40 novelle
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40 novelle

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Informazioni su questo libro

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TESTA - DI - PIPA E TESTA SODA
II.
Fonti
IL BRUTTO ANITROCCOLO
I VESTITI NUOVI DELL'IMPERATORE
STORIA DI UNA MAMMA
L'ACCIARINO
LA MARGHERITINA
LA CHIOCCIOLA E IL ROSAIO
L'INTREPIDO SOLDATINO DI STAGNO
LA SIRENETTA
LA PICCINA DEI FIAMMIFERI
L'ABETE
L'AGO
L'USIGNUOLO
I PROMESSI SPOSI
CECCHINO E CECCONE
POLLICINA
GALLETTO MASSARO E GALLETTO BANDERUOLA
LA PRINCIPESSINA SUL PISELLO
IL GUARDIANO DI PORCI
IL RAGAZZACCIO
QUEL CHE FA IL BABBO È SEMPRE BEN FATTO
IL MONTE DEGLI ELFI
L'ANGELO
LE CORSE
LA NONNA
PENNA E CALAMAIO
L'ULTIMA PERLA
NEI MARI ESTREMI
LA GARA DI SALTO
IL LINO
LA VECCHIA CASA
CINQUE IN UN BACCELLO
IL FOLLETTO SERRALOCCHI
IL GORGO DELLA CAMPANA
C'È DIFFERENZA
L'OMBRA
IL PICCOLO TUK
«VERO VERISSIMO!»
LA DILIGENZA DA DODICI POSTI
IL VECCHIO FANALE
IL ROSPO

