In duecento per arrestarne uno
Sedici chili d’oro a diciotto carati, quattro collezioni di brillanti, quattrocento orologi (per lo più d’oro), un chilo di perle, due bauli pieni di statuette d’avorio, spille, pietre preziose e poi, naturalmente, la collana di Matarazzo con i colori della bandiera italiana… questo è il tesoro di Gino Amleto Meneghetti e lui ne va orgoglioso: «Potrei non lavorare mai più neppure un giorno per tutta la mia vita. È una fortuna degna di un re Mida». Il progetto di Gino è di aprire una gioielleria a Rio de Janeiro, sotto falso nome, dopo aver modificato i gioielli. Oppure può sempre contrabbandare tutto, spedendo i pezzi più belli in Francia e godersi i proventi della vendita.
L’eco del furto in casa di Edoardo Matarazzo però non si è ancora spenta: non si può violare in questo modo il palazzo della famiglia più importante del Brasile senza che ciò scateni una reazione. Lo sdegno della buona società paulista viene amplificato dai giornali che, a loro volta, mettono pressione su chi si occupa delle indagini. Se il capo della polizia non è in grado di garantire la sicurezza della città , è meglio che si dimetta. Dalla fine del 1924 in poi i crimini contro il patrimonio sono in continuo aumento: statistiche in cui si specchia una società che non si cura troppo delle condizioni di vita degli immigrati, ma che diventa subito attenta e preoccupata quando c’è in gioco la proprietà privata, il diritto più sacro e inviolabile.
In quello stesso anno viene emanata la legge n. 2034 per riformare il sistema di sicurezza cittadino, che però continua a essere nel mirino della stampa, tanto che all’inizio del 1926 il «São Paulo Jornal» titola in prima pagina: «Signori ladroni, potete uccidere a volontà ! Il governo spreca montagne di denaro con la nostra polizia! E pensare che abbiamo 14.000 uomini armati». Secondo aristocratici, borghesi e nuovi ricchi, che vedono il loro benessere e la loro tranquillità messi in pericolo da incursioni come quelle di Meneghetti, la polizia passeggia di giorno e dorme di notte. Critiche che ricadono tutte su Roberto Moreira, il capo della polizia di San Paolo, che a sua volta le riversa su Leite de Barros, responsabile dell’ufficio che si occupa di furti e rapine, e sul suo principale collaboratore, il commissario Waldemar Doria. Per uscire da questa impasse imbarazzante serve un’azione a effetto, qualcosa che colpisca l’opinione pubblica e riconsegni alle forze dell’ordine l’onore perduto. Bisogna arrestare Meneghetti.
Su di lui indaga praticamente l’intera sezione furti e rapine, ogni agente è allertato e tutte le piste vengono battute. I poliziotti però arrivano alla sua casa di rua Abolição solo grazie a una soffiata. E senza neppure sapere che lì vive Gino Meneghetti. Tutto nasce da alcune chiacchiere fatte all’interno di una casa di tolleranza: una donna si vanta di avere un cliente che arriva sempre con borse piene di soldi, un’altra rilancia dicendo di ricevere sempre gioielli e allora una terza, per non essere da meno, parla di quest’uomo che, a ogni appuntamento, le porta un diamante nuovo. Una delle tre prostitute è l’amante di un poliziotto che, dopo aver ascoltato questa storia, decide di fare un controllo e così una pattuglia si reca in rua Abolição 31/a, senza sapere che si troverà davanti il leggendario Meneghetti. È il 3 aprile 1926 e la caccia all’uomo è a una svolta.
Quando otto agenti arrivano a casa sua, Gino sta ascoltando musica da un grammofono insieme a un vicino. L’approccio è rassicurante: ci deve essere stato uno scambio di persona, lui è un cittadino per bene e tutta la gente di Bixiga è pronta a testimoniarlo. Il controllo procede tranquillamente senza intoppi, ma i poliziotti vogliono comunque portarlo al dipartimento per completare gli accertamenti. A questo punto Meneghetti decide di non correre ulteriori rischi. Con la scusa di andare a cambiarsi d’abito, esce da una finestra e, scavalcando un muro nel retro della casa, scompare. È libero, ma la polizia perquisisce la casa, trova la refurtiva, la sequestra e arresta Concetta con l’accusa di complicità .
