Livia
Caligula cognomen castrensi ioco traxit,
quid manipulario habitu
inter milites educabatur
Svetonio, Vita dei Cesari
Dopo le esequie ufficiali, organizzate in realtà con grande partecipazione popolare come ci saremmo aspettati, fummo convocati tutti quanti a palazzo, quasi obbligati direi, visto che la guardia imperiale non voleva andare via ed era sempre ad un passo da noi, a controllarci ad ogni istante, forse per impedire che noi potessimo fuggire, ma dove potevamo andare, nell'impero comandato da Tiberio e da sua madre?
Mia madre cominciò a tremare, scossa da un triste presentimento, aveva sempre avuto questo dono, o forse dovrei dire questo incubo, prevedere di qualche tempo il futuro che si sarebbe abbattuto su di noi.
Salimmo le scale del palazzo di Tiberio con calma e dignità.
L'imperatore era dentro, sul suo trono che ci stava aspettando, non ci era venuto incontro per accoglierci come ci si sarebbe aspettato.
Come avrebbe dovuto, visto che noi eravamo le vittime di un gioco più grande della nostra esistenza.
Non sembrava molto turbato dal fatto tragico che ci era capitato, anzi, ci trattava con distacco, quasi come se fossimo responsabili di chissà quale sorta di misfatto contro il suo potere.
Eravamo pur sempre suoi parenti, anche se alla lontana e conosceva mio padre da sempre, essendo cresciuti entrambi alla corte di Augusto e avrebbe dovuto dimostrare almeno un po' di affetto verso di noi.
Era stato lui del resto a mandare mio padre ad Antiochia, era lui il responsabile delle nostre sventure, e forse il vero mandante.
Livia era al suo fianco, leggermente indietro per non rovinare l'immagine dell'imperatore, ma sempre presente ed altezzosa, sembrava colei che muoveva i fili del gioco oscuro che stavano facendo e, probabilmente, lo era.
Mia madre, rotta dal dolore e dalla stanchezza del viaggio, non attese di essere interpellata ma attaccò subito i due, che probabilmente non aspettavano altro.
“Ci siete riusciti vero? Spero che siate felici di quello che ci è capitato.
Alle fine siete riusciti a liberarvi della sua presenza?
Le vostre malefiche trame che avete ordito nel tempo, alla fine si sono concluse con la morte del migliore uomo che Roma avesse mai creato!
La maledizione dei nostri padri possa ricadere sulle vostre teste immonde, gli dei possano essermi testimone in questo momento...alla fine di tutto anche voi pagherete per i vostri peccati!”
Disse cadendo in ginocchio ed in lacrime, tenendo ancora l'urna con le ceneri di mio padre strette fra le braccia, quasi come se si aggrappasse ancora a lui per trovare forza in quel tragico momento.
I due non fecero una mossa alle parole forti di mia madre che li accusava, fu solo Livia, come sempre, che prese per prima la parola.
“Grazie per averci facilitato il compito figliola, non sapevamo bene come comportarci ma tu ci hai facilitato enormemente il tutto, garantendoti un bel futuro...
Sei accusata di vilipendio alla figura dell'imperatore e della sua aurea genitrice....per te si spalancano le porte dell'esilio.
Verrai condotta immediatamente a Ventotene, dove diventerai il divertimento dei pastori di capre, l'ultima prostituta è durata poco meno di sei mesi, spero che tu abbia una maggiore resistenza, te lo auguro di tutto cuore.
Sarà per me un piacere tutte le mattine svegliarmi al pensiero di come avrai potuto passare la nottata...”
Concluse con un perfido sorriso sulle labbra.
Fece un cenno con la mano e subito due pretoriani la sollevarono in lacrime dal pavimento e la portarono via, mentre l'urna con le ceneri di mio padre cadeva per terra, spargendo il sacro contenuto sul pavimento di marmo.
Quella fu l'ultima volta che vedemmo nostra madre.
Noi piangevamo e ci abbracciavamo disperati vedendola portare via in quel modo, eravamo spaventati, cercavamo aiuto, ogni aiuto possibile guardandoci attorno, ma nessuno interveniva per aiutarci, anche se in tanti erano i presenti.
Ed ecco che Livia compì l'ennesima nefandezza della sua vita. Sarebbe bastata questa per farmela odiare per tutta la vita...
Scese i gradini e senza minimamente badare alle ceneri arrivò a camminarci sopra, come ultimo gesto sprezzante alla memoria di mio padre, pulendo poi i suoi calzari dorati con noncuranza, come se fossero stati sporchi di polvere.
Si avvicinò a me e a mia sorella Drusilla guardandoci spaventati.
“Non preoccupatevi, abbiamo prestabilito anche per voi un buon futuro...”
Esclamò tra le risate ansiogene di Tiberio che era rimasto tutto il tempo seduto sul trono divertito, come se fosse ad uno spettacolo e che alla fine ebbe anche il coraggio di battere le mani per quello che sua madre aveva fatto.
Povera Roma, in che mani era caduta, al potere vi erano ora due pazzi ricolmi di odio verso tutti!
Ci trascinarono subito dopo in una residenza di campagna, lontana da tutti gli amici e i parenti dei nostri genitori, dove ci controllavano a vista.
