Fra Tommaso Campanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia (Ed. integrale in due volumi)
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Informazioni su questo libro

Fra Tommaso Campanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia Tommaso Campanella (Stilo, Reggio Calabria 1568 - Parigi 1639), è stato un filosofo italiano. Entrò nell'ordine dei domenicani (cambiando il nome in Tommaso) e vi compì gli studi. Eccentrico rispetto alla cultura dominante, nel 1599 fu arrestato perché accusato di eresia e di cospirazione contro il governo spagnolo di Napoli. Fintosi pazzo per evitare la pena capitale, trascorse 27 anni nella prigione napoletana: qui scrisse il suo capolavoro, La Città del Sole (1602), che descrive una società ideale ispirata al modello della Repubblica di Platone. Uscì dal carcere nel 1626, ma, nuovamente perseguitato, fu costretto a cercare rifugio in Francia. Le sue opere, 82 in tutto, si occupano di numerose questioni filosofiche; fra i suoi trattati vanno segnalate la Theologia (1613, terminata nel 1624), la Metaphysica (terminata nel 1623) e l'Apologia pro Galilaeo (1616), in difesa di Galileo Galilei.
Luigi Amabile ne ripercorre la biografia e i processi.
FONTE: Microsoft Encarta® 2009.

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Informazioni

FRA TOMMASO CAMPANELLA
LA SUA CONGIURA, I SUOI PROCESSI
E LA SUA PAZZIA
NARRAZIONE
CON MOLTI DOCUMENTI INEDITI POLITICI E GIUDIZIARII,
CON L’INTERO PROCESSO DI ERESIA
E 67 POESIE DI FRA TOMMASO FINOGGI IGNORATE,
PER
LUIGI AMABILE
già prof. ord. di Anatomia patologica nella R. Università di Napoli,
già Deputato al Parlamento Nazionale.
«La così detta congiura, che il Baldacchini
e i più dei biografi Campanelliani qualificano
eterno ed insolubile problema degli
eruditi». - Berti, T. Campanella, 1878.

VOL. II.

NARRAZIONE, PARTE II.
NAPOLI
CAV. ANTONIO MORANO, EDITORE
371, Via Roma, 372
1882

CAP. IV.

