Il ballo zingaro
Nonostante il pancione, Claudia si era mossa frenetica per tutto il pomeriggio a preparare la valigia. Marta aveva accusato un finto mal di schiena, pur di non aiutarla in quella prematura separazione. Anziché due, sarebbero stati tre i mesi. Decisione presa dopo il consulto col ginecologo il quale aveva ravvisato quella necessità prima che la pancia crescesse ancora.
Il trolley azzurro, nuovo di zecca, era già aperto sul tavolo dal primo mattino. Marta continuava a ripeterle che fosse troppo presto per prepararlo. Claudia, invece, sosteneva che era meglio riempirlo sin da subito per evitare di dimenticare qualcosa. Di suo, in verità , c’era ben poco, mentre il grosso apparteneva al nascituro dal momento che, non potendo conoscere il sesso, avevano provveduto ad acquistare o confezionare sia indumenti rosa che celesti. Per fortuna, Davide aveva già provveduto a inviare gran parte del vestiario di Claudia alla masseria, dove Zora si era curata di sistemarlo nell’armadio. Già a mezzogiorno, era stato tutto infilato nel trolley. Marta lamentò la fretta, accusando Claudia di volerla abbandonare al più presto.
«Non ho preso io questa decisione!» urlò la ragazza mentre si affrettava, nonostante il pancione, a sistemare le ultime cose.
«Chi me lo dice che non sia stato Davide a convincere il suo amico ginecologo!» urlò pure Marta.
«Metteresti in dubbio la sua deontologia?» chiese Davide con un tono supponente.
«Oh, la deontologia!» sottolineò Marta, alludendo al fatto che avesse accettato di fare ben altro.
Davide accusò il colpo, restando zitto. Claudia si accostò a Marta per abbracciarla.
«Ti capisco» le sussurrò «starei male anch’io se fossi nei tuoi panni».
«Invece non ci sei. Mentre ti vedo da stamattina balzare da un punto all’altro della casa, con la frenesia di una che vuole fuggire...» piagnucolò.
Claudia non replicò. In effetti, non aveva fatto niente per non dimostrare la fretta di andare via. Una smania non motivata da una fuga da quella casa dove aveva trascorsi giorni felici, ma la semplice curiosità di conoscere un altro mondo, quello nomade al quale sentiva di appartenere. Fu quello il primo pensiero che le venne davanti alla scuola quando non trovò nessuno ad attenderla. C’era la solita zingara a elemosinare, lei restò a guardarla col desiderio che potesse rapirla, così come dicevano in giro. Che la potesse portare in un altrove lontano dalla sua casa. Ora, per incanto, tutto stava avvenendo. Anche per lei un ricorso mentale a qualcosa di fortemente desiderato: la totale libertà . Chiese scusa alla sua compagna, non senza provare un senso di colpa.
•
La discesa fu per Davide più faticosa di quanto avesse potuto immaginare. Teneva il trolley sollevato con una mano, non potendolo trascinare su un terreno umido e sconnesso. Con l’altro braccio provvedeva a sostenere Claudia che si appoggiava con forza, nel timore di cadere. Si fermarono cinque volte, lungo il percorso. Nell’ultimo tratto, fu raggiunto da Kahlo che volle aiutarlo, non prima di aver rivolto un ossequioso saluto a Claudia:
«Buongiorno signora»!
Claudia rise. Era la prima volta che riceveva quell’appellativo, non le spiacque.
Marta non volle vederli partire. Era rimasta chiusa in camera col desiderio di restarci finché non fosse ritornata. Prese il cuscino di Claudia lo annusò con un profondo respiro ponendoselo, poi, sotto la sottana.
Già da lontano, quella casa le parve davvero un castello, per quant’era enorme. Sullo spiazzo antistante c’era già Zora ad attenderla, senza i bambini. Le andò incontro verso la macchina. Claudia restò colpita dalla straordinaria bellezza e dalle sue movenze flessuose, le venne una gran voglia di abbracciarla. Invece, Zora pose una mano sulla pancia, guardandola fissa negli occhi, dopo una lunga pausa, disse con un dolcissimo tono di voce:
«É femmina, ha occhi verdi come foglia di albero».
