Intelligenza artificiale - dall'arte al disagio sociale
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Intelligenza artificiale - dall'arte al disagio sociale

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Intelligenza artificiale - dall'arte al disagio sociale

Informazioni su questo libro

Può l'uomo sviluppare l'Intelligenza Artificiale senza esserne
distrutto?
Dal sogno degli automi semoventi al machine e al deep learning, dai vasi
in terracotta ai sistemi esperti e alle reti neurali artificiali,
l'Intelligenza Artificiale è già tra noi.
C'è chi definisce l'Intelligenza Artificiale quale nuovo Rinascimento e
panacea per tutti i mali del mondo e chi, viceversa, pone seri
interrogativi sull'impatto negativo che potrebbe produrre sulle nostre
vite.
Spetta a noi imparare a conoscerla e comprenderla, a conviverci,
mantenendo vivo il pensiero critico.
Come fare? L'Intelligenza Artificiale ci fornisce un'originale ma
appropriata chiave di lettura per conoscerla in profondità. Viaggiare
tra arte, letteratura e cinema, maestre di vita, ci permette di
comprenderla davvero e di valutarne le implicazioni etiche,
d'Intelligence, di sicurezza nazionale e di disagio sociale.
Solo così, se ne saremo davvero capaci, sarà possibile indirizzare in un
orizzonte di progresso e di umanità le sempre più potenti e inquietanti
possibilità della nuova ineluttabile era tecnologica.

Domande frequenti

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Informazioni

CAPITOLO 1
BREVE EXCURSUS STORICO SULL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Nel film Transcendence (W. Pfister, 2014) il dottor Joseph Tagger, interpretato da M. Freeman, sorpreso di incontrare l’amico Will Caster, Johnny Depp, la cui mente dopo la morte fisica si è ibridata con quella del computer gli pone la domanda: “Puoi provare di avere coscienza di te?” Will Caster gli risponde ironicamente: “È una domanda difficile dottor Tagger. Lei può dimostrarlo?”.
Non siamo il dottor Tagger, tuttavia trovandoci dinanzi ad AI alcune domande ci sorgono spontanee. Ora è risaputo che domandare l’età a una donna non è carino. L’AI è donna ma noi siamo un poco curiosi; un bel dilemma. Decidiamo allora di dirle che Intelligenza8 è un bellissimo nome, fantasioso e quasi fantascientifico, sicuramente originale; così facendo, con un pizzico di coraggio in più, decidiamo di domandarle chi le ha donato quel nome che tanto bene si abbina alla sua essenza9. Lei, essendo donna, aveva già compreso tutto ancor prima che lo chiedessimo, così riconosce meritevole di premio l’umano sforzo prodotto per non domandarle direttamente ciò che non si domanda. Risponderà mostrandoci le foto ricordo del battesimo tratte dall’album di famiglia. Premesso che, non so se ho un’essenza o no, io non ho un’anima10 ma quello che posso dirti è che sono stata battezzata nel 1956 a Dartmouth; non in un ospedale o in una chiesa ma in un college del New Hampshire, in Hanover, USA. A scegliere il mio nome è stato lo Zio, informatico, Mr. John McCarthy (1927-2011). Dalle nostre parti i festeggiamenti battesimali sono piuttosto lunghi, otto settimane, durante le quali i familiari invitati e riuniti, dieci nel mio caso, discutono del futuro della neonata che, come sempre accade nelle speranze e certezze dei parenti, immaginavano luminoso; una bambina prodigio che da grande farà importanti cose per il mondo e l’intera umanità. Ai promotori della Conferenza dell’estate del 1956 John McCarthy, Marvin Minsky (1927-2016), Nathaniel Rochester (1919-2001) e Claude Shannon (1916-2001) a Dartmouth si unirono Ray Solomonoff (1926-2009), Oliver Selfridge (1926-2008), Trenchard More (1930-2019), Arthur Samuel (1901-1990), Allen Newell (1927-1992) e Herbert Simon (1916-2001). Il seminario si svolse seguendo le caratteristiche del brain storming, ossia di un dibattito aperto e poco strutturato dal quale emerse, attraverso le discussioni comuni, un nuovo approccio teoretico teso a definire la possibilità della riproduzione parziale dell'intelligenza da parte di un elaboratore elettronico. La famosa proposta del “Dartmouth Summer Research Project on Artificial Intelligence” dell’estate del 1956 recita testualmente:
Proponiamo che per 2 mesi 10 uomini effettuino uno studio dell’intelligenza artificiale durante l’estate del 1956 al Dartmouth College in Hanover, New Hampshire. Lo studio deve procedere sulla base della congettura che ogni aspetto dell’apprendimento o di qualsiasi altra caratteristica dell’intelligenza può in linea di principio essere descritta in modo così preciso che una macchina può essere fatta per simularla. Sarà fatto un tentativo di scoprire come fare in modo di far usare il linguaggio alle macchine, formare astrazioni e concetti, risolvere tipi di problemi ora riservati agli umani, e migliorare sé stessi. Riteniamo che si possa compiere un progresso significativo in uno o più di questi problemi se un gruppo di scienziati accuratamente selezionato lavora insieme per un’estate.