PROCESSI DI NAPOLI E PAZZIA DEL CAMPANELLA.
A. - Processo della congiura (primi mesi del 1600).
I. Al declinare del giorno 8 novembre 1599, le quattro galere provenienti dalla Calabria giungevano in vista di Napoli, e poco dopo un battello spiccavasi dal Regio «tarcenale», come allora si diceva, ed andava ad incontrarle. Nella sera, all’entrare in porto, dalle antenne di ciascuna galera si vide spenzolare un uomo appiccato, e due altri si videro squartare in mezzo alle galere medesime, «per spavento del populo di questa città, concorso in numero infinito alla fama di questi funesti spettacoli»1 . L’indomani, i carcerati venivano sbarcati e rinchiusi parte nel Castel nuovo e parte nel Castello dell’uovo.
Ecco come era andata la faccenda di queste esecuzioni: ce ne danno notizie abbastanza precise in ispecie tre documenti autentici da noi raccolti, una lettera Vicereale del 9 novembre rinvenuta in Simancas, e due certificati scritti più tardi da’ sacerdoti che avevano assistito alcuni di quegl’infelici, inserti poi nel processo di eresia. Il Vicerè scriveva a S. M.: «D. Garzia di Toledo con le quattro galere giunse ieri con Carlo Spinelli e i prigioni di Calabria, de’ quali si aveano da giustiziare in Monteleone sei che erano convinti e confessi, e per non trattenere le galere li condussero con gli altri. Prima di sera mi avvertirono di quanto accadeva, e comandai che andassero ad incontrare le galere alcuni Religiosi i quali li aiutassero a ben morire, e che all’entrata del porto ne appiccassero quattro alle antenne e ne squartassero due, come si fece; ma ordinai che dapprima li strozzassero, ed essi morirono molto bene confessando i loro delitti, quantunque uno rimanesse pertinace sino all’ultimo ed infine morisse come gli altri. Oggi i prigioni sono stati posti ne’ Castelli» etc.2 . Adunque l’ordine delle esecuzioni anche questa volta fu dato dal Vicerè; e da una lettera del Nunzio, come vedremo più sotto, risulta che le galere si fermarono in Nisida per entrare la sera nel porto, od almeno che si era diffusa la voce di questo avvenimento, senza dubbio insieme con la fama del funesto spettacolo, secondo l’espressione del Residente Veneto. Nè fu vero che que’ due infelici venissero squartati vivi, siccome dissero di poi il Parrino e il Giannone ed anzi lo stesso Residente, il quale lo riferì al suo Governo del pari il 9 novembre, mostrando bene che tale era stata l’impressione avutane in Napoli; il Vicerè fu tanto caritatevole da pensare non solo a questo, ma anche a far salvare le anime di quegl’infelici coll’invio de’ Religiosi, mentre sulle galere non mancavano mai i rispettivi Cappellani, sicchè in Madrid doverono rimanerne edificatissimi. Un certificato appunto del Cappellano della galera denominata S.ta Maria, D. Eligio Marti, che poi con la stessa qualità passò a servire nell’ospedale degl’Incurabili, ed un certificato di Gio. Luca de Crescenzio de’ Padri Ministri degl’infermi, o Padri della Crocella com’erano chiamati volgarmente, ci rivelano il resto, mostrandoci a quale ordine di Religiosi il Vicerè fosse ricorso3 . Erano allora in gran voga, e giustamente, i Padri Ministri degli infermi: lo stesso venerabile Camillo de Lellis li avea condotti in Napoli nel 1588, ed avea fatto grandemente apprezzare la loro caritatevole istituzione, sicchè ben presto, per le beneficenze di D.a Giulia Castelli, ebbero una distinta casa di Noviziato di rimpetto al Castello dell’ovo (alle Crocelle), oltrechè s’istallarono negli ospedali dell’Annunziata, degl’Incurabili, di S. Giacomo, venendo poi anche il De Lellis pel servizio corporale degl’infermi all’Annunziata; solo più tardi, col crescere della loro fortuna, preferirono il servizio spirituale, onde finirono per mantenersi in riputazione principalmente con la volgare credenza che avessero una speciale preghiera per abbreviare l’agonia degl’infermi accelerandone la morte! Più Religiosi di quest’ordine andarono a confortare quelli che doveano essere giustiziati, e al De Crescenzio toccò di confortare Gio. Battista Vitale, «il quale fu all’hora affocato dalli ministri di giustitia sopra uno schiffo e poi squartato in mezzo alle dette galere»; ma «in quel medesimo tempo che stava per morire, publice et in presentia nostra, e del fiscale sciarava, che si ritrovava in dette galere con detto Carlo Spinello, dichiarò, che quello che esso havea detto contro quelle persone da lui nominate nelle sue depositioni, e specialmente contro monaci, tanto in materia di Ribellione, quanto in materia di heresia non era vero, ma che il tutto havea detto per dolori de’ tormenti datili dal predetto «fiscale sciarava». Al Marti poi toccò di udire la stessa dichiarazione, durante il viaggio, non solo dal Vitale ma anche dai Caccìa e dal Pisano, e da ultimo toccò di trovarsi presente ed aiutare a ben morire «apparandosi detto acto di giustitia sopra la detta galiera S.ta Maria» per Gio. Battista Vitale e per Gio. Tommaso Caccìa, i quali ad alta voce innanzi al fiscale Sciarava là presente ripeterono la dichiarazione e volevano che fosse scritta; «qual dechiaratione da loro facta, fu eseguita la detta giustitia, et furono li predetti Gio. Battista et Gio. Thomaso affoghati sopra uno schifo, et poi squartati in mezo di dette Galiere». Intanto come mai il Vicerè non disse nulla su tale proposito, e parlò invece della temporanea pertinacia irreligiosa mostrata da uno di questi infelici? Verosimilmente essi fecero dichiarazioni di discolpe, ma parziali, avendo in realtà rivelato per atroci torture più di quello che conoscevano, e noi l’abbiamo fatto avvertire a suo tempo, nè il Vitale