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Il tempo della gioventù - Il '68 e dintorni
Informazioni su questo libro
È un romanzo di formazione che narra la storia dello sviluppo emotivo e culturale di un giovane studente-lavoratore meridionale e la realizzazione della sua vocazione.
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Informazioni
IX
I giorni e le settimane passavano e Carlo pensava con timore: quando finirà questo sciopero; quando posso essere in grado di sostenere gli esami; quando potrò andare via da questa città che ha dato l’anima al caos. Era sopraffatto dalla sensazione che quegli avvenimenti complottassero contro i suoi progetti. Entro il ’69 si doveva laureare. Era ansioso di ritornare a casa e d’insegnare. Com’era volato via il tempo! Il 1965 gli sembrò lontano; erano passati tre anni senza accorgersene, come quando si battono le palpebre. Qualcuno bussò alla porta.
«Chi è?» Chiese Carlo.
«Polizia!.» Seguì una risata.
Riconobbe le voci e aprì. Entrarono in ordine Ennio, Nereo, Mauro e uno studente di medicina, della provincia di Roma, che a quanto si diceva in giro non studiava tanto, e trascorreva il tempo a correre dietro alle ragazze e in casa a leggere o a proiettare materiale pornografico o a organizzare festini. Un vero vitellone, un rappresentante della nuova borghesia intellettuale; un figlio di quei genitori che portano in casa quattrini non sudati, dicevano i maligni compagni.
«Sempre più riluttante a lasciare la tua tana» sbottò Ennio appena mise piede nella stanza.
«Ai mercati non si sta seduti, né si sciopera» di rimando serio Carlo. Si sedette sulla sponda del letto.
Ennio fece «Ah!».
«Che schifo, tu in tutto quel marciume!» Esclamò il vitellone.
Nereo s’incupì, aveva letto sul volto dell’amico i segni della vita dura che conduceva. Carlo aveva gli occhi cerchiati da un blu intenso, la pelle del viso tirata e pallida, rughe profonde solcavano la fronte, segni di chi cerca di comprendere i propri problemi esistenziali e non riesce che a percepirne la propria impotenza.
Ci fu una pausa. Ennio esordì:
«Ieri il rettore ha detto che, se entro le dieci di oggi non sgombriamo le aule occupate, chiederà l’intervento delle forze dell’ordine. Noi non dobbiamo permettere alla polizia di entrare nell’università, sarebbe una profanazione. Con i compagni del comitato ci siamo incontrati per diverse volte ieri sera; abbiamo discusso del problema sino alle due e abbiamo concluso che non consegneremo, sic et simpliciter, l’università nelle mani dei servi dello stato. Sei d’accordo?» Chiese a Carlo.
Carlo mosse la testa in senso affermativo. Voleva aggiungere qualcosa, ma intervenne il vitellone.
«Ci siamo spaccati le ossa a dormire per terra e rovinati lo stomaco a mangiare panini per oltre un mese; per che cosa? Sarebbe una vera vigliaccata se...».
Il vitellone parlava , e parlava bene anche. Carlo, però, pensava ai progetti che aveva passato in rassegna tutto il giorno. La mattinata l’avrebbe trascorsa studiando; nel pomeriggio avrebbe fatto una lunga passeggiata con Laura. Desiderò d’esserle accanto, seduto su di una panchina del giardinetto con il campo di bocce e discutere di progetti per il loro futuro, senza preoccupazioni del presente.
In quel momento la sua attenzione era per Laura. I compagni?
Siccome l’arringa del vitellone continuava, Ennio osservò con spigliatezza: «Faresti meglio a studiare giurisprudenza; mannaggia, quanto chiacchieri!».
Finalmente quello tacque. I presenti si guardarono in modo interrogativo.
«Sono le nove e dieci» notò con perplessità Ennio. «Non voglio perdermi il finale dello spettacolo; e tu?».
Carlo taceva; pensava ad altro.
«Non lo forzare» intervenne Nereo, «se non ha l’animo predisposto»
«Vengo con voi» intervenne Carlo.
Si alzò. Un giovane moderno può negare le proprie emozioni, neppure gli impegni programmati in precedenza. Carlo era stanco e sfiduciato; non pensava ad altro che alla fine di tutto, questo è vero, ma né poteva tradire la fiducia riposta in lui dai compagni di lotta, anche se questi non conoscevano il sudore che faceva attaccare la stoffa sulla pelle, non avevano mai visto albeggiare portando sulle spalle pesi di trenta chili, non controllavano continuamente il denaro custodito in fondo alle tasche. Per loro tutto era possibile, tutto si poteva cambiare anche le istituzioni pubbliche.