Nei giorni successivi i giornali parlano del tesoro di Meneghetti, ne pubblicano le foto, ma raccontano anche di come, misteriosamente, oro, gioielli e orologi siano spariti dall’ufficio investigazioni. Ignoti si sarebbero introdotti nelle stanze di rua Sete de Abril e avrebbero anche usato chiavi false, perché non ci sono segni di effrazione. Nessun indizio e una certezza: il patrimonio accumulato da Gino è sparito, volatilizzato mentre era custodito dalla polizia paulista.
Meneghetti è furioso. Non ha dubbi, riuscirà a ricostituire la propria fortuna con gli interessi, ma il pensiero di Concetta in carcere e dei bambini costretti a stare senza la madre non lo lascia tranquillo. Spartaco e Lenin sono stati affidati ad alcuni parenti che vivono in rua dos Gusmões 61, ma Gino non può avvicinarsi a quella casa perché l’abitazione è sorvegliata giorno e notte dalla polizia. I piccoli sono usati come esche: per spingere Meneghetti a commettere un errore e uscire allo scoperto, Lenin – che ha pochi anni – viene portato per le strade di San Paolo chiuso dentro un’auto e spinto a chiamare a gran voce il papà .
Per Gino questo è troppo e decide quindi di cominciare una guerra a distanza con la polizia, scrivendo lettere ai giornali in cui difende Concetta e attacca l’incompetenza e l’inefficienza di chi dovrebbe catturarlo. L’uomo più ricercato di San Paolo gira indisturbato per la città : non ha paura e non se ne sta nascosto. C’è chi lo incontra dal barbiere e chi lo saluta a teatro e c’è chi giura di averlo visto addirittura alla conferenza di Filippo Tommaso Marinetti, al Cassino Antártica, a quell’incontro finito con il pubblico a tirare sul palco ortaggi e uova marce al futurista. «São Paulo Jornal», «Il Piccolo» e «Diário da Noite» rilanciano le provocazioni di Meneghetti, pubblicando i testi che lui stesso spedisce alle redazioni. Sono lettere scritte in quel miscuglio di italiano e portoghese che Gino usa per esprimersi, pagine in cui i suoi inseguitori vengono sbeffeggiati e presi in giro: «Nemici ascerrimi del lavoro, adoratori fanatici del dolce far niente», li definisce. Gente che vive «digerendo un pane non sudato» e che se la prende con una povera madre di famiglia perché non riesce ad arrivare al marito: «Il caso di Concetta e un abuso provantissimo perché son quindici giorni che non solo e ospite in logali infetti d’rua 7 come risulta che e maltrattata e in comunicabile, infatti nei i figli ne i parenti nessuno la può visitare». E ancora: «Questi sono i metadi de la decantata e capace efficiente polizia Paolistana per difendere al società dei mali elementi. La tecgnica il sapere la civilta, l’astuzia, son sostitucti col l’abbuse la ferocia il rigore l’assassino».
La pubblicazione sui quotidiani diventa anche l’occasione per delineare una sorta di manifesto personale, una concezione del mondo e della vita e, soprattutto, della società : «Per le mi condizione il rubo constituisce una leggittima difesa […]. I paolistani e um popolo paziente, sopportino questa passegiera calamità … non uccido… tiro appena il supelfluo da una casa ho da un ricco appartamento. Si fa quel che si può quindi lasciatemi calmamente rubare e non allarmateri!… Continuate pure le vostre isibizione a l’avenida su i vostri lussuosi carri». Gino non padroneggia il portoghese, ma si fa capire e non rinuncia a un certo lirismo: «Sto bene ne miei cenci. E fin che libero se io trasvolerò di gioia in gioia come canta la Traviata. Immagina Cronista dove sono andato a finir con la mia prosa, volevo comentare ciò che Leite de Barros fa e son finito cantandoti la Traviata».
Sembrerebbe quasi una commedia, una storia tragicomica, tanto il tono è lieve. In realtà invece per le strade di San Paolo si assiste a una vera e propria mobilitazione. Il capo della polizia Roberto Moreira ha coinvolto quattro dipartimenti diversi e centinaia di agenti per presidiare tutte le strade e i locali dove Gino è stato avvistato. Ormai è una questione privata tra lui e Meneghetti, che lo deride pubblicamente: «Visto l’inesperienza, l’incapacità de la polizia, ma non eso son troppo timido per presentare la mia candidatura a sceffe di polizia». È troppo. Moreira convoca una conferenza stampa e annuncia a tutti i cronisti presenti che Meneghetti sarà arrestato entro 48 ore. Poco dopo il termine dell’incontro, uno dei giornalisti riceve un biglietto sul quale Gino ha scritto: «E allora perché non mi ha catturato direttamente lì? Io ero seduto sulla sinistra, ero quello con il cappello e il vestito chiaro».