Domande frequenti

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Informazioni

IL RAGAZZACCIO

C'era una volta un vecchio Poeta, un vecchio Poeta proprio buono. Una sera, mentr'egli se ne stava tranquillo a casa sua, scoppiò una terribile bufera. La pioggia veniva giù a torrenti, ma il vecchio Poeta si godeva il caldo, comodamente seduto dinanzi alla sua stufa di terracotta, dove il fuoco ardeva e le mele cuocevano con un piacevole rumorino.
«Non rimarrà un pelo d'asciutto a quei poveri disgraziati che sono fuori, con questo tempo!» —diss'egli, perchè era un Poeta di buon cuore.
A un tratto giunse dal di fuori una vocina supplichevole: «Oh, aprimi! Mi sento gelare, e sono tutto bagnato!» Era un bambino che piangeva e picchiava all'uscio, mentre la pioggia cadeva a torrenti e l'uragano faceva tremare i vetri.
«Povero cosino!» — disse il vecchio Poeta; e si alzò per andare ad aprire. Vide un bambinetto, tutto inzuppato così che l'acqua gli grondava dai lunghi capelli biondi. Tremava di freddo, e se non avesse trovato un rifugio, sarebbe certo perito in quella bufera.
«Oh, povero piccino!» — fece il vecchio Poeta, elo prese per mano. «Vieni qui da me; ti riscalderò io perbene! E ti darò un po' di vino, ed una mela cotta, perchèsei un gran bel figliuolo!»
E questo era verissimo. I suoi occhi splendevano come stelle, e di capelli biondi, sebbene molli d'acqua, si inanellavano così graziosamente, ch'era un piacere. Pareva un angioletto, ma un angioletto livido dal freddo e tremante in tutto il corpo. In mano teneva un magnifico arco, che l'acqua, però, aveva tutto sciupato: i colori delle sue belle freccie erano slavati e stinti dalla pioggia.
Il vecchio Poeta sedette di nuovo davanti alla stufa, prese il ragazzino sulle ginocchia, gli spremette l'acqua dai capelli, gli riscaldò le mani tra le sue, e gli fece bollire un po' di vino con lo zucchero. E così, il fanciullo si riebbe, le guance gli tornarono rosee, ed egli saltò a terra e si mise a ballare intorno al vecchio Poeta.
«Sei un ragazzo allegro!» — disse il vecchio «Come ti chiami?»
«Mi chiamo Amor!» — rispose egli: «Non mi conosci? Ecco là il mio arco. Con quello si che so tirar bene, non dubitare! Guarda, ora il tempo si rimette al buono: ecco che la luna torna a risplendere!»
«Ma il tuo arco è sciupato!» — disse il vecchio Poeta.
«Questo mi rincrescerebbe!» — fece il ragazzino; lo prese e lo esaminò: «Oh, è bell'e asciutto e non ha per nulla sofferto! La corda sta benissimo tesa. Ora, lo provo subito!» — E in così dire, lo tese, ci mise una freccia, mirò... e colpì il buon vecchio Poeta proprio al cuore. «Così, ti ho fatto vedere che il mio arco nons'è punto sciupato!» — diss'egli; rise forte, e scappò per la sua strada. Che ragazzaccio! Tirare così al vecchio Poeta, che lo aveva accolto tanto affettuosamente nel salottino caldo, ed era stato tanto buono con lui, e gli aveva dato il vino dolce e la più bella delle sue mele cotte!
Il buon Poeta giaceva disteso al suolo, e piangeva: era ferito proprio al cuore, e si rammaricava: «Ah, che ragazzaccio è mai questo Amor! Lo voglio dire a tutti i bambini buoni, perchè se ne guardino, e non giochino mai con lui: già, egli non farebbe loro che male...»
Tutti i buoni fanciulli, ragazzine e ragazzini, ai quali raccontò il fatto, si tengono ora in guardia contro il cattivello; ma egli è così scaltro ed accorto, che riesce sempre a burlarsi delle loro precauzioni. Quando gli studenti escono dalla lezione, si pone loro a lato, con una toga nera ed un libro sotto al braccio. Essi non lo riconoscono; lo prendono a braccetto, credendolo un altro studente, ed allora egli pianta loro la freccia nel petto. Quando le giovinette tornano dalla predica, persino quando stanno in chiesa, egli si cela sempre dietro di loro. E in ogni dove, in tutti i momenti, dietro ad ogni specie di gente. In teatro, si mette in mezzo del lampadario, e s'infiamma e risplende; e la gente lo crede una lampada, ma poi, troppo tardi, si avvede ch'era ben altro! Corre nel parco del Re e sui bastioni; sì, e una volta ha persino colpito al cuore il tuo babbo e la tua mamma. Domandane un po' a loro, e sentirai quello che ti dicono! Ah, è un vero monello, questo Amor, e sarà bene che tu non abbia mai nulla a fare con lui. Perseguita tutta la gente di questo mondo! Figurati che una volta ha tirato una freccia persino alla vecchia nonna... Molto molto tempo fa, naturalmente, ed ora son cose passate; ma ella non l'ha dimenticato mai più. Che ragazzaccio, che ragazzaccio è questo Amor! Ma ora tu lo conosci, e sai che razza di monello egli sia!

