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Riflessioni critiche in tema di politica e religione.

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Informazioni

1. Rudimenti di Economia

Se mai i miei ni­po­ti mi chie­des­se­ro di spie­ga­re lo­ro cos’è l’eco­no­mia (co­sa che si guar­da­no be­ne dal fa­re), mi sfor­ze­rei di usa­re un lin­guag­gio sem­pli­ce e par­le­rei lo­ro nei se­guen­ti ter­mi­ni:
1) l’economia è l’arte di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo.
2) Allo Stato compete fare le cose che, richiedendo un grande impegno organizzativo e finanziario, il singolo non può fare. Tipo strade, scuole, prigioni ed ospedali.
3) Perché lo Stato possa fare quelle cose è necessario che i cittadini gli diano i mezzi per realizzarle.
Ciascuno nei limiti delle proprie possibilità. Questi “mezzi” si chiamano imposte e/o tasse.
4) Evadere le tasse è un crimine. Salvo che un cittadino rinunci in partenza ad usufruire dei servizi forniti dallo Stato.
Cosa che può fare solo espatriando. Una volta per sempre. Non che faccia dentro e fuori secondo la convenienza.
5) Perché al punto 3 si dice che ciascun cittadino deve pagare le tasse “nei limiti delle proprie possibilità?
Semplice: perché la ricchezza si trova distribuita tra i cittadini in modo diseguale.
Poveri e ricchi sono sempre esistiti. Nessuno è mai riuscito ad abolire del tutto la povertà.
6) Tentare di ridurre le distanze tra ricchi e poveri costituisce l’assillo costante dei partiti politici cosiddetti di sinistra (comunisti, socialisti, ecc.), mentre i partiti di destra sono più interessati a creare ricchezza.
7) Questa può essere creata solo da aziende che nascono dalla libera iniziativa dei singoli cittadini o piccoli gruppi dei medesimi.
8) Lo Stato deve limitarsi a creare le condizioni perché queste iniziative crescano e prosperino.
Non può occuparsene direttamente, perché i servizi in cui è impegnato, oltre ad essere di grandi dimensioni, sono generalmente slegati dalle leggi dell’economia, in quanto rivolti più al fine (per esempio assicurare la salute dei cittadini) che ai mezzi utilizzati per raggiungerlo.
Dunque, in questo caso, lo scopo deve essere conseguito a qualunque costo, mentre, come abbiamo visto, l’economia prevede che il fine venga raggiunto con il minimo sforzo.
9) Quali sono le condizioni che lo Stato deve garantire al cittadino, italiano o straniero, che desidera impiantare una fabbrica in Italia?
Le condizioni sono che gli vengano garantiti:
a) Il libero accesso alle infrastrutture esistenti, eventualmente migliorandole,
b) La libertà d’impresa (cioè la libertà di scegliere a suo piacimento il miglior modo di combinare materie prime e manodopera),
c) Una struttura statale non ostile (meglio se amica) ed, in particolare, un giusto e rapido processo nell’eventualità che l’imprenditore incappi in una lite giudiziaria,
d) Un’equa tassazione dei profitti nascenti dalla sua iniziativa.
Si trat­ta, co­me è fa­ci­le ve­de­re, di con­di­zio­ni mi­ni­me che, se man­ca­no, ren­do­no l’im­pre­sa im­pos­si­bi­le.
Spe­cie se a man­ca­re ce n’è più di una.
Pren­dia­mo, per esem­pio, il re­qui­si­to del­la li­ber­tà d’im­pre­sa.
Se ad un im­pren­di­to­re vie­ne im­po­sto di as­su­me­re 10 la­vo­ra­to­ri, in luo­go dei 5 che lui ave­va sti­ma­to es­ser­gli ne­ces­sa­ri (ma­ga­ri sug­ge­ren­do­gli an­che i no­mi), è chia­ro che lui de­si­ste­rà dal suo pro­get­to pro­dut­ti­vo.