Il capo della polizia, umiliato, decide di cambiare strategia e inizia anche lui ad attaccare Meneghetti con dichiarazioni sempre più provocatorie. Lo mette in discussione come uomo e come padre: vuole fargli saltare i nervi. E ci riesce. Gino pensa di compiere quello che non ha mai fatto in vita sua e si mette a pianificare l’omicidio di Moreira, sorprendendosi di quanto sia facile introdursi nella casa del capo della polizia. Nascosto nella soffitta, inizia ad aspettare e intanto immagina la scena: lui di fronte a quel presuntuoso, a quel poliziotto così spregiudicato da prendersela con la sua famiglia per arrivare ad arrestarlo. È giunto il momento di affrontarsi da uomini, uno contro uno, senza altri intorno. Quando però vede Moreira in mezzo ai suoi figli, intento ad accarezzare i capelli biondi di una bimba che tiene in braccio, Meneghetti desiste. Non ce la fa ad ammazzarlo: è un ladro – il migliore dei ladri – ma non un assassino.
Graziato Moreira, le settimane passano e Gino si sente imprendibile. Rischia sempre di più per vedere i suoi ragazzi, travestirsi diventa quasi un’arte e l’esame da superare è quel pezzo di strada in rua dos Gusmões in cui gli agenti in borghese sono così tanti che fa fatica a contarli. C’è quello che sta all’edicola, quell’altro che finge di fare lo spazzino e si intravedono poliziotti anche alle finestre del palazzo di fronte al numero 61.
La notte del 4 giugno, due mesi dopo il sequestro del suo tesoro, Meneghetti è in giro per il quartiere di Brás. Ha deciso di trascorrere la serata nella trattoria Bela Napoli, in rua Piratininga, dove il cibo è di qualità e, soprattutto, c’è il suo Chianti. Un fiasco di vino dopo, decide di spostarsi nell’osteria accanto, dove un gruppo si è messo a cantare I Pagliacci, ma sta sbagliando musica e parole e così Gino si aggrega per correggerli. La serata sta prendendo una piega positiva: le caraffe di vino si moltiplicano e i cantanti fanno a gara per attirare l’attenzione delle ragazze. Poco trucco, appena un po’ di cipria sul viso e capelli tagliati a caschetto: gli presentano Petrina ed Erica, che sembrano due modelle uscite da una rivista di moda, ma Gino è troppo ubriaco per proseguire la serata con loro. Decide di continuare a bere insieme al suo nuovo amico, un tenore napoletano che gli ha proposto di andare in un’altra osteria con lui.
Nel taxi che li sta portando a destinazione, Gino cambia però idea. Quando transitano dalle parti di praça Clovis ha una di quelle fitte improvvise di nostalgia che l’alcol amplifica e rende insopportabili: rua dos Gusmões è vicina, dista meno di due chilometri, e il desiderio di vedere i figli è troppo forte. Deve andare da loro immediatamente, vedere se stanno bene, rimboccargli le coperte e baciarli. Non può aspettare un altro giorno e neppure un’altra ora, perciò si fa portare subito da Spartaco e Lenin, chiedendo al compagno di sbronza di aspettarlo per qualche minuto.
La strada è presidiata, ma quando passa una coppia di ubriachi Gino si unisce a loro e non deve neppure fingere troppo di essere alticcio. Con il cappello calato sul viso e il collo del soprabito sollevato, i poliziotti non fanno caso all’uomo barcollante che, dopo pochi passi, si infila nel portone del numero 61. Per entrare non ci sono problemi: ha la chiave che si è fatto dare nelle visite precedenti. Nelle ultime settimane Meneghetti ha fatto arrivare regolarmente denaro alla cugina Rosina e al marito Rodolfo, affinché provvedessero alle necessità dei ragazzi. Settemila réis e ora Spartaco e Lenin sono costretti a dormire ammassati in una stanza con altre tre persone e senza neppure una coperta… Gino perde la pazienza e comincia a imprecare contro Rodolfo, che prova a giustificarsi. La discussione va avanti per alcuni minuti e Meneghetti si dimentica del napoletano che lo sta aspettando giù in strada. Un errore, perché i poliziotti invece lo hanno notato e, anzi, pensano che sia l’uomo che tutti stanno cercando: lo fermano, lo controllano e lui, impaurito, confessa chi sta attendendo.
