Solo un algoritmo ci potrà salvare
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Solo un algoritmo ci potrà salvare

Appunti e spunti per una filosofia delle neuroscienze (con specifica attenzione alle neuroscienze forensi)

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Solo un algoritmo ci potrà salvare

Appunti e spunti per una filosofia delle neuroscienze (con specifica attenzione alle neuroscienze forensi)

Informazioni su questo libro

Solo un algoritmo ci potrà salvare è alla sua terza edizione in un anno.
Questo
terzo viaggio nelle scienze della cognizione e nel pensiero filosofico
come supporti per comprendere la mente e il cervello del "fare
giustizia" presenta una prima parte in cui viene proposto un sistema
filosofico utile ad offrire una narrativa culturale ed ermeneutica alle
neuroscienze (in special modo forensi) ed un prototipo di ragionamento
algoritmico per la valutazione della prova penale.
La seconda parte è
un'antologia di brani tratti da conferenze e testi dell'autore che
rappresentano il lavoro di un decennio in cui è stata spiegata e
interpretata la funzione giurisdizionale alla luce delle scienze del
cervello e della filosofia.

Domande frequenti

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Informazioni

-1-
La condizione estetica della cognizione
In Don Giovanni il desiderio è assolutamente vero, vittorioso, trionfante, irresistibile, demoniaco, ma naturalmente non si dovrà dimenticare che si parla del desiderio come principio spiritualmente determinato […] Don Giovanni è fondamentalmente un seduttore. Il suo amore non è psichico ma sensuale, e l’amore sensuale […] non è fedele ma assolutamente infedele […] Esso infatti è soltanto nel momento é…* è sparizione nel tempo
Soren Kierkegaard, Aut Aut
Si sta, come d’autunno; sugli alberi, le foglie; ma si sta anche come un navigatore che, per raggiungere un porto lontano, affronta i marosi affidandosi a poche soluzioni: una mappa, la sua esperienza al timone e l’attenzione per cogliere i venti favorevoli ed evitare i flutti più pericolosi. Come le foglie d’autunno è la metafora della condizione di costante incertezza dell’esistenza individuale dipinta in versi da Giuseppe Ungaretti. L’essere umano è sempre dinnanzi ad uno scacco. Come il navigante, ogni individuo, tenta di scovare nel proprio cognitivo la chiave di lettura per rispondere alle sfide proposte dalla realtà. Le scienze della cognizione, con rivoluzionaria semplicità, affermano che noi siamo il nostro cervello. Ciò significa che l’uomo deve mettere in soffitta ogni dualismo cartesiano, ogni idea di anima, coscienza, cuore, spirito, sentimento (e libero arbitrio) per accontentarsi di essere un groviglio di sinapsi, DNA e neurotrasmettitori, capaci di ingenerare un sistema così complesso da risultare parzialmente inconoscibile (persino al protagonista soggettivo del fare) ma, per certi versi, replicabile artificialmente.
L’anima, la coscienza, lo spirito, il libero arbitrio non sono altro che stati biologici derivanti dall’interazione fisica e chimica dei componenti del nostro cervello. Questa componentistica provoca dei qualia o stati mentali che però non hanno nulla di autonomo ed autentico: sono dei modi di dire che il linguaggio umano ha escogitato per spiegare delle sensazioni provocate da questo lavorio neurale.
Ciò significa che il cervello funge da scatola degli attrezzi all’interno della quale, ogni volta, cercare lo strumento più adatto per rispondere alle esigenze contingenti. L’essere il proprio cervello comporta però anche conseguenze destabilizzanti. Sino ad oggi (specialmente a seguito della lunga tradizione di stampo illuminista) si è ritenuto che l’essere umano fosse un animale speciale: sempre in grado di attivare la ragione, a prescindere da ogni stato emotivo. Essere il proprio cervello vuol dire mettere in crisi questa ideologia per una ragione ovvia ed intuitiva: se sono il mio cervello dipendo (per certi versi sono agito) da ciò