero e di liberi lavoratori, mossi dal solo desiderio di contribuire alla realizzazione di una società migliore e quindi privi di interessi egoistici e capitalistici. Per Cafiero in futuro ognuno potrà contribuire alla realizzazione della società secondo le proprie capacità e ricevere secondo i propri bisogni.

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Informazioni

Anno
2019
eBook ISBN
9788831616560
Argomento
Filosofia

CAPITOLO IX

Accumulazione del capitale
Se osserviamo la formula del capitale, comprendiamo facilmente che la sua conservazione è tutta riposta nella sua successiva e continua riproduzione.
Infatti, il capitale si divide, come noi già sappiamo, in due: in costante, cioè, e variabile. Il capitale costante, rappresentato dai mezzi di lavoro e dalle materie di lavoro, soffre un continuo logoramento durante il processo del lavoro. Si consumano gli strumenti, si consumano le macchine, il carbone, il sego, eccetera, che abbisogna alle macchine, e si consuma infine il fabbricato. Nello stesso tempo però che il lavoro viene in siffatta guisa logorando il capitale costante, esso lo viene eziandio riproducendo nelle stesse proporzioni nelle quali lo consuma. Il capitale costante trovasi riprodotto nella merce nelle proporzioni in cui è stato consumato durante la sua fabbricazione. Il valore consumato dei mezzi di lavoro e delle materie di lavoro è sempre esattamente riprodotto nel valore della merce, come noi abbiamo già veduto altrove. Se, dunque, il capitale costante si viene riproducendo parzialmente in ogni merce, è chiaro che, nel valore di un certo numero di merci prodotte, si troverà tutto il capitale costante, consumato nella loro fabbricazione.
Com’è del capitale costante, così è del capitale variabile. Il capitale variabile, quello rappresentato dal valore della forza di lavoro, cioè dal salario, si riproduce anch’esso esattamente nel valore della merce. Noi lo abbiamo già visto. L’operaio, nella prima parte del suo lavoro, produce il suo salario, e nella seconda il plusvalore. Siccome il salario all’operaio non è pagato che a lavoro finito, così avviene che egli riscuote il suo salario dopo averne già riprodotto l’equivalente nella merce del capitalista.
L’assieme dei salari pagati ai lavoratori è dunque da questi riprodotto incessantemente. Questa incessante riproduzione del fondo dei salari perpetua la soggezione del lavoratore al capitalista. Quando il proletario viene sul mercato a vendere la sua forza di lavoro, egli viene a prendere il posto assegnatogli dal modo di produzione capitalista, e a contribuire alla produzione sociale per la parte di lavoro che gli spetta, ritirando, pel suo mantenimento, quella parte dei fondi dei salari, che egli dovrà, prima, con il suo lavoro riprodurre.
È sempre l’eterno vincolo di soggezione umana, sia esso sotto la forma della schiavitù, della servitù, o del salariato.
L’osservatore superficiale crede che lo schiavo lavori per nulla. Ei non pensa che lo schiavo deve anzitutto rifare il suo padrone di quanto questi spende pel suo mantenimento: e si osservi che il mantenimento dello schiavo è talvolta di gran lunga migliore di quello del salariato, essendo il suo padrone altamente interessato alla sua conservazione, come alla conservazione di una parte del proprio capitale. Il servo, che, insieme con la terra, alla quale è attaccato, appartiene al suo signore, è, per l’osservatore superficiale, un essere che ha fatto dei progressi in confronto dello schiavo, perché il servo si vede chiaramente che dà una parte sola del suo lavoro al suo signore, mentre impiega l’altra parte sulla poca terra assegnatagli, per campare la vita. E il salariato, alla sua volta, apparisce al superficiale osservatore, uno stato molto più progredito a paragone della servitù, perché il lavoratore sembra in esso perfettamente libero, percependo il valore del proprio lavoro.
Strana illusione! Se il lavoratore potesse realizzare per sé il valore del proprio lavoro, il modo di produzione capitalista non potrebbe allora più esistere. Noi l’abbiamo già visto. Il lavoratore altro non può ottenere che il valore della sua forza di lavoro, che è la sola cosa che può vendere, perché è il solo bene che possieda al mondo. Il prodotto del lavoro appartiene al capitalista, il quale paga al proletario il salario, cioè il suo mantenimento. Nella stessa guisa, il pezzo di terra, non che il tempo e gli strumenti necessari a lavorarlo, lasciati dal signore al suo servo, sono la somma dei mezzi che questi ha per vivere, mentre deve lavorare tutto il resto del tempo per il suo signore.