Scatta l’allarme. Il commissario Waldemar Doria chiama nel cuore della notte il capo della polizia, che ordina di mobilitare tutti gli agenti disponibili e di chiedere anche il supporto dei vigili del fuoco per impedire che Meneghetti scappi attraverso i tetti. Utilizzando le scale dei pompieri, dovranno essere presidiate tutte le case circostanti.
Il commissario Waldemar Doria sa che potrebbe essere l’arresto più importante della sua vita e guida personalmente il gruppo di sei agenti che entra in rua dos Gusmões 61. I rumori che arrivano dalle scale e dal corridoio però allertano Meneghetti che non ha alcuna intenzione di arrendersi. La casa è ancora buia e Gino prova a sondare la situazione socchiudendo la porta d’ingresso e affacciando allo spiraglio una scopa, in cima alla quale ha collocato il suo impermeabile di gabardine. Parte una raffica di colpi che buca il soprabito e non solo. «In quella sparatoria viene colpito anche Doria. Poi mi hanno incolpato di quel delitto, ma i proiettili che hanno ucciso il commissario erano calibro .38, mentre io avevo solo una .32» spiegherà Gino, non modificando mai la propria versione dei fatti.
Mentre gli agenti soccorrono il commissario ferito a morte, Gino riesce a saltare dalla finestra del bagno. Un volo di cinque metri in una casa accanto dove, attraverso un lucernaio, si rifugia in un solaio. Da lì riesce a vedere la strada, mentre fuori comincia ad albeggiare: intorno al palazzo si stanno disponendo file di soldati per circondare l’intero isolato. Saltando da un tetto all’altro Meneghetti riesce a raggiungere rua Ifigênia, ma anche lì lo scenario non migliora. Il silenzio ovattato delle prime ore del mattino viene rotto dal rumore delle sirene e di nuovi mezzi che arrivano e scaricano agenti per presidiare le strade. Dietro ai cordoni di polizia oltre ai giornalisti, si stanno assiepando sempre più curiosi, perché si è sparsa la voce che Meneghetti è in trappola e nessuno vuole perdersi lo spettacolo. Ce la farà quel piccolo italiano a ridicolizzare anche stavolta le forze dell’ordine? Si libererà dall’accerchiamento con una magia degna di Houdini? O questa volta è davvero finita?
I giornali scriveranno che nel quartiere quella mattina si sono radunate 50.000 persone per seguire la più grande caccia all’uomo mai organizzata a San Paolo. Avenida São João, il viadotto del Chá, Luz e l’intero centro città sono paralizzati e il traffico è bloccato: gli impiegati abbandonano le scrivanie, i barbieri chiudono i negozi e c’è pure chi, armato di binocolo, si affaccia ai balconi dei palazzi.
I vigili del fuoco, usando le scale, stanno salendo su ogni singolo tetto, controllando i solai a uno a uno, togliendo le tegole laddove non c’è neppure una finestrella. Gino li osserva avvicinarsi e, quando un pompiere arriva al suo nascondiglio, si infila nell’angolo più buio del solaio con la pistola in mano. L’arma non serve, perché l’uomo non lo vede e sta già ridiscendendo la scala quando la voce di una donna lo ferma. È la signora che abita nell’appartamento sottostante ed è sicura di avere sentito alcuni rumori. Non è la polizia a scovare l’incredibile Meneghetti, ma un’innocua massaia.
Gino prova l’ultima, disperata fuga attraverso i tetti, mentre dalla strada i soldati gli sparano addosso. Il rifugio temporaneo è un appartamento vuoto dove pensa a un travestimento con cui sfuggire all’accerchiamento, valutando anche la possibilità di fingersi donna, ma ormai è tutto inutile: lo hanno individuato.
In strada è arrivato anche il capo della polizia e, con le mani in tasca, si gusta il momento della cattura circondato dai suoi collaboratori che già si congratulano con lui.