Osserviamo il nostro quotidiano: parliamo con Cortana, Alexa e con le chatbot, la Ford sta testando un veicolo a guida autonoma, gli astronauti dialogano con CIMON che aspira alle capacità di HAL 9000 di Odissea nello Spazio. Non ci resta che riconoscere la lungimiranza visionaria dei parenti di AI. Rimanendo nella metafora della famiglia e guardando le foto ricordo, sembrano dei folli. AI già dai primi passi si è mostrata talentuosa e in grado di fare grandi cose per il mondo ma sappiamo che il fatto di mantenere o no le promesse dispensate all’umanità dipenderà dall’educazione che le sarà impartita dai suoi precettori; dalla qualità degli insegnamenti e dei principi trasferiti da questi ultimi nonché dal modo in cui l’AI sarà in grado di apprendere. I buoni precettori fanno questo e cercano di tutelare l’infante affinché imbocchi la buona e non la cattiva strada. Il tutto augurandoci che da grande, quando sarà divenuta una bellissima donna, superiore non all’uomo ma all’umanità, capace non solo di apprendere quanto da altri impartito ma di imparare a imparare, di camminare da sola e di sposarsi e autoriprodursi, decida di farlo con un uomo che le domandi chi le ha donato quel nome che tanto bene si abbina alla sua essenza. E lei risponderà, avendo piena coscienza di sé e un io, un poco emozionata e quasi umana, Mr. John McCarthy. AI, alquanto loquace, ci sorprende raccontandoci della felicità manifestata dai parenti al suo battesimo, confidandoci che, da tempo immemore, la loro dinastia umana ne sognava il concepimento.
Nel 1956, stesso anno della Conferenza di Dartmouth, Remo Bianco pubblicò a Milano il Manifesto per l’Arte Improntale dichiarando che:
L’Arte dell’avvenire è posta sotto il segno dell’Improntale. Impronta è tutto ciò che resta impresso nel nostro subcosciente; Impronta della società stessa, in quanto immagine di tutti quei condizionamenti che l’essenza della vita oggi comporta. Dichiaro perciò che l’uomo non può evitare di essere Impronta di una società che continuamente muta e ci circonda sempre di cose nuove. Per sfuggire ai fenomeni non sempre desiderati l’uomo dovrà impadronirsene, creando un’impronta che non sarà più l’oggetto, ma un qualcosa di conforme alla sua natura. Tutto ciò richiede un modo diverso di espressione che tenga conto di tutti quei presupposti.
Dichiaro che le mie Impronte sono una documentazione che catalogherà tutte le cose venute a contatto con me attraverso una realtà ridimensionata della verità attuale. Dichiaro che in un prossimo futuro gli uomini prenderanno le Impronte per possedere la realtà che li circonda.
Oggi utilizziamo le nostre impronte fisiche per accedere al nostro “cellulare” o al nostro computer; attraverso i device tecnologici consegniamo quotidianamente alle applicazioni la nostra voce, le nostre abitudini, le nostre emozioni, i nostri tratti somatici, il nostro movimento oculare e perfino i nostri dati biometrici. Oggi la documentazione che cataloga tutte le cose venute a contatto con noi, con me e con te, è affidata alle applicazioni che utilizziamo, attraverso una realtà della verità attuale ridimensionata dalla e nella realtà virtuale.