QUEL CHE FA IL BABBO È SEMPRE BEN FATTO

Ora ti voglio raccontare una storia, che ho sentita anch'io quand'ero bambinetto; e da allora, ogni volta la rammento mi par più bella. Perchè avviene delle novelle come di certe persone: più invecchiano e più diventano belle, — e questa, già, è una grande consolazione!
Tu dunque sei stato in campagna, ed hai veduto più d'una casa di contadini, vecchia vecchia, col tetto di paglia. Sul tetto cresce il musco, e tra il musco ha fatto il nido la cicogna... (Eh, della cicogna non si può fare a meno, in nessuna casa di contadini danesi!) Le muraglie pencolano; le finestre sono basse, ed una sola s'apre bene; il forno sporge in fuori dalla muraglia come una piccola pancia grassoccia; il sambuco si china verso la siepe, e presso la siepe è una pozza d'acqua, con un'anitra che diguazza e magari qualche anatrino, e sopra la pozza si china un salice rattrappito. Sì, e c'è anche un cane, che abbaia a tutti quelli che vengono, uno per uno.
Una casina proprio a quel modo c'era una volta in campagna; e in essa abitavano due vecchietti, un contadino e sua moglie. Per quanto poco uno possieda, di qualche cosa può pur sempre far senza; e nel caso dei nostri vecchietti, questo qualche cosa era un cavallo, il quale campava dell'erba che trovava sull'orlo del fossato, lungo la strada maestra. Il vecchio capoccia lo montava per andare alla città, e lo prestava ai vicini, i quali ne lo ricambiavano con qualche altro piccolo servigio. Sarebbe stato però meglio venderlo, o scambiarlo con qualcosa che desse loro maggior guadagno. Già, ma con che, per esempio?
«Farai tu, che sai meglio, babbino!» — disse la massaia. «È appunto giorno di fiera in città; e tu va, e fattelo pagare in danaro, oppure fa' un buon baratto. Quelche fai tu è sempre ben fatto. Va' va' al mercato.»
Gli legò il fazzoletto al collo, perchè questo lo sapeva far meglio lei; gli fece un bel fiocco doppio, dandoglic osì una cert'aria di eleganza, gli spolverò il cappello, lisciandolo con la mano, e poi gli diede un bacio. Ed egli se ne andò allegramente, sul cavallo che doveva essere venduto o barattato. Sì, il vecchio babbo sapeva il fatto suo.
Il sole bruciava, e in cielo non si vedeva nemmeno una nuvoletta. La strada era tutta un polverìo. Quelli che andavano alla fiera, a cavallo, in carrozza o con le proprie gambe, si affollavano per la via maestra, di solito così deserta. Faceva un caldo soffocante e non c'era un filo d'ombra, per tutta la strada.
Il nostro vecchio amico incontrò un contadino che menava una vacca; ma era la più bella vacca che si potesse vedere. «Quella lì deve dare un ottimo latte,» —pensò: «forse che si possa fare un buon baratto!»— «Senti un po', tu della vacca!» chiamò egli: «Vuoi che facciamo due parole? Ecco qui: un cavallo, direi, val più d'una vacca; ma, tant'e tanto la vacca mi fa più comodo. Vuoi che barattiamo?»
«Ben volentieri!» — rispose l'uomo della vacca; e così fecero.
L'affare era conchiuso, ed il contadino sarebbe potuto tornare indietro, poi che il suo viaggio non aveva più scopo; ma oramai, una volta stabilito di andare alla fiera, volle andarci, così, per dare un'occhiata; e tirò innanzi con la su avacca. Camminava spedito, spedito andava l'animale, e così avvenne che di lì a poco raggiunsero un uomo che menava una pecora. Era una bella pecora, ben pasciuta, con una bellissima lana.
«Eppure, mi piacerebbe averla!» — pensò il contadino. «Sull'orlo del nostro fosso, l'erba non le mancherebbe, e l'inverno si potrebbe tenerla in casa. In fondo, per noi sarebbe più pratico avere una pecora che una vacca. S'ha a far baratto?»
Naturalmente, l'uomo della pecora fu più che contento, e così il cambio fu conchiuso, ed il contadino continuò la via con la sua pecora.
Da un sentiero, che metteva capo alla strada maestra, vide venire un uomo con una grossa oca sotto al braccio.
«È un bel peso codesto, che tu porti!» —gli disse il vecchio: «Quante penne, e quanta ciccia! Farebbe bella figura, posta a diguazzare nella nostra pozza col suo bravo nastro alla zampa! La massaia saprebbe allora a chi dare le sue bucce! Tante volte le ho sentito dire: Seavessimo un’oca! ...— Ecco che ora potrebbe averla... E (perchè no?) l'avrà. Vuoi tu barattare? Ti do la pecora in cambio, e ti dico grazie per soprammercato!»
Sì, l'altro barattava ben volentieri; e così fu affare fatto, ed il contadino s'ebbe l'oca. La città oramai era vicina, e la folla sulla strada cresceva sempre: era tutto un brulichìo di uomini e di bestiame. La strada fiancheggiava il piccolo campo di patate del gabelliere, dov'egli teneva legata las ua gallina, perchè nella confusione non avesse a scappargli ead andar perduta. Era una gallina dalla coda mozza; una bella gallina che ammiccava con un occhio. «Cluc-Cluc!» —fece la gallina. Che cosa volesse dire con questo, non saprei; mail contadino pensò: — «È la più bella gallina, ch'io abbia mai veduta; anche più bella della chioccia del Proposto: mi piacerebbe averla! Le galline si ingegnano sempre a trovare qualche chicco di grano: si puòdire che non abbiano bisogno di chi le custodisca! Credo chesarebbe un buon affare se la scambiassi con l'oca.» — «Vogliam fare a baratto?» — domandò al gabelliere. — «Baratto?» — replicò l'altro — «Eh, l'affare non sarebbe troppo cattivo!» — E così fecero: il gabelliere prese l'oca ed il contadino la gallina.
