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L'ombra del passato. Romanzo
Informazioni su questo libro
Il romanzo "L'ombra del passato" è ambientato tra una piccola comunità sulle rive del Po. Qui vive il protagonista, Adone, un contadino attraverso le cui aspirazioni e fallimenti, prendono voce le disillusioni e le speranze di un'intera comunità.
Prevalenti sono i temi dell'abbandono e dell'ingiustizia sociale, ma anche della sofferenza che porta alla conoscenza di sé.
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Informazioni
Argomento
LiteraturaCategoria
ClásicosPARTE PRIMA.
I.
Il cordaio fu il primo ad attaccare le sue più belle corde, dal portone al palo che indicava il limite fra la sua aja e quella di Giovanni La Pioppa.
Era la mattina del Corpusdomini. La processione, per eseguire la giravolta, doveva entrare nell’aja del cordaio, attraversare quella di Giovanni, uscire per il portone del zolfanellajo, la cui umile casetta era l’ultima del paese.
Le tre famiglie si tenevano molto onorate di questa preferenza, e ogni anno formavano, con lenzuola attaccate a due fila di corde, una specie di viottolo semicircolare che cominciava dal portone di Sison il cordaio e finiva nel portone del zolfanellajo. Un palo di qua, uno di là, segnavano appena il limite delle tre aje unite: quella di Giovanni De Marchi, detto La Pioppa, era la più grande. Egli era un uomo ricco: anche la sua casa grigia, con le persiane verdi al primo piano, superba fra le due casette di Sison e del zolfanellajo, sembrava la padrona fra due serve.
Il cordaio, che tira di qua, annoda di là, aveva già tracciato la viottola attraverso la sua aja, guardava la porta di Giovanni e imprecava:
– Corpu d’un Diu, nessuno si vede! Per una volta all’anno che passa il Signore!
Ma ecco apparire il zolfanellajo con una cordicella intorno al braccio.
– Ohè! – gridò il cordaio.
– Ohè! – rispose il zolfanellajo.
– Che si fa, palandroni? Che si aspetta? Corpo d’un Dio, ma che si fa?
Il zolfanellajo non rispose. Si fece il segno della croce e attaccò la corda al chiodo del suo portone.
L’altro allora s’arrabbiò. Chiamò la moglie, la figlia, coprendole d’insulti, chiamò la moglie di Giovanni, urlò contro un gruppo di bambini accorsi ad offrirgli aiuto. Pareva un uomo violento, coi piccoli occhi azzurri incassati sotto una larga fronte rossa, con le gambe nude nerborute e i grossi piedi terrosi che sembravano le radici di quel corpo secco e alto come un tronco secolare.
Ma i bambini si ridevano di lui: segno evidente che le apparenze ingannano. Nessuno compariva alla porta spalancata della casa di Giovanni.
Il zolfanellajo s’avvicinava al palo, tirando la cordicella, e pareva che pregasse. Piccolo, lento, melanconico, vestito a festa, con una giacca signorile troppo larga per lui, egli sembrava un ometto di legno. Il viso raso anche nelle sopracciglia, d’un pallore verdognolo, dava l’idea che l’ometto si fosse lavato con lo zolfo: e a questo pallore accresceva risalto il fazzoletto rosso che egli teneva intorno al collo.
Intorno a lui ed al cordaio aumentava il chiasso dei bambini. Le rondini, che uscivano liberamente dalle case, dove avevano i loro nidi, e volteggiavano sulle aje in cerca d’insetti, non erano più allegre di quei bambini scalzi, dai capelli colore della polenta, e la coda della camicia dritta fuori della spaccatura dei calzoncini.
Ritto in mezzo a loro, come l’albero in mezzo ai fiori, Sison dava gli ordini:
– Puttini, correte! Portate fiori, fronde, foglie di fagiuoli. Badate di non strappare le piante.
I bambini sparirono. Uno solo, il cui viso spariva sotto le falde arrovesciate d’un cappellaccio di paglia, stette a guardare tranquillamente l’opera del cordaio.
– Adone! – gridò l’uomo, furibondo. – Non vai neppure a prendere i fiori? Ma di’, siete tutti matti, voi, oggi?
Adone sollevò la testa; si vide il corto visetto roseo, fra due grappoli di ricci neri, si videro due grandi occhi neri dalle larghe palpebre: la piccola bocca ironica restò chiusa.
L’uomo gli andò sopra, minaccioso.
– Dico, siete matti, voi, oggi?
– E lasciatemi stare, – disse finalmente Adone, con fare da grande, muovendo le ditine entro le profonde saccoccie dei calzoncini spaccati. – Lo zio Carlino parte: la zia sta ad arrostire il pollo per lui, e io devo accompagnarlo fino a San Martino.
– E va bene! Benone! – urlò Sison. – Lo zio Carlino parte: il Signore può andare a farsi indorare da Meoli!
Il zolfanellajo fece un gesto d’orrore: da Meoli, a farsi indorare, si mandano le persone seccanti.
Ma Sison era cieco di rabbia. Ricominciò a chiamare la figlia, finchè questa, una biondina in vestito corto color rosa e in pianelle ricamate, non scese e attaccò le lenzuola alle corde.
