14. La ragazza del luna park di Via Stalingrado
Ed eccoci giunti, amici, anzi, eccomi giunto al narrarvi, dopo tanti segmenti tetri e angoscianti in cui vi raccontai o soltanto v’accennai, a mo’ di panoramica veloce su innumerevoli eventi macabri purtroppo accaduti in quel di Bologna e dintorni, qualcosa di meravigliosamente molto più dolce e ben lungi dall’essere soltanto associato a eventi tragici, perlomeno nefasti.
Anche se a ben vedere... lo zucchero filato, venduto da ragazze sexy alla Betty Page, nasconde, dietro l’angolo, case maledette infestate da ragazzini da luna park che vivono angustamente adolescenze che, agli occhi adulti e altrui, risultano superficialmente perturbanti, vite da ragazzi che appaiono soltanto pateticamente sbandate, da disperati per l’appunto disturbati.
Conobbi la prelibata e romantica, altera e bellissima donna di cui, presto, ivi vi parlerò, in circostanze del fato che, in quel frangente, mi fu del tutto avverso.
Fu un periodo mio nel quale m’isolai e, angosciato da mille e più pensieri strazianti, persi la mia innata baldanza. Furono attimi di psicologici scompensi, ragazzi miei, veramente allucinanti, oserei dire lancinanti.
Ma lei era veramente conturbante. Una figa stellare, spaziale, oso dire stroboscopica e spasmodica, anzi, intergalattica. Roba che il nudo integrale superarrapante di Mathilda May in Space Vampires di Tobe Hooper sfigurerebbe in tre secondi netti. Mathilda, figuratevi che figa... ebbi a me dinanzi.
Space Vampires!
In tale film contenente una scena davvero eccitante che scatena sempreverdi, incontenibili fremiti virili di natura orgasmica, Mathilda è una figa mai vista, ovviamente.
Robotica, dunque talmente bella da sembrare finta nella sua fina bellezza immondamente irreale, una statuaria passera pronunciatasi prorompente su suo turgido e burroso seno esplosivo del quale avrei, seduta stante, leccato e succhiato con voluttà estrema i capezzoli durissimi, mordicchiandoli infinitamente con fare gustosamente godentesi il mio poi penetrarla in modo caldamente irruente. Scalmanato e deflagrandole addosso, in maniera assai gustosa e filante, fragrante e reciprocamente godente, tutto il mio liquido fottutamente spermatico con sanissima e robustissima voglia capricciosa da primitivo uomo cazzuto senz’alcuna inibizione moralistica. Una donna superba non solo di suo mastodontico e immenso seno burroso, bensì anche nel senso figurato di figa bestiale. Che poi è la stessa cosa. Eh eh. Per non parlare, che ve lo dico a fare, delle sue strepitose cosce vellutate da indurire, no, indurre chiunque a sprigionare un ferino, incontenibile urlo smodato più bellamente tonante d’un altissimo grido di piacere da giro adrenalinico in giostra esaltante. Così bestiale da incarnare la sensualità , come dettovi, più arcana, una donna così immediatamente eccitante da mettere in cinta, no, da incitare, in un brevissimo istante eccezionale di maschile erezione animalesca, istinti bradi e primigeni dei più lussuriosamente fantascientifici. Una donna che, al solo suo mostrarsi ignuda, sprona ogni uomo eterosessuale a una regressione barbarica per scoparla in modo primordiale senz’alcuna sociale sovrastruttura del cazzo, da uomo del Neolitico o da malato mentale in preoccupante discesa in stato puberale. Donna che ti rende pazzo e paonazzo, soprattutto duro il cazzo.
Scusate, non prendetemi per un troglodita, mi sono lasciato prendere la mano e mi stavo perdendo in masturbazioni non solo oratoriamente cervellotiche. Insomma, ripensando a Mathilda, m’ero distratto in zona così autoerotica da venire, no, divenire scimmiesco, forse solo scemo.
Dio, però, cazzo d’un Buddha, come dicono a Bologna, che figa cosmica.