A Claudia le parve normale che quella frase fosse stata pronunciata con quel tono e quella cadenza poetica. L’abbracciò stretta a sé.
«Piano!» le consigliò Zora «Tu non schiacciare piccola» sorrise, mostrando una dentatura bianca, splendente, come non aveva mai visto.
Si avviarono verso casa, tenendosi abbracciate. Zora volle accoglierla con una frase gentile:
«Questa ora tua casa» disse, felice di accoglierla.
Ancora quello smagliante sorriso, ancora una frase poetica di sole quattro parole che sarebbero suonate banali in un altro contesto. Claudia sentì qualcosa vibrarle dentro, una sensazione di intimo benessere provato solo in alcune circostanze: quando si innamorava di qualcuno.
«Grazie...» sussurrò, incapace di aggiungere altro.
«Grazie a te, io sono fortunata di conoscere te» rispose Zora con la solita musicalità nel tono.
La ragazza gitana era davvero felice. Lo mostravano i suoi occhi, le sue mani, la sua bocca, l’intero corpo che sembrava sospeso su quella gonna ampia e colorata. Claudia non riusciva a pronunciare alcuna parola, le sue labbra, semiaperte, restavano immobili a contemplare estasiate il miracolo che le cingeva il fianco.
Davide la osservò, dubbioso se l’avrebbe mai più portata via da quel posto. Questo rafforzava la sua idea del trasferimento. La salutò baciandola sulla bocca e dicendole che per questo primo giorno fosse bene che lui tornasse presto da Marta, mentre lei avrebbe avuto il tempo di familiarizzare con Zora. Lei assentì, contenta che potesse restare sola con giovane Rom.
Per prima cosa visitarono la stanza da letto che era al piano di sopra. Dalla finestra Zora le mostrò il suo campo e le indicò la sua roulotte. Un fumo bianco, appena smosso da un leggero vento, si sollevava dal centro dell’accampamento. Intorno al fuoco alcuni ragazzini giocavano a rincorrersi mentre un gruppo di donne era riunito a discutere su qualcosa di importante, sembrò a Claudia, per come gesticolavano. Zora colse la curiosità .
«Oggi prepariamo grande festa per te».
A Claudia le sembrò eccessivo che questo potesse accadere.
«Non è possibile che voi facciate questo per me...»
«Tu non preoccupa, noi popolo Rom piace cantare, suonare, ballare» la interruppe Zora.
Le sembrò sincera. Voleva dire, col suo linguaggio, che la sua gente non perdeva occasione per festeggiare.
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Al campo fu accolta con un allegro entusiasmo di tutta la comunità . Per primo giunse un gruppo numeroso di bambini, tra questi, i figli di Zora: Nicola, Stefano, Sofia e Gabriella. I loro nomi erano italiani perché erano nati tutti in Italia, le spiegò Zora. A seguire, le donne: tutte belle, anche quelle un po’ grasse che Claudia non gradiva. Gli uomini si tenevano discretamente da parte, limitandosi a salutare con la mano. Raggiunsero la roulotte della ragazza. L’interno era colmo di oggetti di varia natura: cuscini ricamati di diversi colori, un enorme vaso di rame, un samovar con rispettiva teiera, scialli con decorazioni floreali e quant'altro. Il letto matrimoniale, ricoperto con un copriletto di raso rosso, occupava il fondo del piccolo ambiente mentre dei letti ribaltabili erano posti lungo i bordi; infine, la cucina, che era stata ricavata in un angolo, si componeva di un lavabo di acciaio con accanto il piatto cottura a gas a tre soli fornelli. Zora le spiegò che la cottura della carne o pesce avveniva sempre sul fuoco a legna posto all’esterno. Tutto era al proprio posto, anche se l’insieme dava l’impressione di disordine. Zora mise a bollire dell’acqua in un pentolino con l’intenzione di preparare una tisana di lavanda; bevanda che bevvero, sedute una accanto all’altra, sul bordo del letto matrimoniale. La vicinanza dei corpi indusse Claudia a cercare un maggior contatto, spingendo la sua coscia contro quella di Zora che non la scostò, ma ne aumentò l’aderenza allargando la sua mentre con la mano le carezzava la pancia, lei ricambiò sfiorandole la guancia col dorso della mano, si sorrisero; Claudia le chiese:
«Dormirai con me stanotte»?