Giacché non vi furono delle obiezioni, andarono via. Per strada si continuò a parlare del medesimo argomento. Il vitellone, gesticolando diceva che non si poteva prendere nulla dalla comunità se non si allungavano le mani. Ennio affermava che le nuove idee per una moderna società dovevano nascere dalle contestazioni giovanili e non più sui banchi delle scuole né dai libri prodotti dalla cultura dominante. Se il popolo riuscisse a capire questo meccanismo si avrebbe una svolta decisiva nella storia.
Parole, belle parole, che restavano sospese là, nelle loro gole, come bolle di spumante. La storia, il popolo, pensava tra sé Carlo, questi ragazzi hanno dimenticato che il potere è nelle mani dei potenti di turno. Questi soggetti si riproducono anche e più numerosi dei precedenti dopo ogni rivoluzione sociale. Il cittadino non impara questa lezione. Egli è e rimane un numero, un signor nessuno. D’altronde, si sa che nemmeno una Divinità folle potrebbe cambiare un operaio in un finanziere, un perditempo in uno scrittore, un prepotente in un signore educato e rispettoso dei diritti umani, una massa sottomessa in una protagonista.
Allora a cosa serve gridare, protestare in questo mondo di sordi? A chi comanda occorre un esercito di obbedienti, non la gente che pensa. Questa nuvola grigia di pensieri Carlo se la sentiva scivolare sul suo essere e gli immobilizzava la mente.
«Tutto ciò che vogliamo è scioccare la società, che si è addormentata sui falsi bisogni inventati dal capitalismo» diceva Ennio.
«Bisogna essere ubriachi o alienati per continuare a partecipare alle orge offerte da questa società. Non ve ne accorgete che non danno nessuna soddisfazione?» Asseriva Nereo.
«Intanto la gente è morbosamente curiosa; vuole provare tutto. È certa che da qualche parte ci sono delle emozioni, dei piaceri da scoprire» interveniva il vitellone.
«Cosa accadrebbe se la polizia irrompesse nell’università?» Chiese un giovane, dal viso da bambino, smilzo e basso, che si era unito al gruppo per la via.
Ennio si fermò e si dondolò sulle gambe.
«Che provi! Le abbiamo preparato una sorpresa». Gli luccicavano gli occhi dalla gioia.
A questo punto, Carlo pensò alla teoria dell’eterno ritorno di Nietzsche. C’era un sicuro nesso tra gli ideali rivoluzionari degli studenti e quelli dei carbonari del nostro Risorgimento: si ripeteva la lotta alla ricerca di una propria identità sociale.
Questo pensiero passò subito, cancellato dalla sua libera scelta di partecipare alla protesta studentesca, e quindi ora doveva accettare anche lo scontro fisico.
«Qual è la sorpresa?» Disse curioso Carlo.
Ennio si accostò all’amico, lo fissò con gli occhi pieni di misteri come per dirgli: compagno, tu non conosci la guerriglia urbana.
«Le molotov» gli sussurrò all’orecchio.
«Le molotov!» Ripeté ingenuamente Carlo.
«Perdio!!» Esclamò il vitellone. «Il nostro compagno non legge i giornali».
«Sssss..» Lo azzittì Ennio.
Con piccoli gesti Ennio indicò ai compagni gruppi di agenti della polizia, che si spostavano da un angolo a un altro del viale, inviandosi di continuo a vicenda richiami con i megafoni, per non smarrirsi in quel marasma generale.
Gli studenti avevano raggiunto il piazzale dell’università. Questo spiazzo era affollato di giovani con i berretti calati sul volto. Ennio si lisciò i capelli per rimetterli a posto, come se fossero scompigliati, e strillò: «Andiamo! Dobbiamo far presto prima che la polizia blocchi le strade d’accesso».
Carlo non riusciva a staccare gli occhi dagli uomini in divisa, che gli correvano veloci davanti al naso.
«Sarà un affare serio passare» disse a bassa voce Carlo.
Il suo volto esprimeva la preoccupazione di futuri guai. Ennio fece finta di non sentire, aveva già deciso di andare avanti; anche gli altri erano d’accordo. Procedettero. Si fermarono accanto a un gruppo d’ignare turiste, alcune delle quali erano grasse, con ampi seni e fianchi abbondanti, altre magre, con sulla testa cappelli di paglia e avvolte in enormi scialli colorati. Affaticate per il lungo camminare, le turiste si erano sedute su di una panchina, a pochi passi dalla pericolosa polveriera, senza scarpe ai piedi e con la bocca aperta. I ragazzi ripresero ad avanzare passando a zigzag tra gli alberi e facendosi scudo l’un l’altro, come se l’ombra del corpo di chi precedeva offrisse la garanzia di un sicuro rifugio.
