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Prima della «letteratura»: l’origine della lingua italiana e delle altre lingue neolatine
GEOGRAFIA E STORIA LINGUISTICA
1.1 La lingua latina e le sue origini
Quasi tutti i popoli europei parlano lingue indoeuropee, un ceppo linguistico, cui, oltre al latino e alle lingue neolatine da esso derivate, appartengono il greco, molte antiche lingue italiche (il veneto, il messapico, l’osco, l’umbro, ecc.), le lingue germaniche, le celtiche, le baltiche, le slave e alcune lingue asiatiche (armenico, iranico, ittita, idiomi indiani).
Sono, invece, di origine pre-indoeuropea popoli stanziati nell’Italia antica prima dell’arrivo degli indoeuropei, come i Reti, i Liguri, gli Etruschi, i Piceni e i Sicani.
Gli indoeuropei erano un insieme di diversi popoli di origine euroasiatica (stanziati, in origine, nel territorio compreso tra l’Europa centrale e l’attuale Russia meridionale), che, all’incirca verso il 1400 avanti Cristo, si spinsero verso sud-ovest, occupando la vasta estensione tra i confini dell’India e quelli dell’Europa occidentale.
In particolare, tre gruppi di popolazione indoeuropea si stabilirono in Italia: i Veneti a nord; gli Osco-Umbri al centro-sud; i Latini lungo la costa tirrenica e la Sicilia orientale.
Una piccola tribù di Latini, che risulta già insediata nel territorio a sud del Tevere intorno all’anno 1000 a. C., lungo il tratto del suo corso prima di sfociare nel mar Tirreno, fondò, sui colli prospicienti il fiume, una nuova città, Roma, secondo la tradizione leggendaria nel 753 a. C.
I Latini non erano un popolo vero e proprio, ma, piuttosto, un insieme di famiglie (gentes), dedite soprattutto all’agricoltura, alla pastorizia e a forme primitive di artigianato.
I vari gruppi di queste gentes erano tenute insieme da legami di sangue, da costumi e tradizioni comuni, da bisogni dettati dalla sopravvivenza e dalla necessità di difendersi dagli attacchi di altre popolazioni; ma soprattutto dalla lingua orale e scritta, i cui caratteri erano stati forse derivati da un alfabeto della colonia greca di Cuma; i Latini, infatti, cominciarono ben presto ad avere molti scambi commerciali con le colonie greche stabilite più a sud.
Intorno al territorio occupato dai Latini erano stanziate altre popolazioni: a nord i Sabini, gli Etruschi (gruppi dei quali confluirono e si fusero coi Latini), e gli Osci; a nord-est gli Umbri e i Piceni; a nord-ovest i Liguri; a nord-est i Veneti e, ancora più a nord, i Celti; a sud-est Dauni e Messapi; a sud i Sanniti e gli Ausoni, e, ancora più a Sud, i Lucani, gli Enotri, i Bruzi e i Siculi (o Sicani), diversi tra loro per lingua, usi e costumi.
Tutti questi popoli erano, comunque, al di là delle loro diversità, quasi tutti accomunati dall’appartenenza al grande gruppo linguistico indoeuropeo.
Come sorgessero e si sviluppassero caratteri comuni alle singole lingue indoeuropee è difficile dire: forse contatti e scambi favorirono l’accoglimento reciproco di elementi linguistici dapprima estranei ai diversi gruppi di popolazioni, ma che poi finirono per entrare a far parte del patrimonio linguistico di ciascuno di essi.
La lingua parlata in origine dai Latini di Roma era primitiva, molto limitata sia nel vocabolario sia nella grammatica e nella sintassi; per di più, essendo appunto una lingua solo orale, non aveva regole fisse di alcun tipo.
Il mondo di quella Roma arcaica, agricola e pastorale, nella piccola cerchia della casa, del campo, degli attrezzi da lavoro e delle armi, era ristretto a qualche migliaio di persone, cui potevano bastare poche centinaia di parole, per stabilire regole elementari di convivenza civile e di culto religioso.
