Lettere d'amore
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Lettere d'amore

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Informazioni su questo libro

L'ebook ripropone le lettere d'amore che due giovani scrittori e poeti, Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti, si sono scambiate agli inizi del Novecento. Nelle lettere non solo l'amore è protagonista. I temi dominanti spaziano dalle confidenze reciproche, agli elogi o alle critiche di personaggi illustri; ma trattano anche di salute cagionevole, di romanticismo, di pettegolezzi e naturalmente di poesia

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Informazioni

LETTERE D’AMORE

DI
GUIDO GOZZANO
E
AMALIA GUGLIELMINETTI

Torino, (13) aprile 1907
Cortese Avvocato,
ieri sera ho ritrovato fra le pagine del suo libro un poco di quella fraternità spirituale che la sua offerta mi rivela.
Il rimpianto di ciò che fu, e l’ansia di ciò che non è ancora, e il sottile tormento del dubbio, e l’ebrezza folle del sogno, tutte le cose belle e perfide di cui noi poeti si vive e ci s’avvelena.
Non ho ancora assaporato le squisitezze dell’arte, solo ho sfiorato l’essenza, l’anima della sua poesia: un’anima un poco amara, un poco inferma.
Spero che la sua fraternità non sarà più tanto silenziosa, ch’essa vorrà esprimersi in modo più diretto.
Cordialmente
Amalia Guglielminetti

Camogli, 21 aprile 1907
Una cartolina illustrata firmata: «Gozzano».

S. Francesco d’Albaro
Albergo di S. Giuliano Genova,
24 maggio 1907
Saluti dalla mia spiaggia d’esilio ed auguri non necessari!
Guido Gozzano

Veranda dell’Albergo di S. Giuliano Genova,
26 maggio 1907
Non mi concederò che fra due giorni il piacere di scriverle.
Perché è qui sulla spiaggia la mia Mamma – giunta ieri improvvisamente e che ripartirà domani sera –. Non risalgo quindi all’albergo per una lettera che mi attira troppo e che non sarà breve.
Ma voglio subito dirle grazie del volume non ricevuto e che già posseggo fin dal giorno 19 (memorabili le date delle gite a Genova, in questa solitudine obbligatoria!). E forse la copia fraternamente speditami è stata trattenuta da mia sorella, a Torino; e ne sono contento.
Ho letto il suo libro.1
E me l’hanno riletto gli amici (Giuseppe De Paoli, fra gli altri) ieri mattina in una traversata da S. Giuliano a Portofino: il suo volume viaggiava con noi, su d’una vecchia paranza peschereccia (e Lei non lo sapeva!). Rossi leggeva a voce alta: e le sue rime avevano un fascio di corde per leggio e il mare per commento. E Lei non lo sapeva!
I miei amici ne parleranno sul Caffaro e sul Sec. XIX. Io ne parlerò sulla Rassegna Latina (bellissima cosa nascitura) e glie ne parlerò nella lettera di posdomani
Arrivederla, dunque, e mille affettuosi ossequi.
Guido Gozzano