Nel piazzale c’era un gran movimento. Gli amici si fermarono dietro un tronco maestoso e sbirciarono intorno in cerca di un passaggio. Quest’avvicinamento stava svegliando il loro entusiasmo di giovani guerrieri. Lo aveva visto tante volte nei film di guerra; ora era arrivato il loro turno. Si stavano comportando molto bene, con prudenza e attenzione.
Rimanevano a pochi passi dalla meta, seri e diffidenti, e i pensieri passavano su di loro senza lasciare traccia.
All’improvviso, dal fondo del viale arrivarono, con un rumore assordante, tre camion, che si fermarono in mezzo al viale a poca distanza dai giovani in attesa. Ne discese una cinquantina di agenti con scudi di plastica tra le braccia e sul capo un elmetto con una visiera lucida per proteggere il volto.
Uno di questi agenti, agitandosi come un forsennato, gridava ai suoi colleghi di prendere posizione. Tra quelli che già erano presenti e i nuovi poliziotti arrivati si generò una momentanea baraonda. Nei ragazzi, seminascosti dal tronco dell’albero, si accese la speranza di attraversare indenni lo sbarramento della polizia: quello era il momento d’andare o mai più. Ennio batté le mani sul tronco. Una grande agitazione s’impadronì di tutti i giovani all’idea che finalmente fosse giunto il momento.
«Siete pronti?» Esordì Ennio senza distogliere lo sguardo dalla marea di gente che sciamava sotto i suoi occhi.
La sua capacità di prendere delle decisioni rapide era sintomo della sua ottima perizia di comando e del suo buon equilibrio mentale.
«Sì» risposero in coro.
Ennio attese ancora qualche secondo; nessuno fiatava. Sul gruppo dei ragazzi era caduto un tale silenzio che si sentiva il ritmo accelerato del loro respiro ansioso.
Intorno aleggiava un’aria di tremenda attesa, che non rendeva nervosi solo gli studenti; lo erano anche gli agenti della polizia seminati un po’ dovunque. In giro, quindi, c’era aria di baruffa.
«Via» gridò Ennio. Fece un balzo, come un felino nell’atto di afferrare la preda.
In quei frangenti c’è sempre qualcuno che ha paura, che può essere indotto ad abbandonare il campo; successe tutto il contrario. Al segnale volarono via tutti, compatti come un sol corpo. Attraversarono di corsa il tratto che li divideva dallo spiazzo, tra due ali di agenti.
Per la fretta, per poco Carlo non finì tra le braccia di un poliziotto alto, grosso e con le spalle larghe come un lottatore, che gridava:
«Fermatevi dove andate; non si può passare!»
Carlo lo schivò scartandolo come un avversario in una partita di pallone. Raggiunsero senza incidenti l’assembramento forte di circa due mila studenti. Si unirono, ben presto, al brusio dei presenti, che col passare dei minuti si stava tramutando in clamore. Gli studenti erano di guardia all’ingresso dell’università e avevano la consegna di non lasciare entrare le forze dell’ordine.
«Tutto bene, compagni» chiese ai nuovi arrivati un giovanotto robusto con gli occhiali oscuri e barba, alto come un palo, con sul capo un passamontagna grigio calato fino sopra le orecchie e una fascia rossa intorno al braccio.
Attesero il tempo necessario per riprendere fiato. Ansavano, per il gran correre. Dopo Ennio tirò fuori la voce: «Sì».
«Venite dal viale?» Lo interrogò.
Ennio gli fece cenno di sì con la testa.
«Vi sono molti poliziotti».
«È strapieno di agenti.»
L’affermazione fece cambiare umore allo spilungone.
«Bastardi» commentò a denti stretti.
Girò lo sguardo intorno; chiamò alcuni colleghi che avevano la stessa fascia al braccio e comunicò la notizia appena appresa. Ci fu una specie di consulto di guerra; seguirono gli ordini. Quelli con le fasce al braccio dovevano essere i capi del movimento. Questi nuovi capitani di ventura non avevano mai comandato un plotone di soldati; tuttavia, in qualche modo sapevano come sistemare una barricata in maniera che il piano di sbarrare la via agli intrusi funzionasse. Dopo tutto un cervello lo avevano, anche se lo usavano alla maniera loro.
In quel momento arrivò di gran carriera uno studente: aveva le gote rosse, il volto coperto di sudore e il torace si sollevava e si abbassava rapido con una frequenza indescrivibile, segno che aveva corso come una locomotiva. Riprese appena fiato e iniziò a parlare.
«Compagni ci hanno circondato, tutte le strade sono piene di poliziotti». Gridava talmente tanto che Nereo sussurrò all’orecchio di Carlo: «Sembra uno fuori di senno».
«Ciascuno è matto alla sua maniera» fu il suo breve comme...
Indice dei contenuti
- I
- II
- III
- IV
- V
- VI
- VII
- VIII
- IX
- X
- XI