Così, la lingua, tramandata oralmente di padre in figlio, rimaneva abbastanza statica, sempre la stessa; solo di rado vi si aggiungeva qualche vocabolo nuovo, o per contributo individuale o per acquisizione di qualche espressione dai popoli confinanti, con i quali si erano stabiliti contatti politici o commerciali.
Tuttavia, abbastanza rapidamente, i Latini fondatori di Roma, dunque i ‘Romani’, dopo una prima fase difensiva, cominciarono ad estendere il proprio dominio sulle popolazioni circostanti.
I Latini mostrarono, infatti, rispetto ad altri popoli, maggiori doti di iniziativa e di capacità, per cui, tra alleanze mirate e guerre vinte, si espansero prima nel Lazio, poi verso l’attuale territorio d’Abruzzo, successivamente in Umbria, in Toscana, in Campania, e via via verso tutte le altre regioni d’Italia.
Così i Romani assimilarono modelli di civiltà e di sviluppo più evoluti dei loro, come quelli degli Etruschi e delle colonie italiche dei Greci.
In tal modo, organizzatisi sul piano politico e amministrativo, si volsero verso territori anche fuori d’Italia e in breve (II-I sec. a. C.) riuscirono ad assoggettare i Paesi che s’affacciano sul Mediterraneo, oltre che buona parte dell’Europa e del Medio Oriente: erano così gettate le basi per la fondazione del più grande e potente impero di tutti i tempi, che raggiunse il culmine della sua espansione sotto l’imperatore Traiano (II secolo d. C.).
1.2 L’Impero di Roma, il latino e la sua diffusione
L’impero romano, il più esteso e forte impero del mondo antico, contava circa 80 milioni di abitanti, di cui almeno la metà parlava il latino.
Nessuna lingua del mondo antico aveva conosciuto, prima, una diffusione simile.
Specialmente nella parte occidentale dell’impero il latino fu appreso e parlato dalla grande maggioranza della popolazione, tanto da essersi conservato fino a oggi in molte regioni: il latino, per evoluzione, ha dato origine alle lingue cosiddette ‘neolatine’, come l’italiano, il francese, lo spagnolo e altre.
Nella parte orientale, invece, dove da tempo la lingua egemone era il greco, il latino, se si esclude il territorio rumeno, fu poco usato e perciò non si è conservato.
I Romani imponevano alle regioni annesse e ai popoli conquistati le loro leggi: di conseguenza, la lingua latina doveva necessariamente arricchirsi ed evolversi, assumendo modi e forme sempre più precisi e più complessi, in modo da diventare ‘universale’ e servire non soltanto ai Latini, ma anche a tutti i popoli che entravano gradualmente a far parte dell’impero.
Popoli di stirpe e di lingua diverse, sottoposti al potere di Roma, erano costretti per i rapporti burocratici, economici, sociali e politici con la classe dominante dei vincitori, ad imparare la lingua latina, che era l’unico strumento di comunicazione, di progresso civile e di cultura.
In tal modo quei popoli venivano assorbiti ed educati nel culto della tradizione romana, di cui entravano a far parte ma alla quale fornivano, a loro volta, il prezioso e importante contributo della loro cultura.
La colonizzazione romana ebbe, infatti, un carattere molto particolare: i Romani, più che a colonizzare, procedevano a una graduale «romanizzazione»deipopoli sottomessi, che, un poco alla volta, divenivano ‘romani’.
Ad essi, pur oppressi dai funzionari e dal fisco dei conquistatori romani, Roma, in genere, permetteva di conservare le loro terre, le città, la religione e spesso anche l’amministrazione locale: tranne alcune eccezioni per speciali ragioni politiche o militari, i Romani di solito non stanziavano «colonie» nel paese assoggettato.
Quasi sempre la romanizzazione si attuava in modi apparentemente poco invasivi: romani o persone romanizzate in precedenza, in qualità di ufficiali di guarnigione, di funzionari o di negozianti, venivano a stabilirsi nel capoluogo della regione sottomessa.