Zora si rabbuiò, rispose piano:
«Io non piace dormire tua casa...» abbassò lo sguardo.
Claudia restò in silenzio, in attesa che proseguisse il discorso, anche se sapeva già di quel rifiuto anticipatole da Davide.
Zora sollevò la testa, guardò negli occhi Claudia, mormorò:
«Casa di muro troppo grande, ho paura...» non proseguì.
Claudia le prese una mano, parlò piano per non intimidirla.
«Ci sarò io al tuo fianco... a proposito, i bambini?» si ricordò.
«I bambini da oggi dormiranno sempre in altro camper, quello di mia sora».
«Sorella, vuoi dire»?
«Sì, quello».
«Tu dormi qui con tuo marito»?
«No. Ora Kahlo dorme con suo padre vecchio, malato, in altro camper».
Claudia guardò intorno, non era il meglio per i suoi gusti, ma la cosa più bella le sarebbe stata accanto.
«Quando inizia la festa»?
«Quando è buio. E poi tutta la notte, sino quando uomini tutti ubriachi» rise.
«Bene, sarà tardi per me. Resto a dormire qui».
Gli occhi di Zora brillarono più di quanto già non brillassero, urlò:
«Brava sorella, tu grande amica!» l’abbracciò.
Da fuori proveniva il suono lungo di una sola corda di violino, seguita da una seconda, terza e quarta. Poi il tocco secco di quelle di una chitarra che si accordavano con il violino. Due voci roche, maschili, si scambiavano delle frasi incomprensibili. Zora la informò:
«Sono nostri musicisti, molto buoni».
«Sì, avevo capito» rispose Claudia, ricordando i suoi primi accordi col violino, abbandonato per la pittura.
Zora cominciò a spogliarsi per cambiarsi l’abito. Si sfilò l’ampia camicetta bianca, non aveva reggiseno, due mammelle sode con dei grossi capezzoli scuri meravigliarono Claudia per la loro perfezione. Poi provvide a togliersi la gonna, non indossava nemmeno le mutande, le natiche erano di una rotondità statuaria, così le sue cosce. Claudia stupita da un corpo così perfetto e levigato, le chiese:
«Quanti anni hai»?
«Ventitré» rispose subito.
«E hai già quattro figli»?
«Anche tu hai cominciato presto, alla mia età avrai già un figlio di cinque anni».
«Già , è vero» rispose Claudia, meravigliandosi di come avesse saputo della sua età . Lo chiese. Zora rispose subito:
«Non facciamo entrare nessun gagé piccolo in nostra famiglia. Kahlo ha chiesto tua età al gagè grande che ti ha accompagnato. Diciotto anni, ha detto lui. Sei grande anche tu».
«Quasi diciannove» precisò Claudia.
«A te piace anche femmine...»
Claudia rimase stupita da quella affermazione pronunciata senza alcuna malizia, chiese:
«Questo come fai a saperlo, non può averlo detto Davide».
«Noi donne Rom siamo sensitive...» rise, per poi aggiungere «bugia, noi non conosciamo verità degli altri, fingiamo di leggere mano».
«Quindi?» chiese sorpresa Claudia.
«Sappiamo leggere occhi, però...»
«Cioè»?
«Tuoi occhi guardano mio corpo come voglia di maschio» ammiccò.
«Sì, è vero. Sei bellissima, mi piaci tanto» allungò la mano per tirare verso sé quel corpo ancora nudo. Poggiò una guancia sul suo ventre, socchiuse gli occhi per meglio sentire il solo odore. Z...