Avevamo sì dei servitori e degli insegnanti che ci accudivano e che non ci perdevano mai d'occhio per paura di affrontare le ire di Livia, e quindi non avevamo alcun genere di problema, ma eravamo pur sempre reclusi, anche se in una sorta di prigione dorata.
Livia veniva quasi tutti i giorni a vedere i nostri progressi, ma non parlava quasi mai con noi, si limitava ad osservarci, a volte da lontano, a volte da vicino, ma sempre senza proferire alcuna parola.
Senza considerarci degni, quasi come se fossimo prede del suo zoo particolare e personale.
Si limitava ad ascoltare i resoconti degli insegnanti che le dovevano riportare tutto quello che facevamo.
Non ci trattavano bene, anzi, erano molto severi, probabilmente per suo ordine, e venivamo puniti per nulla, ad ogni più piccola mancanza, e a volte, anche senza aver combinato alcunché, solo per il gusto di vederci soffrire e piangere.
Credo che anche questo fosse un ordine ben preciso di Livia.
Le punizioni poi, venivano effettuate alla sera, dopo la cena, nella sala comune, alla presenza di tutti gli schiavi, per umiliarci ancora di più e far crescere in noi l'odio ed il disprezzo per tutti quanti.
Mia madre per sua fortuna, morì presto, prima ancora di quanto avevano preventivato i due infami.
Fu la sua vittoria, la sua vendetta contro coloro i quali le avevano tolto il bene più prezioso e relegata in quell'isola dimenticata da Dio.
Si lasciò morire di fame e di stenti in una piccola isola sconosciuta, lei che era stata la moglie di Germanico.
Ce lo comunicarono senza molte cerimonie in una sera che li vide, stranamente, venuti insieme a trovarci, non lo facevano mai, però dopo capimmo il perché.
“ Vostra madre è morta prima del previsto...”
Esclamò senza molti preamboli Tiberio, con cattiveria, senza badare alla nostra giovane età.
“Adesso abbiamo necessità di sostituirla, e avevamo pensato di mandare la tua sorellina, che ne dici Caligola???”
Cominciò sorridendo Livia guardandomi negli occhi...cercandovi l'odio.
“Manderemo lei a completare il lavoro di tua madre...a meno che...”
Disse, interrompendosi.
Quelle parole fecero balzare il mio cuore in gola, forse avevamo una speranza, ma non avevo fatto conto della crudeltà dei due, che mi svelarono in una orecchio quello che avrei dovuto fare per evitare il confino di mia sorella.
Mai avrei pensato che potesse esistere una simile nefandezza.
Ne' mai avrei pensato che degli esseri umani, dei romani come me, potessero architettare un piano così immondo.
Per evitare di mandare a morire mia sorella dove era morta mia madre, avrei dovuto avere dei rapporti carnali con lei davanti ai loro occhi, davanti agli occhi di tutti...
Il gelo scese nelle mie vene e mi paralizzava il mio stesso essere, l'odio verso quei due riempiva il mio cuore.
La mia mente cercava febbrilmente soluzioni, e fu li che cominciò a vacillare.
E loro, divertititi dal loro immondo gioco, erano felici e si complimentavano l'un l'altra...madre e figlio ridevano di me e del mio odio visibile.
“Guardalo negli occhi madre, guarda quanta rabbia e quanto odio sta provando ora!
Se dovesse morsicare qualcuno ora lo avvelenerebbe.
Stiamo allevando proprio una bella serpe in seno per i romani.
Il loro futuro dopo di noi è così garantito, avranno così quello che si meritano!”
Esclamò Tiberio, felice di quello che stavano facendo, orgogliosi del loro modo immondo di vivere.
Tanto era l'odio che portavano per il nostro popolo, il popolo romano che non li amava dai tempi di Augusto il grande imperatore...
Molte volte avevano provato in pubblico il disprezzo che Roma riservava a loro due, e che era in parte frenato solo dal loro grado di parentela con Augusto, dal potere che dopo la sua morte avevano acquisito e dalla paura di una rappresaglia.
Comunque non avevo molta scelta, e dovetti così acconsentire al loro volere tra le lacrime di paura di mia sorella ed il senso di disgusto che provavo in quel momento per quello che mi obbligavano a fare.
Piangevamo tutti e due dalla vergogna per quello che ci costringevano a fare, e destammo anche la compassione degli schiavi chiamati, tutti insieme, ad assistere all'evento come se fossimo stati due esemplari di animali da riproduzione.
Alcune schiave distoglievano lo sguardo in lacrime dal dispiacere che stavano provando nei nostri confronti e venivano picchiate per questo dalle guardie, e obbligate a guardare ancora, tra le risate sguaiate della scorta fedele a Tiberio...
Furono momenti che non mi dimenticherò mai, ed il mio cuore si riempiva sempre più di odio verso i due, e mi ripromisi che avrei avuto vendetta su di loro, sarei sopravvissuto per vedere la loro morte!
Ben presto avrei avuto la mia vendetta! La mia dea me lo doveva!
E quasi come una risposta alla mia muta preghiera, dopo qualche mese la vecchia megera finalmente morì!
Erano appena passate le idi di settembre quando, un mattino, fummo condotti a corte, senza nessun preavviso e nessuna spiegazione.
Rari erano i momenti in cui uscivamo dal nostro esilio forzoso,...