potè smentire ciò che avea rivelato in materia di eresia, mentre non era stato mai interrogato su tale materia; quanto poi alla pertinacia di uno di loro, la cosa fu vera ed accadde appunto in persona del Vitale. Difatti si ebbe in sèguito la testimonianza di Maurizio, il quale sul punto di morte narrò a’ Delegati del S.to Officio che suo cognato «che fu giustitiato qua in Napoli sopra il molo dentro mare… non si voleva convertere, perchè diceva havere inteso da fra Dionisio che non ci era Christo, ciò e, che non ci credeva»4 . Si ebbe poi anche, nel processo di eresia, la testimonianza del Barone di Cropani, il quale a detto altrui, giacchè soffrendo il mal di mare non vide nulla, disse che «tre che furo giustificiati sopra la galera», dove egli si trovava, gridavano essere stato loro estorto co’ tormenti quanto aveano rivelato intorno alla ribellione, aggiungendo che «un Gio. Battista de Nicastro quale fu giustificato non si voleva convertire, ma disse che voleva andare a casa del diavolo, et ivi aspettare don loyse sciarava, si ben ala fine si ridusse et morì devotamente»5 . È facile ravvisare che si alluderebbe qui propriamente a Gio. Battista Bonazza, il quale come vedremo or ora dovè essere giustiziato del pari; se non che in quanto alla pertinacia irreligiosa da lui mostrata probabilmente il Barone equivocò, confondendolo con Gio. Battista Vitale.
Ma, oltre il Caccìa e il Vitale, vi furono quattro altri semplicemente appiccati, e su’ nomi di costoro non abbiamo la benchè menoma notizia. Forse nell’Archivio de’ Padri Ministri degl’infermi, che dicono trovarsi in Roma, potrebbe aversene qualche cenno; ma è difficile che costoro abbiano avuti registri particolareggiati come vedremo averli i Bianchi di giustizia, i quali confortarono alcuni altri più tardi, e sicuramente non ne dicono nulla nè gli Annali del Lenzo, nè le Memorie storiche del Regi, che abbiamo appositamente consultato. Nondimeno per tre di loro, anche dietro l’indizio datone dal Barone di Cropani, possiamo dire essere stati con ogni probabilità quelli presi dal Soldaniero e già condannati a morte, cioè Gio. Battista Bonazza alias Cosentino, Fabio Furci e Scipio lo Jacono; il quarto dovè essere uno della stessa comitiva, ovvero Gio. Ludovico Tedesco che fu preso con fra Dionisio, col Vitale e col Maurizio, ma non abbiamo qualche elemento di una certa consistenza per affermarlo. Il Campanella nella sua Narrazione disse: «4 banditi nè confessi, nè nominati in cosa di ribellione appiccaro nel molo Xarava e Spinelli, perchè si dicesse in Ispagna, ch’era verificata la ribellione»; ma almeno i tre sopracitati erano confessi, ed il primo di loro, il Bonazza o Cosentino, era stato nominato dal Pizzoni oltrechè dal Soldaniero.
Del rimanente è verissimo che lo stesso Vicerè esagerava l’importanza dell’affare, per magnificare il servizio reso alla Corona di Spagna e per far valere le pretensioni del potere civile verso l’ecclesiastico: ce lo dimostrano le relazioni del Residente Veneto e del Nunzio Pontificio. Il Residente, nel giorno medesimo dello sbarco de’ carcerati, si diè premura di vedere il Vicerè, che gli disse il loro numero essere di 156, de’ quali «ottantasei rei convinti da non poter fuggir la morte et gli altri indiciati»! Egli trasmise questa notizia al suo Governo, e contemporaneamente partecipò anche il genere di morte ideato dallo Spinelli per Maurizio (ciò che farebbe credere essergli stato del pari comunicato dal Vicerè), partecipò il supplizio inflitto a sei de’ carcerati sulle galere, ed aggiunse che il Campanella ed il Ponzio negavano la ribellione ma confessavano l’eresia, per tentare, come credevasi, di «prolongar la pena con esser condotti a Roma»; quest’ultimo apprezzamento usciva in campo per la prima volta e potè forse provenire dal medesimo Vicerè, ma senza dubbio il fatto era riferibile agli altri frati e clerici e non già a’ due che venivano citati. Il Nunzio poi avea veduto anche prima il Vicerè, «havendo… havuto notitia che le Galere erano a Nisida per entrar al notte (sic) in porto», allo scopo di ricordargli che ordinasse al carceriere del Castello di tenere a sua istanza gli ecclesiastici carcerati, i quali avea saputo essere al numero di 14 (al di sotto del vero); e il Vicerè gli disse che tutti i carcerati erano 160, che tra gli ecclesiastici vi erano 8 clerici selvaggi della diocesi del Vescovo di Mileto (la qual cosa non era vera), che aveva anche qualche indizio contro il Teologo di quel Vescovo (tale era stato nell’anno precedente il Campanella), e perciò scrivesse al Vescovo di venire a Napoli insieme col Teologo, aggiungendo che farebbe tenere i carcerati nel Castello ad istanza di lui, ma in quanto alla congiura era necessario l’intervento di qualcuno de’ suoi ufficiali negli esami. Ricordiamo che, nel settembre, il Vicerè aveva espresso desiderio che si mandasse in Calabria un delegato del Nunzio, il quale sarebbe intervenuto negli esami degli ecclesiastici da farsi innanzi agli ufficiali Regii, e da Roma si era scritto che la causa degli ecclesiastici dovea farsi in Napoli dal Nunzio, vale a dire nel modo normale: ora, venuti i carcerati in Napoli, il Vicerè affacciava la medesima pretensione, ma naturalmente sotto forma diversa e senza dubbio più temperata, e per appoggiarla metteva innanzi, ad occasione del processo di congiura, i clerici selvaggi, Mons.r di Mileto e il suo Teologo, mentre sapeva bene che non c’era alcuna relazione tra essi e la congi...

Indice dei contenuti

  1. FRA TOMMASO CAMPANELLA
  2. Luigi Amabile
  3. Tommaso Campanella
  4. VOL. I.
  5. VOL. II.
  6. Note
  7. Note