E’ per que­sta ra­gio­ne che gli im­pren­di­to­ri stan­no al­la lar­ga dal­le aree a for­te pre­sen­za ma­fio­sa.
Se que­ste so­no le re­go­le, al­lo­ra pos­sia­mo pas­sa­re ad ana­liz­za­re la si­tua­zio­ne ita­lia­na.
La si­tua­zio­ne ita­lia­na
Co­me tut­ti san­no, stia­mo at­tra­ver­san­do un mo­men­tac­cio. E non so­lo in cam­po eco­no­mi­co.
Ma, ri­ma­nen­do in que­sto set­to­re, no­tia­mo che è ini­zia­to da tem­po un pro­ces­so di de-in­du­stria­liz­za­zio­ne.
Nel sen­so che le azien­de, com­pre­se le più no­te, o chiu­do­no o de­lo­ca­liz­za­no. Cioè van­no al­tro­ve. Le ra­gio­ni?
Evi­den­te­men­te so­no ve­nu­te me­no al­cu­ne del­le con­di­zio­ni che ab­bia­mo ri­te­nu­to es­sen­zia­li per uno svi­lup­po po­si­ti­vo dell’eco­no­mia.
Que­sto pro­ces­so di de-in­du­stria­liz­za­zio­ne ci col­pi­sce par­ti­co­lar­men­te per il fat­to che es­so si sta ve­ri­fi­can­do mol­to ra­pi­da­men­te ed è in con­trad­di­zio­ne con il pro­ces­so in­ver­so che ave­va­mo spe­ri­men­ta­to nell’im­me­dia­to do­po­guer­ra (an­ni ’40 e ’50).
Al­lo­ra l’Ita­lia era ri­dot­ta ad un cu­mu­lo di ma­ce­rie e tut­ti av­ver­ti­ro­no la ne­ces­si­tà di ri­co­strui­re il Pae­se.
Si fe­ce­ro un sac­co di in­fra­strut­tu­re e si crea­ro­no un gran nu­me­ro di azien­de.
Si par­lò ad­di­rit­tu­ra di mi­ra­co­lo eco­no­mi­co, an­che se avrei qual­che esi­ta­zio­ne a de­fi­nir­lo ta­le, per il fat­to che:
a) A protezione delle aziende italiane, il governo aveva creato una fitta rete di barriere doganali che rendeva economicamente vantaggioso il made in Italy anche se prodotto a costi maggiori. (Non a caso, quando fu tolto lo scudo dei dazi doganali, molte aziende andarono a gambe all’aria);
b) Non esisteva alcuna sensibilità ambientale, per cui si produceva senza riguardo all’inquinamento che si provocava (cementifici, acciaierie, industrie chimiche);
c) Nel lodevole intento di assicurare un impiego (e quindi un reddito) a tutti, lo Stato non esitò a sconfinare in terreni che non gli erano propri (fino a produrre panettoni) e, soprattutto, a gonfiare oltre misura i suoi organici.
Ora, co­me di­ce­vo pri­ma, è ini­zia­to un pe­rio­do di de-in­du­stria­liz­za­zio­ne.
Al­cu­ne azien­de chiu­do­no ed al­tre de­lo­ca­liz­za­no.
Le ra­gio­ni so­no sot­to gli oc­chi di tut­ti: i da­zi so­no spa­ri­ti ed è au­men­ta­ta la sen­si­bi­li­tà eco­lo­gi­ca.
Cioè so­no mu­ta­te le con­di­zio­ni “al con­tor­no” in cui si era svi­lup­pa­to il co­sid­det­to mi­ra­co­lo eco­no­mi­co.
Tra le azien­de che han­no chiu­so ci so­no azien­de, co­me la Nec­chi e l’Oli­vet­ti, che co­sti­tui­va­no il fio­re all’oc­chiel­lo dell’in­du­stria ita­lia­na.
Tra quel­le che han­no de­lo­ca­liz­za­to c’è ad­di­rit­tu­ra la Fiat che era con­si­de­ra­ta il sim­bo­lo dell’in­du­stria mec­ca­ni­ca ita­lia­na.
Ma l’elen­co è lun­ghis­si­mo e com­pren­de an­che il ti­po di azien­de con­si­de­ra­to il più in­di­ca­ti­vo del­la crea­ti­vi­tà ita­lia­na, cioè l’al­ta mo­da.
Il fe­no­me­no ri­guar­da, a mag­gior ra­gio­ne, le im­pre­se tut­to­ra am­mi­ni­stra­te dal­lo Sta­to, o che so­no sta­te pri­va­tiz­za­te so­lo de iu­re, aven­do con­ti­nua­to ad es­se­re ge­sti­te con cri­te­ri an­ti-eco­no­mi­ci.