Per via, egli aveva già combinato non pochi affari; era stanco, ora, e accaldato, e sentiva il bisogno d'un sorso d'acquavite e d'un pezzo di pane. L'osteria era proprio lì dinanzi, e fece per entrare: ma per l'appunto l'oste usciva in quel momento, con un sacco pieno colmo sino alla bocca; e si scontrarono sulla porta.
«Che cos'hai là dentro?» — domandò il contadino.
«Mele marce!» — disse l'oste: «Un sacco intero, per darle ai maiali.»
«Un bel mucchio! Mi piacerebbe le vedesse la massaia! L'anno passato, l'albero vicino alla buca della torba non diede che una mela sola. Si volle serbarla, e rimase sul cassettone sin che marcì. È sempre un piccolo raccolto, diceva la massaia. Qui ne vedrebbe uno bello, dei raccolti! Ah, bisogna che glielo porti a vedere!»
«E che mi date in cambio?» — domandò l'oste.
«Darti? Ti do la mia gallina in cambio!» — Diede la gallina, ebbe in cambio le mele, ed entrò nell'osteria. Nell'andare al banco, posò il sacco delle mele accanto alla stufa, senza badare ch'era accesa e ben calda. Molti forestieri si trovavano già nella sala — mercanti di cavalli, mercanti di buoi; e c'erano anche due Inglesi, ricchi sfondati, con le tasche piene di monete d'oro, così piene rigonfie ch'erano lì lì per iscoppiare. Di scommesse, poi, erano maestri; e, infatti, sentirai.
«Susss! susss!» — Che strano rumore mandava mai la stufa? Eran le mele, che cominciavan a friggere.
«Che roba è?» — E allora tutti appresero la storia del cavallo, ch'era stato barattato con una vacca, e poi con tant'altre cose, giù giù sino al sacco delle mele fracide.
«Ora, ora quand'andrai a casa! Le buscherai belle dalla massaia!» — dissero gli Inglesi.
«Buscarne?» — fece il contadino: «La massaia mi bacerà e dirà: quel che fa il capoccia è sempre ben fatto.»
«Scommettiamo?» — proposero gli Inglesi: «Un barile pieno di monete d'oro: trecentocinquanta sterline sono venti piastre danesi.»
«Oh, mi basta anche uno staio!» — replicò il contadino: «Quanto a me, non posso scommettere che uno staio di mele, e poi mi ci aggiungerò io, con la vecchia massaia, per darvi buona misura. Faremo così misura abbondante, eh?»
«E sia!» — esclamarono essi; e la scommessa fu accettata.
La carrozza dell'oste era pronta; gli Inglesi vi salirono e conessi il nostro vecchio: le mele fracide furono caricate, e così arrivarono finalmente alla casa del contadino.
«Buona sera alla massaia!»
«Grazie, vecchio mio!»
«Ho fatto un buon baratto del nostro cavallo.»
«Sì, tu sai far bene le cose tue!» — disse la donna; e l'abbracciò, senza por mente al sacco, nè ai forestieri.
«Ho scambiato il cavallo con una vacca.»
«Dio sia ringraziato per il latte che avremo!» disse la donna. «Rivedremo così sulla nostra tavola burro, cacio e crema. Fu davvero un buon baratto!»
«Sì, ma poi ho cambiato la vacca con una pecora.»
«E questo, infatti, è anche meglio!» —disse la donna. «Tu le pensi sempre tutte. Per una pecora, anche la nostr'erba potrà bastare. E così avremo latte e cacio pecorino, e poi calze di lana, e camiciole per la notte, anche! Di queste, la vacca non ne dà: perde il pelo la vacca! Sei un brav'uomo, e di buon consiglio!»
«Ma ho dato la pecora per un'oca.»
«Oh, avremo finalmente una buona oca per la festa di San Martino, vecchio mio? Tu pensi sempre alle cose che mi possono far piacere! Fu una magnifica idea questa! Legheremo la nostra oca qui fuori, sull'erba, e per San Martino diventerà ancora più grassa.»
«Ma ho poi barattato ancora l'oca con una gallina.»
«Una gallina! Ecco quel che si chiama un buon baratto!» — disse la donna. «La gallina fa le ova, le cova, e così avremo i pulcini, e metteremo su un bel pollaio. Non lo dicevo mai, ma lo desideravo da tanto tempo! ...»
«Sì, ma poi ho dato in cambio la gallina per un sacc odi mele fracide.»
«Ah, lascia che ti abbracci!» — esclamò la donna ridendo: «Lascia che ti ringrazii, caro vecchio mio! Ecco, bisogna proprio che te la racconti. Poi che te ne fosti andato, pensai a prepararti un buon desinare: una frittata con le bietole. Le ova, le avevo, ma mi mancavano le erbe; e per ciò andai dal maestro. So che ne hanno, nell'orto; ma la moglie è un'avaraccia, con quell'aria dolce dolce. La pregai di prestarmene un cespo... — Prestare? mi fece; non ci vien nulla nel nostro giardino; nemmeno una mela fracida potrei prestarvi! — Ora posso prestargliene io dieci, delle mele, anzi un sacco intero! Anche questa è una gioia, vecchio mio!» — E a mo'di conclusione, gli diede un altro bacio.
«Questa mi piace!» — disse uno degli Inglesi. «Ruzzolare sempre più in basso, ed essere sempre allegri... Una scena simile vale i danari della scommessa!» E così al contadino, che, invece di buscarle, era stato abbracciato, pagarono uno staio di monete d'oro.
La storia vale infatti tant'oro, quando la massaia riconosce e fa riconoscere che il suo vecchio è il più savio, e che quanto egli fa è sempre ben fatto.
Ed ecco la mia novella! Io l'ho sentita quand'ero piccino, ed ora l'hai sentita anche tu, e sai anche tu che quello che fa il babbo è sempre ben fatto.