Ma questa ragazza del luna park, eh sì, fu ed è, rispetto alla già inarrivabile Mathilda, se possibile, ancora più bella. Lo evidenzio rittamente e nettamente. Nuovamente, rimarcandolo potentemente.
L’adocchiai per un paio di giorni. Anzi, di serate. Poi, senza dare nell’occhio, perdonate il gioco di parole, seppur sbirciandola in continuazione, ossessionato come fui, sin dapprincipio e dalla prima occhiata rivoltale, per l’appunto, dalla sua bellezza sconfinata, con gentilezza e non poca timidezza l’approcciai, avvicinandomene discretamente con passo felpato un po’ titubante da imbranato uomo che s’appaia all’avverbio timorosamente.
Tale mio dapprima notarla, innamorandomene di colpo di fulmine furente, accadde quando solo come un cane, in balia di mie giammai sopite nevrosi angosciose, decisi di prendere la macchina e, a tarda sera inoltrata, mentre lassù in cielo rifulgeva un cauto plenilunio ispiratore di romanticismo sanamente atroce e selvaggiamente lucente, nottetempo e in un batter d’occhio, insomma in un battibaleno, repentinamente volli dirigermi in via Stalingrado.
Patria delle puttane, come già dettovi? Certo.
Ma anche spazio, a sua volta campeggiante in mezzo a un felsineo, celebre spiazzo famoso ai suoi cittadini, riservato alle gnocche, no, alle giostre e a ogni funambolico divertimento che, all’interno d’una piccola, dolce, incantata valle fiorita, rifioriscono quando, soprattutto, la primavera stessa rifiorisce e, a puntuale cadenza autunnale, no, anale, no, annuale, i parchi giochi per l’appunto germogliano floridamente.
Lo ridico, annualmente.
Al che, noi bolognesi assistiamo al pullulare di avvolgenti baracconi da circo in cui si tengono spettacoli stupefacenti, assistiamo al fiorire di tendoni adibiti a quei magnifici show circensi che si svolgono in capannoni da film Come l’acqua per gli elefanti o Elephant Man, ammesso perlomeno che tuttora essi esistano. Però, a differenza degli uccisi animali selvaggi quali son i leoni imbrigliati da sadici domatori grintosamente indomiti, non siamo stati estinti e dunque sopravviviamo, resistendo famelicamente, azzardo a dire di metafora attinente alle teorie sull’evoluzione di Charles Darwin, nella nostra caotica epoca ove impazza l’edonismo e non v’è probabilmente, fra tanta folle smargiasseria volgare ed entropicamente confusionaria, nella baraonda di questa società spesso stomachevole e falsamente gioconda, più spazio, per l’appunto, per la fantasia pindarica, per le piroette mirabolanti di destri trapezisti, un’epoca nella quale pare che non ci sia più attimo alcuno da dedicare alle belle fantasticherie davvero felici e alle euforiche baldanze variopinte e vivaci figlie d’un tempo oramai scomparso dalla memoria di uomini e donne sepolti, ahinoi, nella marcescenza d’una estetica plastificata e fatta, anzi, sfatta di manichini cretini, un’umanità d’uomini e donne imbarbariti e malsanamente regrediti a una finta modernità invero più incivile della preistoria più impensabilmente inaudita. Roba, cazzo, da Jurassic Park.
Vedete che torniamo a Spielberg?
Fu lì, a pochi passi dall’Estragon, strambo e spesso affollato disco-pub di quell’inland un tempo, come sottolineatovi, magicamente sulfureo e pregno di atmosfere caldamente umane, che vidi, anzi, avvistai per la prima volta lei. La mia lei...
Presto ve ne racconterò. Moderate subito la vostra morbosa curiosità pazza. Pazientate.
Aspettate il vostro turno, mi raccomando, dopo aver acquistato il biglietto alla cassa dei miei sogni giammai perduti o ripescati dal cilindro delle esoteriche e stregonesche, pagliaccesche, no, streganti circostanze vitali assai sfortunate oppure fortu...