S. Francesco d’Albaro
Albergo di S. Giuliano - Genova,
5 giugno 1907
Mi perdoni, anzi tutto, l’indugio.
Sono stato male – cioè peggio, perché male sto da parecchi mesi. Oggi, il secondo giorno di sollievo, ho rilette per la quinta o sesta volta le sue rime, da capo a fondo.
E per eliminare subito in una lettera come questa i frasari di prammatica, Le giuro, cara Signorina, che non conosco nella letteratura muliebre italiana, presente e passata, opera di poesia paragonabile alla sua.
La «degna ghirlanda» di sonetti che Ella ha saputo foggiare, Le dà il primissimo posto, non fra le donne (fra le donne Ella non ha competitrici: le donne non sanno scrivere) ma fra gli ingegni virili di più belle speranze.
I suoi sonetti – tecnicamente euritmici, disinvolti nell’atteggiamento, nobilissimi nella rima ricca, stanno a pari con quelli di Belfonte (e sono superiori a quelli di Gaspara Stampa, che ne ha di scadentucci assai, povera Anassilla!).
Era dunque naturale che Lei, con tali mezzi tecnici uniti ad una profondità di sentimento e di pensiero eccezionale, ci offrisse la bell’opera umana, artistica, sobria, organica. Organica, sopra tutto, che è il primissimo elemento di vitalità (come organica è Belfonte, come organico è «Homo» al quale ultimo libro, l’opera sua si collega per concetto ispiratore e distributore. Oimé! Ho avvicinati due titoli che darebbero occasione di freddura a un bello spirito…). Organica è tutta l’opera sua: a qualunque pagina si apra il volumetto, si sente il profumo dello stesso giardino; il giardino dove Lei procede conducendo per mano la teoria delle compagne. E il lettore ha l’impressione di essere per qualche istante ammesso in un giardino claustrale: ad ogni svolto di sentiero, fra i cespi di gigli e gli archi de’ rosai, una nuova coorte di vergini si fa innanzi cantando una nuova sorta di martirio o di speranza. Ella compie nel suo libro, Egregia Guglielminetti, quasi un vergiliato, e conduce il lettore attraverso i gironi di quell’inferno luminoso che si chiama verginità. Ella ha saputo innalzare nobilitare nella idealità primitiva quella figura oppressa, ambigua, derisa spesso, che ai nostri giorni prende il nome di Signorina. Signorina – che brutta parola! Degno prodotto del nostro tempo di evoluzione che anche della vergine ha fatto una creatura oppressa, non definita, come quel nome brutto: Signorina. Nome brutto per noi uomini specialmente che vediamo in quella
subdola, quella di arti e audacie aduna la nemica
a irretir l’ingannevole fortuna
d’amore, e nelle sue reti l’intrica
Signorina: figura triste; o che inconsapevole della sua miseria, vive beata, intellettualmente impoverita dalla secolare mediocrità borghese, o che, cosciente, rivoltandosi alla «saggezza d’antiche norme» cerchi per sè e per le sorelle un sentiero di salute, o che, più ribelle ancora, voglia rivendicarsi in libertà e contendere la sorte agli uomini derisori, o che si strugga nel sogno di un’attesa vana. Ella, Egregia Guglielminetti, ha cinta una degna ghirlanda anche a quest’ultima, additandola alla nostra pietà:
«Negli angoli discreti degli altari»
È straziante l’efficacia con che ella ha reso il dileguare un po’ ridevole di quelle infelici, nella penombra della chiesa!
«E ciascuna furtiva si dilegua
senza rumore, quasi per sottrarsi
a un dileggio sottil che la persegua…»
E la signorina appassionata! Altra figura da noi, dal mondo considerata con un senso di pietà sardonica. L’avrà notato anche Lei. Ci si commuove di più, si è quasi più indulgenti di benevolenza pietosa alle vicende di un adulterio che non alle fortune di un idillio verginale. La letteratura vuole così: e la letteratura è quella che foggia la vita. Ora il suo grido, Amica, era necessario per risollevare le figure delle vergini amanti; ed era necessario un temperamento come il suo, educato all’arte severamente, per poter innalzare un canto degno ed efficace. Ha detto bene il Mant.ni, la sua voce si distingue fra tutte; è di un timbro diverso, nuovissimo: e tutti si fermeranno incuriositi perplessi dapprima, riconoscenti ammirati poi.
Buon Dio! Ho rilette le sei pagine scritte fin qui: mi pare d’essere stato un po’ accademico! Si direbbe che ho tentato di far della critica: devo averla seccata, anche fatto un po’ sorridere… E volevo scriverle una lettera fraterna, alla buona!
Ma come fare per dirle che i suoi versi mi sono piaciuti? Si dice così anche quando non è vero. Come fare per dirle che di molti suoi sonetti sono innamorato? Lei non sa, Egregia, che cosa significhi per me l’essere innamorato d’una poesia?
Significa questo: averne la presenza nel cervello, con una dolcezza quasi importuna, sentirne pulsare il ritmo di continuo nelle cose più diverse e più bizzarre: nel mare, nel treno, nel ticchettio dell’orologio, nel soffiare del vento fra i palmizi, nel contare le goccie di creosoto, nel tinnire delle posate, nel gridio de’ bimbi… Proprio! E molti dei suoi sonetti mi perseguitano. Mi balza alla mente una quartina, due: mi abbandono a quella dolcezza: la memoria ad un tratto s’arresta e il piacere del sogno si stronca a metà.
Facciamo un esperimento? Ecco: il suo libro è chiuso, sulla tovaglia (Le scrivo sul tavolo da pranzo, sotto la veranda), un sonetto mi balza improvviso del quale non so il titolo. Questo:
Piangere piano piano con la faccia
contro la vostra spalla vorrei bene
quasi una bimba che non più sostiene
il segreto che l’arde o che l’agghiaccia,
e restare così…
Poi non ricordo più nulla sino al verso
dolce allor mi sarebbe all’improvviso
ritrovare il mio spirito sereno,
rialzarmi e fuggir, squillando un riso.
Poi – ecco – riapro il volume, cerco il sonetto, lo trovo: «un desiderio» e la lettura me ne dà una delizia indicibile, perché tutto il mio spirito è pronto a riceverlo. Mi sono bene spiegato? Le ho confessate queste cose candidamente, come si parla, per non cadere nei luoghi comuni dell’entusiasmo obbligatorio.
Ancora.
Gradisce molto Lei, Amalia Guglielminetti, il confronto con Gaspara Stampa?
«Saffo dei nostri tempi, alta Gasparra!»
le diceva il Varchi: e la misera Anassilla fu una grande amatrice, veramente. Il volume delle sue rime mi è caro ed è fra gli altri consolatori di questa mia solitudine: ma se passo dal vostro volume breve a quello denso della vostra sorella cinquecentesca sento tutta la freschezza della vostra anima sgombra di virtuosità retoriche e sento l’accademismo frequente della rimatrice veneziana
«Cantate meco, Progne e Filomena
anzi piangete il mio grave martire!
«Come l’angel che a Febo è grato tanto
sovra Meandro, ove suol far soggiorno.
e così via con quegli sfoggi di classicis...

Indice dei contenuti

  1. LETTERE D’AMORE
  2. Guido Gozzano
  3. Amalia Guglielminetti
  4. LETTERE D’AMORE
  5. APPENDICI
  6. Note