che in esso è contenuto e non vi è alcuna differenza tra nozioni ed emozioni. Sia le emozioni che le nozioni fanno parte del cognitivo e cioè si concretizzano in collegamenti neurali, sinapsi e azione dei neurotrasmettitori: trattasi di una forma riaggiornata della spiritualitas di tradizione medioevalista dove detta definizione indicava tutto ciò che non è materia. Non deve far pensare ad una contraddizione l’equiparazione della spiritualitas (immateriale) alla materialità dei marchingegni biologici del cervello. Infatti, non è la fonte a determinare la maggiore o minore materialità della cosa quanto piuttosto l’effetto oggettivo e fisico (o, appunto, immateriale) prodotto dal meccanismo generativo.
Questa mappa cognitiva cerebrale fa si che ciascun individuo sia un navigatore diverso da ogni altro navigante: ciascuno è caratterizzato dalla propria rete neurale e racchiuso (in modo artificiale e autospecchiante) nella propria soggettività biologica e nei propri schemi o mappe.
Il giudice, il fruitore di un’opera dell’arte, l’innamorato e colui che odia, manifestano i propri pattern ed esprimono se stessi pescando la soluzione operativa dalla propria mappa neurale, dai propri marchingegni cerebrali e dalla propria biblioteca esperienziale.
Tale apparato cerebrale lavora costantemente per formare il cervello che siamo, implementando algoritmi pronti all’uso; tanto più efficaci e utili quanto più radicati nel tessuto sinaptico e dunque agevolmente reperibili dall’io cognitivo (senza perdite di tempo che favoriscono solamente il conflitto neurale, e così aumentando il rischio d’errore).
Questa rivoluzione copernicana nel concetto di io non può essere trascurata con antropocentrica sufficienza o liquidata come distopia che vuole distruggere l’essere umano e disancorarlo dalle sue certezze linguisticamente consolidate e rassicuranti (possedere un’anima, vantare un pieno libero arbitrio, fruire di una coscienza ed essere un produttore di emozioni determinate dallo spirito).
Le verità nascoste si trasformano in verità rivelate: l’essere umano si disvela nella sua natura più profonda come un vero e proprio animale artificiale. La verità rivelata è certificare che il cognitivo di ciascuno è una sorta di videogame personalissimo, impostato da noi stessi mediante la nostra catena di scelte e interazioni sociali, individuali e culturali. Questo algoritmo neurale comanda il nostro fare e questa realtà virtuale individuale non è opera di un genio maligno; questo genio maligno si impersonifica nella mappa cerebrale che funge da controller dell’io.
La mossa più provocatoria proposta dalle scienze della cognizione è quello di sfilare dai poteri umani il sogno di possedere il libero arbitrio, vera e propria bandiera della ragione e della razionalità. Disancorare dall’essere umano il concetto di libero arbitrio può apparire qualcosa di stravagante, eretico e mortificante. In realtà la responsabilità cognitiva nella costruzione del proprio cervello può essere ancora più responsabilizzante. Viene infatti attribuita all’individuo una responsabilità ancora più penetrante: quella della costruzione del proprio assetto neurale, del proprio daimon biologico, dell’essere il proprio cervello.
Scoprire che siamo degli algoritmi è un passo culturale che spaventa gli esseri umani: nel diciassettesimo secolo gli uomini si trovarono dinanzi al quesito se avrebbero potuto vivere mettendo in congedo Dio; oggi la questione è ancora più terrificante perché riguarda la possibilità di vivere prendendo coscienza di essere qualcosa di assai diverso da come abbiamo desiderato rappresentarci per millenni.
