III
Nel procedere ad esaminare quali leggi la scienza ci insegna e quali verità considera come inviolabili, il nostro compito sarà semplificato e il nostro scopo pienamente asservito attenendoci alla più esatta fra tutte le scienze naturali: la fisica. Giacché questa è la branca della scienza che a rigor di logica ci si potrebbe aspettare verosimilmente più in conflitto con le necessità religiose.
Quindi siamo a chiederci che tipo di scoperte abbia fatto la fisica fino ai nostri giorni e quali limiti queste pongano alla fede religiosa.
A stento ho bisogno di evidenziare che viste storicamente e nell’insieme, le scoperte della ricerca fisica e le conclusioni che da esse discendono non hanno condotto a cambiamenti sterili, ma a costanti miglioramenti in completezza e precisione fino ai giorni nostri, a volte ad un ritmo più veloce altre volte più lento. E di conseguenza abbiamo tutte le ragioni per considerare la conoscenza fin qui accumulata dalla fisica, di natura durevole.
Qual è dunque la sostanza di queste scoperte? Prima di tutto deve notarsi come in fisica, tutti gli elementi di conoscenza sono basati su misurazioni; e che ogni misurazione ha luogo nel tempo e nello spazio con ordine di magnitudine variabile dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo.
Possiamo avere un’approssimativa idea della distanza delle regioni cosmiche da cui un messaggio può ancora raggiungerci considerando che la luce - che percorre la distanza dalla Terra alla Luna più o meno in un secondo - impiega svariati milioni di anni per giungere da queste regioni al nostro pianeta.
All’altro estremo dello spettro, la fisica deve calcolare con misure spaziali e temporali l’infinita minuzia di ciò che può essere rappresentato dal paragone di una punta di spillo con il nostro intero pianeta.
Misurazioni dei più svariati tipi sono risultate coerenti nel condurci alla conclusione che tutti gli eventi in fisica - senza eccezioni - possono essere ridotti a processi meccanici o elettrici, prodotti dal movimento di particelle finite quali elettroni, positroni, protoni e neutroni. E che sia la massa che la carica di tutte queste particelle sono espresse da numeri estremamente piccoli ma definiti.
La precisione di questi numeri aumenta con l’aumentare della precisione nei metodi di misurazione. Questi numeri infinitesimi - le cosiddette costanti universali - sono in un certo senso gli incrollabili mattoni costituenti l’edificio della fisica teorica.
Dunque dobbiamo procedere con la domanda: qual è il vero significato di queste costanti? Sono esse in ultima analisi invenzioni della mente umana o hanno un significato reale, indipendente dall’intelletto umano?
La prima di queste due visioni è sostenuta dai fautori del positivismo o almeno dai suoi più estremi seguaci. La loro teoria è che la fisica non abbia altro fondamento che le misurazioni su cui si erge; e che un’asserzione ha senso in fisica solo in quanto possa essere suffragata da misurazioni. Ma siccome ogni misurazione presuppone un osservatore, nella prospettiva positivista la vera sostanza di una legge fisica non può mai essere disgiunta dall’osservatore e perde di significato appena si cerca di eliminare virtualmente l’osservatore per vedere qualcosa di ulteriore, qualcosa di reale, aldilà di costui e della sua misurazione.
Questa concezione non può essere confutata dal punto di vista puramente logico. E ciò nonostante, ad un esame più ravvicinato si qualifica come inadeguata e improduttiva. Perché trascura una circostanza di decisiva importanza nel progresso e nello sviluppo della conoscenza scientifica.
Per quanto il positivismo possa credere di sé stesso procedere senza presupposti, ciò non di meno esso è vincolato ad una premessa fondamentale se non vuole degenerare in inintelligibile solipsismo.
Tale premessa è che ogni misurazione fisica può essere riprodotta, sicché il suo risultato non dipenda né dalla personalità dell’individuo che conduce l’esperimento, né dal luogo e dal momento della misurazione, né da nessun’altra circostanza contingente.
Ma questo semplicemente significa che il fattore decisivo per il risultato della misurazione si trova al di là dell’osservatore e che quindi ognuno è necessariamente indotto a domande concernenti collegamenti causali effettivi che operano indipendentemente dall’osservatore.
A dire il vero si deve convenire che l’ottica positivista possiede un valore peculiare, giacché è strumentale: per il chiarimento concettuale del significato di legge fisica; per la distinzione tra ciò che è empiricamente dimostrato da ciò che non lo è e per l’eliminazione di pregiudizi emotivi alimentati esclusivamente da punti di vista consuetudinari. Dunque ci aiuta a sgombrare il terreno per il cammino in avanti della ricerca.
Ma nel fare da guida in questo cammino, il positivismo difetta di forza propulsiva. Vero, è in grado di eliminare gli ostacoli, ma non può trasformarli in fattori produttivi.
Dato che la sua attività è essenzialmente critica, il suo sguardo è rivolto al passato. Il progresso e l’avanzamento richiedono nuove associazioni d’idee e nuovi interrogativi, non basati solo sulla misurazione dei risultati, ma capaci di andare oltre, verso aspetti ai quali la fondamentale attitudine del positivismo è estran...