Adone le andò vicino e si sfregò contro le sue vesti come un gattino, guardandola e parlandole carezzevolmente.
– Bello! – le disse lei, staccando le labbra come per dargli un bacio.
I bambini ritornarono, carichi di fiori e di erbe. Andromaca, la bella cordaia, ornò le lenzuola con foglie di fagiuoli e di zucche; il zolfanellajo portò giù i migliori quadretti che possedeva.
Elettra, la padrona della vicina osteria del Vicerè, s’affacciò al portone del cordaio, s’affacciò al portone del zolfanellajo, guardò le due poetiche stradiole strette dai candidi muri delle lenzuola fiorite, e dichiarò che la più bella era quella di Sison. Questa lode calmò alquanto il cordaio.
La casa di Giovanni si animava: una persiana fu spinta con fracasso; un vecchio sbarbato e roseo, coi capelli bianchi divisi sulla fronte, s’affacciò alla finestra, guardò, disse bonariamente: – Perbacco, com’è bello! – Poi chiamò Adone. – Di’, tu, che fai ancora lì? Non vai ad avvertire il barcajuolo?
Adone volle scusarsi:
– Guardavo soltanto: non mi sono mosso.
Ma subito apparve sul limitare della porta un uomo altissimo, la cui testa arrivava fin quasi allo stipite: e una voce profonda risuonò fra il chiacchierio dei bimbi e il garrir delle rondini.
– Sgambirlott1 , sei ancora lì? Fila!
Adone partì di corsa.
Tutti si volsero a guardare l’uomo gigantesco, La Pioppa2 alta e vigorosa.
Egli rassomigliava molto al suo cugino ed ospite Carlino: aveva i capelli bianchi divisi sulla fronte e i baffi giallastri; ma più che roseo, il suo viso era cremisi, la pelle aspra, il naso schiacciato: una pinguedine avanzata rendeva più monumentale quel corpo di gigante, i cui larghi piedi calzati di grosse scarpe sembravano di bronzo.
Tutti rispettavano l’uomo alto e ricco: soltanto il cordaio credeva di poter competere con lui.
– Ma queste corde, omone, si attaccano o no? – gli gridò, inviperito. – Ha paura di sporcar le lenzuola la tua Pirloccina?
– Pazienza! Ha da pensare ad altro, stamattina – rispose l’uomo alto, con la sua voce calma e profonda.
– Anche l’anno scorso ha fatto tante storie, la tua signora moglie! Sì, ha paura di sporcar le lenzuola.
Allora la piccola moglie di Giovanni, timida e malaticcia, s’avvicinò al marito, e mentre metteva i piedi scalzi entro le ciabatte che stavano sul limitare della porta, osò rimbeccare il cordaio:
– È quello il modo di onorare il Signore? Bestemmiando? Io ho tante lenzuola da far una strada fino all’argine.
– Facciamola! Ci passerò io! – disse il signor Carlino, dalla finestra.
I bambini risero: e il cordaio, per dispetto, passò nell’aja di Giovanni e cominciò ad attaccar le corde.
– Ecco come si fa, allora! Ecco come si fa! Andromaca, qui un lenzuolo.
I bambini passarono anch’essi nell’aja di Giovanni e sparsero fiori e foglie sul terreno chiaro e duro.
Cinque rondinotti, dal nido grigio attaccato alla trave del portico, sporsero le testoline lucide e cominciarono a stridere, quasi protestando contro l’invasione di tutti quelli altri rondinotti biondi dal codino sporco.
Adone rientrò di corsa, seguito da un giovine barcajuolo scalzo: passò sotto le lenzuola e andò in cucina, dove la zia finiva di riempire un cestino da viaggio.
La cucina era grande, con le pareti gialle: sulla cappa dell’enorme camino stavano due paja di scarpe nuove con la punta in su, e due caffettiere di rame. Le tavole di noce, la madia rossa, le angoliere lucide, tutto spirava benessere e ordine.
Adone si attaccò alle gonne della Tognina, le strofinò il fianco col suo visetto roseo, non la lasciò più finchè ella non gli ebbe consegnato il cestino, dal quale esalava un grato odore di pollo arrosto.
Pochi momenti dopo egli correva dietro il barcajuolo che portava la valigia e camminava a passi lunghi e silenziosi.
Gli usignuoli cantavano sui pioppi e sugli olmi che ombreggiavano gli orli della larga strada fiancheggiata da fossi d’acqua corrente limpidi come ruscelli; fiori d’ogni colore ornavano l’erba brillante di rugiada.
Giovanni accompagnava il signor Carlino, che aveva salutato affabilmente tutti i vicini e fatto un cenno di addio ai rondinotti del nido. I due uomini chiacchieravano, ma Adone non badava a loro, intento a correre sull’ombra deforme del barcajuolo. Gli pareva così d’essere trascinato da quell’ombra strana che sembrava quella di un cammello a due gambe. Ma d’un tratto l’ombra sparì, il giochetto cessò.
Cominciavano le case del centro del pae...
Indice dei contenuti
- L’OMBRA DEL PASSATO
- Grazia Deledda
- L’OMBRA DEL PASSATO
- PARTE PRIMA.
- PARTE SECONDA
- Note