Meneghetti però non ha intenzione di arrendersi senza condizioni. Uscire è un suicidio e poco conta se a colpirlo sarà una singola pallottola sparata da un aspirante eroe, o un improvvisato plotone di esecuzione: di sicuro, nel momento in cui si affaccerà , qualcuno premerà il grilletto.
Occorre trattare la resa per non morire in strada. Serve un testimone che impedisca ai poliziotti di ammazzarlo come un cane, inventandosi chissà quale reazione, così Gino richiama l’attenzione di una donna dicendole che è pronto a consegnarsi. La trattativa dura parecchi minuti con Meneghetti che non si fida a uscire allo scoperto e gli agenti che non entrano, per paura che si tratti di una trappola per cercare l’ennesima fuga. Deposta la pistola e con le mani in alto, Gino li convince che non ha più intenzione di opporre resistenza: sono le undici e un quarto del 5 giugno 1926; dopo un inseguimento durato oltre dieci ore, è davvero tutto finito. In pochi secondi gli sono addosso decine di poliziotti che, dopo averlo immobilizzato, iniziano a picchiarlo a mani nude e con i calci dei fucili. Quello che viene portato fuori è un uomo ammanettato, con i vestiti stracciati, un occhio così gonfio da non riuscire a tenerlo aperto e la faccia coperta di sangue. Il nemico pubblico numero 1 non è più un pericolo. Adesso il leggendario Meneghetti è un trofeo da esporre.
Italiani brava gente
Giovane, bella e… fatta a pezzi. Chi è la donna che sta dentro il baule? Chi l’ha trasportata sino al porto di Santos, imbarcando il bagaglio sulla nave diretta a Bordeaux? E, soprattutto, chi l’ha uccisa?
Dopo l’arresto di Meneghetti, senza le sue lettere e le sue provocazioni, i giornali hanno bisogno di altre storie. Qualcosa che appassioni la gente, così come facevano le imprese del «Gatto dei Tetti». Niente di meglio dell’omicidio di una ragazza, il cui cadavere è stato ritrovato parzialmente smembrato dentro un baule di legno. Un delitto che anche Gino avrà modo di seguire e conoscere bene, perché l’assassino finirà nel suo stesso carcere, a Carandiru.
Prima di arrivare alla pena bisogna però ricostruire il delitto: è il 7 ottobre 1928 quando il bagaglio viene caricato sul Massilia e, nelle operazioni di deposito, un colpo apre una breccia nel fondo del contenitore. Dal buco esce un liquido scuro che emana un odore forte: il personale della nave si insospettisce e, consultato il comandante, decide di aprire il baule. All’interno c’è il corpo di una giovane donna in avanzato stato di decomposizione. Per farla stare dentro il bagaglio, l’assassino le ha spezzato il collo e le ha tagliato le gambe all’altezza del ginocchio, utilizzando una lama da barbiere che viene ritrovata insieme al cadavere.
Il rasoio a mano libera non è l’unico indizio. Il baule contiene anche alcuni oggetti che, forse, sono appartenuti alla vittima: una gonna, quindici paia di calze, una camicia da notte, due cuscini. E poi la scoperta più orribile: la donna è incinta di almeno sei mesi.
San Paolo torna indietro di vent’anni, quando, nel 1908, un altro bagaglio era stato aperto a bordo di una nave salpata dal porto di Santos, la Cordillere, ed era stato rinvenuto il cadavere di un uomo. In quel caso però l’assassino era stato subito arrestato, mentre cercava di sbarazzarsi del cadavere gettandolo in mare all’interno di quella bara improvvisata. E Michel Trad, il colpevole, era ancora in carcere a scontare 25 anni di pena per l’omicidio di Elias Farah.
In questo caso invece l’omicida è stato più accorto. Forse conosce la storia di Trad, di certo non è stato così sventato da viaggiare con la valigia. Il destinatario, tale Francesco Ferrero, è solo un nome fittizio scritto a mano con un lapis rosso. Ciò che invece attira l’attenzione degli inquirenti è un’etichetta parzialmente stracciata: è delle São Paulo Railways, la linea ferroviaria che unisce San Paolo a Santos. In attesa dell’esame dei medici legali, è questo il primo indizio sul quale lavorare. L’investigatore Ferreira da Rosa ha un punto di partenza per indirizzare le indagini: c’è un funzionario delle ferrovie che si ricorda di quella valigia, arrivata la sera di sabato 6 ottobre alla stazione di Valongo, proveniente da San Paolo, trasportata...