Questi nuclei di insediamento erano poi seguiti dalla costruzione di scuole, di luoghi di divertimento e di impianti sportivi, di abitazioni di lusso, quasi sempre di un teatro: gradualmente l’abitato si trasformava in città.
Il latino, di conseguenza, diventava la lingua dell’amministrazione e del grande commercio: in tal modo il prestigio portato sul territorio dalla civiltà romana favoriva l’accettazione del dominio di Roma soprattutto da parte delle classi elevate, che, per facilitare la carriera dei figli, li mandavano nelle scuole romane.
A sua volta, il popolo minuto seguiva l’esempio delle classi dirigenti locali e accettava il potere di Roma: ‘romanizzata’ così la città, anche la campagna finiva per ‘romanizzarsi’, anche se molto più lentamente.
L’accentramento economico e amministrativo dell’impero facilitava questa fusione: così, perfino i culti si avvicinavano l’uno all’altro e gli dèi locali finivano per identificarsi con Giove, Mercurio, Venere e le altre divinità del pantheon romano.
Se si escludono le regioni del Mediterraneo orientale, dove la lingua dominante rimase il greco, nelle province occidentali la lingua latina a poco a poco soppiantò gli idiomi in uso prima della conquista romana, tanto che, nella maggior parte di esse, il latino è rimasto definitivamente.
Sono questi i paesi cosiddetti romanzi, o, con una definizione comparsa per la prima volta in testi latini tra il 330 e il 442,la «Romània»: si tratta della penisola iberica, della Francia, di parte del Belgio, dell’Ovest e del Sud dei paesi alpini, dell’Italia e delle sue isole, e infine dell’attuale Romania, l’unico paese dell’Europa orientale veramente romanizzato.
A questi Paesi romanzi europei, poi, vanno aggiunte le colonie transoceaniche da loro fondate: qui, anche se esse in seguito hanno raggiunto l’indipendenza politica, si continua a parlare la lingua della nazione colonizzatrice.
È il caso dei paesi americani colonizzati dagli Spagnoli e dai Portoghesi, del Canada francese, dove si parla tuttora una lingua neolatina o «romanza».
In tal modo i Romani, grazie al prestigio della loro potenza, riuscirono ad ‘esportare’ i loro costumi e la loro cultura anche in territori lontanissimi dalla capitale, che finirono per adottare a poco a poco usi, costumi, cultura degli occupanti, e ne impararono la lingua.
Il latino, grazie a questa espansione, iniziò a diventare la lingua egemone; ma anch’essa subì, a sua volta, positivamente, l’influsso culturale delle lingue e delle tradizioni dei popoli via via sottomessi, da cui i dominatori acquisivano e rielaboravano nuove conoscenze.
Alcune parole italiane, che derivano dal latino, rivelano, per esempio, la loro origine dalle antiche lingue mediterranee (es.: abete, cappero, cipolla, cedro, fragola, rosa, casa, capanna, barca, olio, vino, cavallo, cicala); altre parole discendono dall’antica lingua etrusca (es.: persona, popolo, carro, cisterna, lanterna, colonna, milite, cliente, satellite, istrione [‘attore’]), altre dalla lingua degli Osco-Umbri (bufalo, bue, lupo, fico), altre, e sono le più numerose, dalla lingua dei Greci (àncora, bottega, aria, camera, pietra, lampada, macchina, scuola, cattedra, governo, piazza, basilica, grammatica, filosofia, poeta, poesia, teatro, musica, geometria)
Così il latino diveniva anche lo strumento per trasmettere, ben oltre i confini di Roma, elementi provenienti da altre civiltà: sicché sia le parole di origine latina, sia quelle assimilate dalla lingua degli altri popoli furono diffuse largamente, prima in Europa e poi, più tardi, in gran parte del mondo.
Il latino, diffondendosi tanto estes...