Lo schiavo, il servo e l’operaio lavorano tutti tre in parte per produrre il loro mantenimento, e in parte assolutamente per il guadagno dei loro padroni. Essi rappresentano tre forme diverse dell’istessissimo vincolo di soggezione e sfruttamento umano. E sempre la soggezione dell’uomo privo di qualsiasi accumulazione primitiva (cioè dei mezzi di produzione, che sono i mezzi di vita) all’uomo che possiede un’accumulazione primitiva, i mezzi di produzione, le sorgenti della vita. La conservazione, cioè la riproduzione del capitale, è appunto, nel modo di produzione capitalista, la conservazione di questo vincolo di soggezione e sfruttamento umano.
Ma il lavoro non solamente riproduce il capitale, ma produce eziandio plusvalore, il quale forma ciò che chiamasi ‘rendita del capitale’. Se il capitalista fonde ogni anno tutta o parte della sua rendita con il capitale, noi avremo un’accumulazione del capitale, che verrà progressivamente crescendo. Con la riproduzione semplice il lavoro conserva il capitale; con l’accumulazione del plusvalore il lavoro ingrossa il capitale.
Quando la rendita si rifonde con il capitale, si viene a impiegare questa rendita, parte in mezzi di lavoro, parte in materie di lavoro e parte in forza di lavoro. Allora si ha che il passato sopralavoro, il passato lavoro non pagato, viene a ingrossare l’intero capitale. Una parte del lavoro non pagato dello scorso anno viene a pagare il lavoro necessario di questo anno. Ecco ciò che riesce a fare il capitalista, grazie all’ingegnoso meccanismo della produzione moderna.
Una volta ammesso il sistema di produzione moderna, tutto basato sulla proprietà individuale e sul salariato, nulla si può trovare a ridire sulle conseguenze che ne derivano, una delle quali è l’accumulazione capitalista. Che importa all’operaio Antonio, se le 3 lire, che gli si pagano di salario, rappresentano il lavoro non pagato all’operaio Pietro? Ciò che egli ha diritto di sapere è se le 3 lire sono il giusto prezzo della sua forza di lavoro, se sono cioè l’esatto equivalente delle cose a lui necessarie in un giorno, se la legge degli scambi, in una parola, è stata rigorosamente osservata.
Quando il capitalista incomincia ad accumulare capitale a capitale, una nuova virtù, tutta sua propria, si sviluppa in lui; la così detta ‘virtù dell’astinenza’, che consiste a limitare tutte le proprie spese, per impiegare la parte maggiore della sua rendita nell’accumulazione. «La volontà del capitalista e la sua coscienza altro non riflettendo che i bisogni del capitale che egli rappresenta, il capitalista non saprebbe vedere nel suo consumo personale che una specie di furto, o almeno di prestito, fatto all’accumulazione; e, infatti, la tenuta dei libri in partita doppia mette le spese private al passivo come dovute dal capitalista al capitale. Infine, accumulare è conquistare il mondo della ricchezza sociale, stendere la sua dominazione personale, aumentare il numero dei suoi sudditi, cioè sacrificarsi a una ambizione insaziabile.»
«Lutero mostra molto bene (con l’esempio dell’usuraio, questo capitalista di forma fuori di moda, ma sempre rinascente) che il desiderio di dominare è un movente della sete di ricchezze. “La semplice ragione” egli dice “ha permesso ai pagani di tenere l’usuraio come un assassino e ladro quattro volte. Ma noi, cristiani, lo teniamo in tanto onore, che l’adoriamo quasi a causa del suo denaro. Colui che nasconde, ruba e divora il nutrimento di un altro è (per quanto può esserlo) ugualmente assassino di colui il quale lo fa morire di fame o lo rovina a fondo. E questo è quanto fa l’usuraio, eppure egli resta assiso in tutta sicurtà sul suo seggio, mentre sarebbe molto più giusto che, sospeso alla forca, egli fosse divorato da tanti corvi quanti furono gli scudi che ha rubato; sempreché in lui vi fosse tanta carne, di cui tutti quei corvi potessero ciascuno prenderne un pezzo. S’impiccano i piccoli ladri…, i piccoli ladri sono messi ai ferri; i grandi ladri si vanno pavoneggiando nell’oro e nella seta. Non v’ha sulla terra (toltone il diavolo) un più grande nemico del genere umano che l’avaro e l’usuraio, perché egli vuole