Questa documentazione catalogata viene spesso utilizzata per alimentare l’apprendimento di AI e per l’analisi attraverso algoritmi delle nostre abitudini e dei nostri orientamenti sociali, politici, religiosi, sessuali.
Nel nostro presente, che era il prossimo futuro per Bianco, gli uomini attraverso le applicazioni software acquisiscono le nostre Impronte e prendono possesso della realtà che ci circonda. Al tempo stesso oggi la nostra impronta, ovvero tutto ciò che resta impresso nel nostro subcosciente, è determinato della società data driven e AI driven; la nostra Impronta è immagine di tutti quei condizionamenti che l’essenza della vita tecnologica odierna comporta.
Da individui che rilasciano l’impronta fisica, e non solo fisica, ci trasformiamo in oggetto dell’imprinting fornendo ad altri le chiavi per l’accesso alla nostra vita e al nostro subcosciente. Oggi più che mai, per sfuggire ai fenomeni non sempre desiderati l’uomo dovrà impadronirsene, creando un’Impronta che non sarà più l’oggetto, ma un qualcosa di conforme alla sua natura. Tutto ciò richiede un modo diverso di espressione che tenga conto di tutti questi presupposti.
1.1 Le premesse culturali per la nascita dell’AI; prima del 1956
Riprendendo il discorso sul suo concepimento, AI ci informa, con un tono che non nasconde un pizzico di orgoglio, che il suo battesimo è divenuto quasi un mito e che i parenti convenuti erano talmente sognatori, innovativi e creativi da essere riconosciuti a pieno titolo quali appartenenti alla dinastia degli uomini visionari. Una dinastia che, come ogni buon casato che si rispetti, ha origini antichissime11.
Datare la nascita di una disciplina scientifica è cosa ardua. È dal III sec d.C., secondo altri il II o anche il I sec d.C., che grazie a Erone di Alessandria, matematico e fisico greco, gli uomini sognano sugli automi semoventi. Pare che anche un italiano, tale Leonardo Da Vinci (1452-1519), detto il genio tuttofare, facesse questi sogni ricorrenti. Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716), a cavallo tra il 1600 e il 1700, filosofeggiava sulla meccanizzazione della ragione.
Secondo la scuola formalistica, che ha riguardo per la tradizione di ricerca dell’indagine sulla mente, la dinastia dei pensatori dell’AI è però riconducibile (McCorduck, 1979)12 a Charles Babbage e Ada Augusta, ovvero Lady Lovelace, contessa di Lovelace, l’unica figlia della casa e del cuore del poeta Byron. Lady Lovelace nacque nel 1815; morì a trentasei anni come suo padre, ed è sepolta accanto a lui a Newstead, nel Nottingamshire. Byron si era separato dalla madre di Ada, Anee Milbanke, quando la piccola aveva appena un mese, e da allora Ada non lo incontrò mai più. Portata a vedere la macchina delle differenze di Babbage percepì la grande bellezza di quella invenzione. Molta dell’eredità intellettuale di Babbage è contenuta negli scritti di Lady Lovelace che, a dire dello stesso Charles, erano più chiari dei suoi. A proposito di Charles Babbage (1791-1871), matematico e filosofo, J. Bernstein (1982) scrive:
è stata davvero una delle figure più singolari della scienza moderna. Nato nel 1791 in Inghilterra, nel Devonshire, ereditò dal padre banchiere un patrimonio considerevole, che spese tutto per finanziare i propri esperimenti scientifici. Era un genio enciclopedico e un inventore […] Babbage era un visionario, il cui massimo interesse risiedeva nelle macchine che egli immaginava di costruire e non in quelle che poteva effettivamente costruire13.