L’essere umano si trova a scontrarsi con la proposta tecnologica che intende replicare il modello cerebrale umano. Acclarato che il motore neurale è costituito dall’esperienza e dai pattern neurali-ideologici che questa produce nel cervello, non è comprensibile perché non possano essere affidati a macchine intelligenti tutti quei compiti che l’uomo svolge in tempi molto più lunghi e con enormi possibilità di sbagliare. È stata questa la ragione determinante che ha spinto Blaise Pascal ad inventare la prima macchina calcolatrice; la stessa intenzionalità detta il programma della contemporaneità volto a sostituire o far dialogare il cogito umano con quello artificiale in un numero sempre maggiore di attività.
Il vero dramma umano è l’incapacità di mettere in atto, nella vita pratica, le invenzioni astratte che il cervello umano sa elaborare: l’uomo si è sempre distinto per saper edificare progetti divini, politici, legislativi, morali (ecc.) che non è mai stato in grado di metterne in atto compiutamente. Ciò sta a significare che il cervello è in grado di produrre astrazioni fantasmagoriche ma poi la ragion pratica è costantemente immersa in un cognitivo precario ed irriducibilmente sottoposto allo scacco esistenziale. L’intelligenza artificiale è, ad oggi, la soluzione migliore per garantire il rispetto proprio di quei costrutti che sono elaborati dal cogito umano e che la sua ragion pratica non è in grado di eseguire correttamente.
La forza dirompente dell’intelligenza artificiale non è quella di produrre dei cyborg o di ibridare l’uomo con la macchina, ma quella di mettere l’uomo di fronte ai suoi limiti cognitivi. L’intelligenza artificiale, programmata per fare quello che l’uomo saprebbe fare, se non fosse umano troppo umano, è un interlocutore necessario per guidare il cogito biologico nella realizzazione di tutte quelle attività che non consentono scollamenti dalla regola operativa. L’intelligenza artificiale pare rieditare in forma contemporanea quel rapporto tra necessità e libertà tipico della tragedia della Grecia antica. Il tema della necessità e del destino è perfettamente aderente con la chiusura cognitiva del singolo individuo entro gli spazi dettati dal proprio cervello; allo stesso modo quello della libertà è assimilabile alla capacità delle funzioni superiori del cervello di costruire architetture astratte, mondi possibili e forme del fare metaindividuali e universalmente valide (la legge, la morale, la dottrina religiosa, ecc.). È del tutto evidente che, qualora non esistesse questa incapacità di armonizzare il destino cognitivo con le astrazioni del cogito, non vi sarebbe alcuna necessità di ricorrere all’intelligenza artificiale. Come accennato, la tragedia della Grecia antica ha posto questo tema come nessun’altra tradizione culturale ha saputo fare: il cogito umano è imbrigliato in un gioco continuo di doppi (destino e libertà) e contraddizioni capaci di sottrarre, persino al protagonista del fare, la consapevolezza di come siano state elaborate le decisioni. Contro questa inguaribile debolezza cognitiva, l’uomo occidentale ha plasmato un sistema di risposta le cui parole d’ordine sono arché, logos, ragione, libero arbitrio, anima e coscienza. Da Platone (il grande inventore dei modelli filosofici basati sulle mappe cognitive eterne ed immutabili) sino alla contemporaneità tecnologica ed alle più innovative ideazioni di cervelli sostitutivi di quelli umani, è stato un continuum volto a imbrigliare la contraddittorietà cognitiva che i tragici hanno messo a tema e che può essere definita come razionalità limitata (Herbert Simon, La Ragione nelle Vicende Umane). La grande mossa culturale del pensiero tragico greco è stata quella di radicare ogni forma umana all’interno di questo eterno scacco esistenziale e questa endemica coscienza infelice prodotta dalla consapevolezza di una libertà malferma e di un destino inevitabile ed indomabile. Ogni risposta a questa dottrina del tragico non è andata oltre alla costruzione utopica di schemi artificiali di cui, l’intelligenza in silicio della contemporaneità, è solamente la formula più recente.; questa, come detto si pone su di un piano dialettico con quella biologica e punta a coadiuvarla nell’espletamento di svariate attività fondamentali, così da vincere l’eterno scacco del