essere Dio sopra tutti gli uomini. Turchi, gente di guerra, tiranni sono certamente una cattiva genia; pure essi sono obbligati a lasciar vivere la povera gente e a confessare che essi sono scellerati e nemici; succede loro perfino d’intenerirsi loro malgrado. Ma un usuraio, questo sacco d’avarizia, vorrebbe che il mondo intero fosse in preda alla fame, alla sete, alla tristezza e alla miseria; egli vorrebbe avere tutto per sé solo, affinché ognuno dovesse ricevere da lui come da un Dio e restare il suo servo in perpetuo. Egli porta catene e anelli d’oro, e si fa passare per un uomo pio e mite. L’usuraio è un mostro enorme, peggiore di un orco divoratore… E se si arruotano e si decapitano gli assassini e i ladri da strada, quanto più non si dovrebbero cacciare, maledire, e arruotare tutti gli usurai e tagliare loro la testa!”»19
L’accumulazione capitalista richiede un aumento di braccia. Il numero dei lavoratori deve essere aumentato, se si vuole convertire una parte della rendita in capitale variabile. L’organismo stesso della riproduzione capitalista fa in modo che il lavoratore possa conservare la sua forza di lavoro nella nuova generazione, dalla quale il capitale la prende per continuare il suo processo di riproduzione incessante. Ma il lavoro che si richiede oggi dal capitale è superiore a quello che si richiedeva ieri; e per conseguenza il suo prezzo dovrebbe naturalmente aumentare. E aumenterebbero infatti i salari, se nella stessa accumulazione del capitale non ci fosse una ragione per farli invece diminuire.
È vero che la rendita dovrebbe essere convertita, parte in capitale costante, e parte in capitale variabile; parte, cioè, in mezzi e materie di lavoro, e parte in forza di lavoro, ma bisogna considerare che con l’accumulazione del capitale vengono i perfezionamenti dei vecchi sistemi di produzione, i nuovi sistemi di produzione e le macchine; tutte cose che fanno aumentare la produzione, e diminuire il prezzo della forza di lavoro, come già sappiamo. A misura che cresce l’accumulazione del capitale, la sua parte variabile diminuisce, mentre la sua parte costante aumenta. Si aumentano, cioè, i fabbricati, le macchine con le loro materie ausiliarie, si aumentano le materie di lavoro, ma, nello stesso tempo e in proporzione di questo aumento, con l’accumulazione del capitale si diminuisce il bisogno della forza di lavoro, il bisogno delle braccia. Diminuendo il bisogno della forza di lavoro, ne diminuisce la richiesta, e finalmente ne diminuisce anche il prezzo. Si ha, quindi, che più progredisce l’accumulazione del capitale, più ribassano i salari.
L’accumulazione del capitale prende vaste proporzioni per mezzo della concorrenza e del credito. Il credito porta spontaneamente più capitali a fondersi assieme, oppure a fondersi con uno più forte di ciascuno di essi. La concorrenza, invece, è la guerra che tutti i capitali si fanno fra loro; è la loro lotta per l’esistenza, dalla quale escono, resi ancor più forti, coloro che per vincere dovevano essere stati già prima i più forti.
L’accumulazione del capitale inutilizza, dunque, gran numero di braccia; crea, cioè, un eccesso di popolazione lavoratrice. «Ma se l’accumulazione, il progresso della ricchezza sulla base capitalista, produce necessariamente una sovrapopolazione operaia, questa diventa alla sua volta la leva più potente dell’accumulazione, una condizione di esistenza della produzione capitalista nel suo stato di sviluppo integrale. Essa forma un’armata di riserva industriale, che appartiene al capitale in modo così assoluto come se l’avesse allevata e disciplinata a sue proprie spese. Essa fornisce la materia umana sempre sfruttabile e disponibile per la fabbricazione del plusvalore. È solamente sotto il regime della grande industria che la produzione di un superfluo di popolazione diventa una molla regolare della produzione delle ricchezze.»20
Quest’armata di riserva industriale, questa sovrapopolazione lavoratrice si divide in diverse categorie. La prima di queste è meglio p...

Indice dei contenuti

  1. Il Capitale di Carlo Marx
  2. Carlo Cafiero
  3. Il Capitale
  4. Prefazione di Carlo Cafiero
  5. CAPITOLO I
  6. CAPITOLO II
  7. CAPITOLO III
  8. CAPITOLO IV
  9. CAPITOLO V
  10. CAPITOLO VI
  11. CAPITOLO VII
  12. CAPITOLO VIII
  13. CAPITOLO IX
  14. CAPITOLO X
  15. CONCLUSIONE
  16. APPENDICE:
  17. Note