IL MONTE DEGLI ELFI

Certe grosse lucertole giocavano a rincorrersi, agili e snelle, nelle fenditure di un albero, e s'intendevano benissimo, perchè tutte parlavano la lingua delle lucertole.
«Che chiasso lassù, nel vecchio Monte degli Elfi!» — disse una: «Son due notti che non posso chiuder occhio dal gran rumore che fanno. Tanto sarebbe andare a letto col mal di denti, poichè nemmeno quello lascia dormire.»
«Debbono esserci novità, lassù!» — disse un'altra: «Mettono il Monte su due cavalletti, verniciati di rosso, e gli dànno aria, e fanno gran pulizia, sinchè, a mattina, il gallo canta; e poi le figlie del Re degli Elfi debbono aver imparato un ballo nuovo: lo si sente dallo scalpiccìo. Di certo ci dev'essere qualche novità!»
«Sì, ho parlato con un verme di mia conoscenza,» — disse una terza lucertola: «Veniva diritto dal Monte degli Elfi, dove aveva dissodato la terra notte e giorno: oh, ne aveva sentite di belle! Non ci vede, povera creatura, ma sa molto bene strisciare e tender gli orecchi. Aspettano ospiti al Monte, forestieri di grande riguardo; chi sieno, poi, il verme non me lo volle dire, — o forse non lo sa nemmen lui. Tutti i fuochi fatui sono scritturati per la fiaccolata; tutti gli ori e gli argenti che sono nel Monte, — e ce n'è abbondanza! — sono stati ripuliti, lucidati per bene, ed esposti al chiaro di luna.»
«Chi mai saranno questi forestieri?» — domandarono le lucertole: «Che cosa accade là dentro? Senti che brusìo! Senti che chiasso!»
Proprio in quel momento, il Monte degli Elfi si aperse, ed una vecchia donzella, cava dietro come una maschera, (e così son tutti gli elfi, sapete bene, — follettini belli a vedere, ma vuoti come la vanità,) scese ...

Indice dei contenuti

  1. I.
  2. LA SIRENETTA
  3. IL RAGAZZACCIO