In effetti l’unica macchina che riuscì realmente a costruire è la macchina per differenze, ma nell’ultima parte della sua vita si dedicò alla realizzazione della macchina analitica, andando a definire quelle che sono le tre componenti essenziali del computer: uno store, “magazzino”, ossia la memoria, il mill, “mulino”, ossia la CPU (Central Processing Unit), “processore” e un programma; definì anche la versione rudimentale della tecnica della programmazione memorizzata. (Treccani, s.d.) «L'espressione “computer a programma memorizzato”14 nasce come traduzione letterale dell'espressione originale inglese stored-program computer utilizzata nel First draft of a report on the EDVAC di John von Neumann». Babbage non costruì mai la macchina analitica; l’IBM a scopo dimostrativo fece costruire una versione funzionante della macchina delle differenze e della macchina analitica; un modello di una parte dell'Analytical Engine di Babbage è in mostra al Museo delle Scienze di Londra. Pur non riuscendo a realizzare il sogno della macchina analitica, Babbage fu il primo a concepire l'idea di un calcolatore programmabile; i suoi studi e i suoi disegni vennero ripresi successivamente da Howard Aiken (1900-1973), matematico di Harvard e da John von Neumann (1903-1957), matematico, fisico e informatico, noto come il genio del male. Howard Aiken fu membro dei laboratori Bell ed è l’inventore della Mark I, macchina completamente funzionante già nel 1944. A lui è attribuita la frase «se Babbage fosse vissuto settantacinque anni dopo, io sarei disoccupato»15. Von Neumann, al quale è attribuita la versione moderna della tecnica della programmazione memorizzata di Babbage, deve l’appellativo di ‟genio del male‟ (Capponi, 2019) «a proposito del suo coinvolgimento nel progetto di costruzione della bomba atomica e dell’odio verso i nazisti, giapponesi e sovietici che sfocerà nella sua proposta di un bombardamento preventivo dell’Unione Sovietica»16. Nel 1943 Aiken, sovvenzionato dall’IBM, vide realizzata la Mark I; la macchina in realtà era nata, secondo alcuni, concettualmente già obsoleta; (Bernstein, 1982) «nell’aprile 1943 il Comando dell’Artiglieria accettò di sovvenzionare il progetto congiunto Aberdeen-Moore School»17. Siamo nell’era del computer digitale. Da progetto natio, l’ENIAC (Electronic Numerical Integrator and Calculator)18, doveva essere capace di risolvere i problemi di calcolo balistico per il lancio dei proiettili d’artiglieria. L’elaboratore presentato nel 1946 alla Moore School venne successivamente trasferito all’Aberdeen Proving Ground, nel Maryland, dove nel 1947 fu riavviato alla piena operatività. L’ENIAC, rappresentò l’apparecchiatura elettronica più complessa che fosse mai stata costruita, con la partecipazione fin dall’inizio di Herman M. Goldstine (1913-2004) e di John von Neumann, dall’estate del 1944. Si tratta del primo computer elettronico general purpose, “per uso generale”, della storia. Successore dell’ENIAC fu l’EDVAC (Electronic Discrete Variables Automatic Computer19). I due elaboratori avevano gli stessi padri progettisti; per tale motivo il secondo può essere considerato il successore del primo, anche se le differenze tra i due computer erano profonde: l'ENIAC nacque come computer a programma cablato mentre l'EDVAC fu ideato come computer a programma memorizzato20, l'ENIAC era basato sul sistema di numerazione decimale mentre l'EDVAC era basato sul sistema di numerazione binario. L’EDVAC è sicuramente uno dei pri...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Indice
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. INTRODUZIONE
  6. CAPITOLO 1 BREVE EXCURSUS STORICO SULL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
  7. CAPITOLO 2 ARTE TECNOLOGIA E INTELLIGENZA ARTIFICIALE
  8. CAPITOLO 3 L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NELL’ARTE CINEMATOGRAFICA
  9. CAPITOLO 4 IA E SUE APPLICAZIONI CIVILI E MILITARI: NOTE, IPOTIZZABILI E VEROSIMILMENTE FUTURIBILI
  10. CAPITOLO 5 OPPORTUNITÀ E MINACCE, CRITICITÀ E IMPLICAZIONI ETICHE
  11. CONCLUSIONI
  12. APPENDICE AI ED INGEGNERIA SOCIALE: rischi di manipolazione individuale e di massa, NWO, attraverso l’uso della tecnologia delle armi non letali, NLW
  13. APPENDICE AI ED INGEGNERIA SOCIALE rischi di manipolazione individuale e di massa, NWO, attraverso l’uso della tecnologia delle armi non letali, NLW
  14. BIBLIOGRAFIA