dalla Gioconda a Barbie
Plastic Design Religion
“Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie, e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto,
la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableò”. Questo scriveva il Vasari, dilungandosi poi in una serie di lodi del dipinto, lodi in realtà, piuttosto generiche.
Era, probabilmente, l’anno 1508, ed il Vasari parla della peluria delle sopracciglia, magnificamente dipinta, della Gioconda. Anche se non vi è traccia di alcuna peluria nel dipinto, per continuare poi esaltandone le fossette sulle guance, assenti anch’esse nell’opera. Ciò è comunque spiegabile, attraverso l’analisi della particolare storia del dipinto, che seguì Leonardo fino alla sua morte in Francia, e che venne ritoccato, per anni e anni, dallo stesso artista. Però è assai probabile che il Vasari, potrebbe aver attinto la sua descrizione da una memoria dell’opera, così com’era visibile a Firenze fino al 1508, quando il pittore abbandonò la città. Recenti analisi, effettuate con sofisticate tecnologie, hanno infatti restituito il racconto dell’esistenza di ben tre versioni della Monna Lisa, abilmente occultate dall’artista, sotto la versione che viene a noi oggi mostrata. Nell’opera, il soggetto valica la semplice rappresentazione identitaria, divenendo icona atemporale, proprio grazie alla sua capacità di poter vivere su molteplici piani
di comprensione, alla capacità di poter superare i limiti dei condizionamenti sociali, e dunque acquisendo, in ragione di ciò, valore universale.
E come accade per ogni rivoluzione che si rispetti, esiste un ‘prima’ ed un ‘dopo- Gioconda’, quale elemento risonante, detonante, riverberante, inquietante catalizzatore di pensiero e di riflessione,
che irrompe nella Storia travolgendo ogni individuo, specialista o profano, che esso sia. È questo potenziale energetico, e nello specifico, il suo riverbero, a conferire statura universale ad un’opera d’arte.
Si è tante volte detto che, prima della Gioconda, nella ritrattistica mancasse la componente legata al mistero, che vi fosse soltanto l’ingombrante presenza di una lunga costellazione di opere, seppur di pregevole fattura, costituite, essenzialmente, da forme esteriori senza ostensione, di un qualche elemento che potesse ricondurre alla presenza di un’anima.
O, sarebbe meglio dire che altri artisti, nelle loro opere, quando hanno riconosciuto con consapevolezza, l’intenzione di voler caratterizzare l’anima stessa, nella maggior parte dei casi, hanno agito adottando un modus operandi capace di poter far giungere tale prezioso messaggio allo spettatore, mediante l’utilizzo, o sarebbe meglio dire coadiuvati dall’ausilio, di elementi partecipativi, quali gesti, oggetti simbolici, scritte, e quant’altro.
È lo stesso Leonardo a riferirci, attraverso le parole di Leon Battista Alberti, che scrivendo in un luogo il nome di Dio, ed accostandogli di fronte una ‘figura’ che lo rappresenti, tale ‘figura’ ne risulterà più riverita.
Proprio come accade oggi, proprio come è stato nella lunga coda evolutiva che ha permeato tutta la storia della rappresentazione, sino al recente Graphic
Design, ed al rutilante mondo delle possibilità concesse dal circo mediatico dell’odierna era digitale.
L’opera in questione, la Gioconda, diffonde, emana, trasmette, come una sorta di intraducibile, inquietante messaggio, come un enigma, proprio quale migliore, ineffabile rappresentazione della ingombrante presenza di un’anima.
Un’anima presente, ma inaccessibile, impraticabile, blindata, gelosamente custodita.
Considerata una tra le più celebri icone dell’arte tradizionale, l’immagine della Gioconda, è stata spesso utilizzata dagli artisti contemporanei per il suo gigantesco potenziale energetico e simbolico che diffonde.
Numerosissimi, sono stati gli utilizzi e le citazioni dell’icona-simbolo nei più disparati ambiti applicativi, dal mondo del cinema, a quello della musica, della televisione e della pubblicità.
Nell’era Dada, Marcel Duchamp la scelse come elemento risonante per poter mettere in atto le sue ineffabili, straordinarie provocazioni, apponendovi ad una riproduzione del dipinto, i baffi, ed intitolando la nuova opera, in maniera urtante, “L.H.O.O.Q.”.
Titolo che, pronunciato in francese, suona come “Elle a chaud au cul”, e che una volta tradotto diviene: “Lei ha caldo al culo”, ovvero “è eccitata”. In ragione di ciò, del suo operare, attribuisco a Marcel Duchamp, i meriti di aver introdotto nella Storia dell’Arte quei temi, che hanno poi generato le conseguenze, i prodromi, delle tribolazioni caratteristiche del nostro vivere contemporaneo, e che hanno decretato così la fine, la morte, della maniera ‘romantica’ di poter intendere l’Arte.
Ciò, attraverso la pratica feroce della adozione, e della successiva messa in luce di un oggetto, che diviene come risorto a nuova vita, con una nuova, illibata, matrice identitaria, risonante e rumoroso portatore di tutti quei valori dibattimentali riscontrabili nella realtà, oggi mutuati da specificità caratteristiche proprie di numerosi ambiti applicativi, quali marketing, produzione, problemi di materiali, cultura posseduta dall’autore. E trovo eccezionale l’analisi pienotta, e Basquiat la rende un’icona graffiante, dal sorriso sinistro.
Era il 1969, l’anno in cui Andy Warhol e John Wilcock fondano insieme la rivista “Interview”, uno dei primi magazine ad occuparsi spudoratamente di gossip.