fare, l’angoscia e il tormento umani. Kierkegaard è, probabilmente, il filosofo che consente di sviluppare al meglio il raffronto qui proposto tra il dualismo tragico di destino e libertà e quello cognitivo tra limitatezza del cogito e capacità umana di costruire modelli astratti di comportamento. Kierkegaard ha saputo cogliere gli stati di coscienza umana e intorno ad essi ha costruito dei modelli individuali di comportamento. Al contempo, ha saputo evidenziare come la natura cognitiva dell’uomo non permetta mai di raggiungere una condizione realmente soddisfacente e ciascun individuo sia costantemente giocato all’interno dei modelli cognitivi e di coscienza tra loro alternativi. La metafisica platonica è stata la risposta più netta contro l’esistenzialismo radicale dei poeti tragici: Platone ha imposto di mettere da parte l’incertezza e la contraddittorietà, capace solamente di portare a degenerazioni eristiche, sofismi e forme diversificate di uomo misura di tutte le cose sul modello proposto da Protagora. È stata così certificata la nascita di ogni forma di mente estesa e di cognitivo metaindividuale e universalistico.
Questa risposta platonica rappresenta lo schema all’interno del quale è stata sviluppata ogni forma di verità a cui affidare il cogito degli individui: la dottrina religiosa, la legge positiva, la scienza, le diverse dottrine politiche o economiche e la morale. La filosofia, in ogni epoca, almeno fino all’avvento delle dottrine esistenzialiste, si è mossa nel solco del platonismo e cioè tentando, con ogni mezzo, di comprimere il più possibile l’uomo all’interno di modelli universalistici ed affidabili. Le scienze del cervello sono la prima forma di conoscenza dell’io in grado di dimostrare che l’essere umano, essendo il suo cervello,...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Indice
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. PRESENTAZIONE
  6. PARTE PRIMA PER UNA FILOSOFIA DELLE NEUROSCIENZE FORENSI
  7. -1- La condizione estetica della cognizione
  8. -2- La condizione etica della cognizione
  9. -3- La condizione religiosa della cognizione
  10. -4- La giustizia tra esigenze etiche e tentazioni estetico-religiose. Solo un algoritmo ci potrà salvare?
  11. -5- La catena logica del giudizio e gli indizi nel processo penale. L’algoritmo per colorare il ragionamento probatorio
  12. -6- Il bugiardino dell’algoritmo per la giustizia penale
  13. PARTE SECONDA ANTOLOGIA 2010-2020
  14. -1- La più grande eresia: l’intelligenza artificiale come strumento per far trionfare la ragion pura giuridica e il giusto processo
  15. -2- Il paradigma antropologico-cognitivo e il confronto tra ermeneutica ed epistemologia
  16. -3- Il paradigma di filosofia del linguaggio e la trasformazione della prova da elemento naturalistico a concetto astratto
  17. -4- Chi è la più bella del reame? Intelligenza biologica vs. Intelligenza artificiale
  18. -5- La lotta dei sapiens. Il cocktail cognitivo del cervello biologico vs. la ragion pura dell’uomo-macchina (Quale sorte per la giurisdizione?)
  19. -6- Solo un algoritmo ci potrà salvare? Il giudice è un teorema di Bayes
  20. -7- Umano vs. postumano. Dalla transustanziazione del pane e del vino a quella della legge
  21. -8- La filosofia della giustizia come luogo dove far nascere la nuova cultura della giurisdizione. L’interazione tra cogito umano e cogito in silicio
  22. -9- Eppur si muove
  23. -10- L’affaire witness come chiave di lettura per decifrare l’intero sistema processuale penale
  24. -11- La fine dell’illusione di dominare il cogito con il diritto positivo
  25. -12- La nascita dell’uomo triplamente sapiens
  26. -13- Il demone cognitivo
  27. -14- La filosofia della mente ed il rapporto tra cervello e coscienza
  28. -15- Karl Marx ed i concetti di struttura e sovrastruttura. Il filosofo della rivoluzione guardato con gli occhi delle scienze cognitive
  29. -16- Perché disinnescare una bomba atomica
  30. RINGRAZIAMENTI