Per­ché, in que­sto ca­so, ol­tre al­le con­di­zio­ni “al con­tor­no”, ven­go­no ri­te­nu­te su­pe­ra­te an­che quel­le re­la­ti­ve al ti­po di ge­stio­ne.
In que­sta ca­te­go­ria ri­ca­do­no le azien­de di cui mag­gior­men­te si par­la og­gi: l’Ali­ta­lia e l’Ar­ce­lor­Mit­tal (ex Il­va).
E’ del tut­to evi­den­te che spe­cial­men­te la pri­ma ha sem­pre ope­ra­to con cri­te­ri an­ti-eco­no­mi­ci e di­fat­ti so­no an­ni che lo Sta­to la tie­ne in vi­ta ar­ti­fi­cial­men­te iniet­tan­do ogni an­no i fon­di ne­ces­sa­ri ad im­pe­dir­ne il fal­li­men­to.
Pur­trop­po nel ca­so dell’Ali­ta­lia si è par­ti­co­lar­men­te re­stii a la­sciar­la fal­li­re per il fat­to che es­sa è vi­sta più co­me un ves­sil­lo na­zio­na­le che un’azien­da.
Inol­tre, ad ag­gra­va­re la si­tua­zio­ne, ci pen­sa an­che il per­so­na­le di­pen­den­te che, an­zi­ché aiu­ta­re l’im­pre­sa per cui la­vo­ra, co­me av­vie­ne in Ame­ri­ca, con­tri­bui­sce ad af­fos­sar­la con con­ti­nui inu­ti­li scio­pe­ri.
Cioè con la peg­gior ar­ma pos­si­bi­le, per­ché met­te in lu­ce, con­tem­po­ra­nea­men­te, l’in­dif­fe­ren­za che gli ope­ra­to­ri pro­va­no sia per i gra­vi di­sa­gi che pro­cu­ra­no agli in­col­pe­vo­li pas­seg­ge­ri che il dan­no eco­no­mi­co che cau­sa­no al­la lo­ro stes­sa so­cie­tà.
È evi­den­te che, co­sì fa­cen­do, es­si di­mo­stra­no di es­se­re an­co­ra suc­cu­bi de­gli in­se­gna­men­ti del vec­chio par­ti­to co­mu­ni­sta, se­con­do cui il da­to­re di la­vo­ro è il ne­mi­co da ab­bat­te­re, al­tro che l’ami­co da aiu­ta­re!
La ge­stio­ne fal­li­men­ta­re dell’Ali­ta­lia si ma­ni­fe­sta nel fat­to che es­sa è lar­ga­men­te so­vra­di­men­sio­na­ta per nu­me­ro di di­pen­den­ti.
Non è un ca­so che, ogni vol­ta che si pre­sen­ta un po­ten­zia­le com­pra­to­re, egli im­pon­ga co­me pre­re­qui­si­to una dra­sti­ca ri­du­zio­ne del per­so­na­le oc­cu­pa­to.
Né ser­ve che l’azien­da ven­ga ce­du­ta a quel com­pra­to­re che, per in­ge­nui­tà o ge­ne­ro­si­tà, pro­met­ta il mi­nor nu­me­ro di li­cen­zia­men­ti, per­ché pri­ma o poi la cat­ti­va ge­stio­ne ver­rà a gal­la. Quod dif­fer­tur non au­fer­tur.
Per mag­gio­ri in­for­ma­zio­ni sul ca­so Ali­ta­lia, con­si­glio la let­tu­ra del sag­gio che ri­por­to al pros­si­mo ca­pi­to­lo.
Cir­ca l’Ar­ce­lor­Mit­tal, la par­ti­ta è an­co­ra in cor­so, ma te­mo che il sig. Mit­tal, ac­qui­stan­do que­sto vec­chio car­roz­zo­ne sta­ta­le, ab­bia fat­to lo stes­so er­ro­re che già fe­ce il sig. Ri­va e che ora ne sia ama­ra­men­te pen­ti­to.
In­fat­ti in que­sto mo­men­to egli si tro­va a com­bat­te­re con­tem­po­ra­nea­men­te con­tro i sin­da­ca­ti, il go­ver­no e la ma­gi­stra­tu­ra.
Che, per giun­ta, fan­no ri­chie­ste di­ver­se l’una dall’al­tra.
C’è per­si­no chi gli chie­de di spe­gne­re un for­no e chi gli sug­ge­ri­sce di guar­dar­si be­ne dal far­lo!
Al­la fac­cia del­la li­ber­tà d’im­pre­sa.
La que­stio­ne Ar­ce­lor­Mit­tal mi ri­cor­da la vi­cen­da del...

Indice dei contenuti

  1. Preambolo
  2. 1. Rudimenti di Economia
  3. 2. Alitalia
  4. 3. Confronti impietosi
  5. 4. La nuova religione mondiale
  6. 5. Le “Islam town”
  7. 6. L’arbitrarietà dei confini
  8. 7. L’inutilità dell’EU
  9. 9. Né profughi né naufraghi
  10. 10. Una crisi mal risolta
  11. 11. Prima le donne
  12. 12. La Costituzione
  13. 13. Battute finali
  14. 14. Elenco Saggi pubblicati od auto-pubblicati