Ma non è questo il dato che ritengo importante, quanto il fatto che per la prima volta, in maniera dichiarata, esisteva un intervento diretto, da parte della redazione, sulle immagini pubblicate nel famoso
C’era un tempo in cui lo status di celebrità era virtualmente intoccabile per la stragrande maggioranza della società. Essere famosi era una volta un club fantastico fatto di icone più grandi della vita. Essere talentuoso come Marlon Brando o bello come Marilyn Monroe era una volta “irrealtà” per noi, e per la maggior parte, un sogno impossibile. La Reality TV di oggi, paradossalmente per definizione, offusca le linee di irrealtà e realtà. In effetti, l’industria di Reality TV è quella di controllare “l’irrealtà” di quel sogno, una volta impossibile. In questa grande democrazia dell’informazione e dell’era digitale, la sua grande conseguenza è la crescente separazione tra fama e realizzazione effettiva. La fama non solo arriva a sopportare sempre meno rapporti con la realizzazione effettiva, ma l’effettiva realizzazione stessa diventa un impedimento alla fama. Andy Warhol era un profeta. Ora tutti possono essere una celebrità. Ognuno ha la stessa opportunità di godere, in un termine che sto ora coniando: “Flash Fame”.
Andy Warhol
condotta da Duchamp, in riferimento all’ambito di ricerca e di sviluppo che ruota attorno a quegli oggetti, preziosi ed inquietanti, che afferiscono al nostro panorama domestico, e che determinano, in qualche misura, la qualità del nostro modus vivendi. Anche Andy Warhol riproduce il dipinto della Gioconda in serie, mentre Banksy ne fa una versione “mujaheddin”, con bazooka in spalla. Botero la ridipinge
magazine gossiparo: tale intervento, viene effettuato generalmente nei ritratti delle celebrità note al grande pubblico, come divi del cinema o della musica, che vengono abilmente ritoccate, mediante operazioni di ingrandimento dell’inquadratura del viso e relativo intervento di ingentilimento dei loro tratti somatici, con il risultato d’aver conferito loro un aspetto di aurea santificazione. Questo trattamento delle immagini, verrà praticato ai numerosi ritratti selezionati in ogni numero.
Era lo stesso Warhol a dire: “Le interviste possono essere sopra le righe, anche divertenti, ma le immagini no”.
Tale operazione di post-produzione delle immagini ante litteram, veniva affidata all’artista Richard Bernstein, che “…ritraeva le Star….ne celebrava i volti in un formato più grande dell’usuale, aggiungendo un tocco di arguzia alla bellezza, di fantasia alla ricchezza, di profondità al fascino e fornendo ai nuovi arrivati quell’aura di glamour necessaria per entrare nel bel mondo”(Paloma Picasso). Warhol, com’è noto, si dedicherà sin quasi alla sua scomparsa, alla produzione di ritratti di personalità celebri, che traevano origine da scatti fotografici, spesso acquistati dallo stesso artista, e riprodotti attraverso il suo personalissimo metodo, senza però rinunciare a potervi apportare una serie di migliorie, che venivano eseguite nella totale inconsapevolezza del soggetto prescelto. Tra le icone dolenti scelte dall’artista, trova un posto di rilievo, senza alcuna ombra di dubbio, quella della celebre ed indimenticabile donna dei sogni proibiti di ogni americano, quella di Marilyn Monroe.
“ Le modelle indossavano copricapi a forma di scodella e camminavano come pesci rossi chiusi in una boccia di vetro, lasciandosi sfuggire qualche brusco sorriso”.
Yukio Mischima,
“La scuola della Carne”, 1963
È il 5 agosto del 1962, e la star internazionale, indiscussa icona desiderante in ambito universale, viene trovata morta a causa di un’overdose di farmaci.
Di barbiturici, nella fattispecie.
Tante ed oscure sono le trame nascoste dietro la sua morte, e come spesso accade per tutte quelle figure sottoposte ad un continuo surplus di attenzione da parte dei media in ambito planetario, le traiettorie possibili degli intrighi intravisti, divengono tante quanti sono stati, e continueranno ancora ad essere, i suoi fan.
Warhol possedeva un particolare fiuto, ovunque aleggiasse lo spettro della morte, ed è la sua intera opera a raccontarcelo con raffinata spudoratezza.
Le esperienze condotte dall’artista negli ambiti applicativi propri del mondo della pubblicità, avevano prodotto in lui una notevole capacità di esercizio dell’operazione di individuazione, riconoscimento, adozione ed utilizzo, di tutta una serie di simboli di morte, che com’è ovvio, i pubblicitari utilizzano, spesso con ferocia e cinismo, per riuscire nell’intento di poter scuotere dal torpore l’utenza, e poterne poi attirare l’attenzione su una specifica traiettoria d’interesse.
Il giorno dopo la morte dell’attrice, l’artista chiama l’agenzia dell’attrice e decide di acquistare uno scatto fotografico preciso.
Da quello scatto, nascono numerosi multipli, edizioni nate nel periodo che va dal 1962 al 1968, declinati in una gamma ricca di rutilanti tonalità Pop e di impensabili contrasti.
Affina ancora la tecnica appresa negli ambiti propri della pubblicità ed utilizzata come approccio di metodo per il magazine “Interview”, quella della ‘messa in prima’, per così dire, avanzando in avanti l’inquadratura del volto dell’attrice, generando una sorta di incontro-scontro tra lo spettatore e l’aura magica e disarmante posseduta dalla famosa star di Hollywood, vera, travolgente, disarmante, icona della seduzione. L’artista conosce bene le leggi della seduzione, e sa comporre in maniera ineffabile le modalità d’esercizio di queste nella direzione dell’utenza, egli sa che uno scatto fotografico efficace possiede un dettaglio, al suo interno, che ci sorprende. Un dettaglio capace di poter generare in noi un’attesa, uno sviluppo, di poter pescare in qualcosa di profondo dentro di noi. ...