Un altro giorno di morte in America
eBook - ePub

Un altro giorno di morte in America

24 ore, 10 proiettili, 10 ragazzi

  1. 352 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Un altro giorno di morte in America

24 ore, 10 proiettili, 10 ragazzi

Informazioni su questo libro

Gary Younge, giornalista inglese inviato negli Stati Uniti, ha scelto una data a caso, il 23 novembre 2013, partendo dal presupposto che ogni giorno, in America, vengono uccisi 7 ragazzi sotto i vent'anni da un colpo di arma da fuoco. Soprattutto neri, soprattutto maschi, soprattutto in alcune città, spesso nel silenzio dell'informazione che non riesce più a tenere il conto delle vittime. Quel giorno di novembre sono stati dieci i ragazzi sotto i vent'anni che hanno perso la vita dopo una sparatoria, un colpo accidentale o un omicidio premeditato. Con la penna da grande reporter e la delicatezza di un narratore, Younge va sui luoghi dove sono morti e dove hanno vissuto, racconta il contesto e le storie che hanno nutrito e poi tradito le vite di questi ragazzi. Ne esce un ritratto lancinante della società americana prigioniera delle armi da fuoco, incapace di salvaguardare i propri figli e in cui è facile, troppo facile, essere portati via da un'assurda e incontrollata violenza. "Ho scelto un giorno, la data è del tutto arbitraria. Ed è proprio questo il punto: quello che ho raccontato sarebbe potuto succedere un giorno qualsiasi. Il destino ha scelto le vittime, la cornice temporale ha dato forma al racconto.Il più piccolo aveva nove anni, il più grande diciannove. La verità è che cose del genere succedono ogni giorno. E il 23 novembre 2013 non ha fatto eccezione."

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Informazioni

1

Jaiden Dixon

(nove anni)
Grove City, Ohio
22 novembre, 07:36 orario costa Est
Nei giorni di scuola, a casa di Nicole Fitzpatrick la routine mattutina era sempre la stessa. Non appena i suoi tre figli – Jarid Fitzpatrick, di diciassette anni, Jordin Brown, di sedici, e Jaiden Dixon, di nove – sentivano i suoi passi risuonare in corridoio, si tiravano le coperte sopra la testa, consapevoli che di lì a poco si sarebbero accese le luci. Sapendo che era inutile tergiversare, i due fratelli maggiori si alzavano, mentre Jaiden, che dormiva su un letto a soppalco in camera con Jarid, cercava di prolungare il sonno il più possibile. Strofinandosi gli occhi entrava in camera della madre, dove c’era l’armadio con i vestiti, e si intrufolava nel suo letto. Lì iniziava l’opera di convincimento. «Gli facevo il solletico per spingerlo ad alzarsi», mi ha raccontato Nicole. «E poi gli facevo i dispetti. Lo tiravo per le caviglie per farlo vestire.» Avevano un patto: se si fosse preparato, «ma preparato come si deve con maglietta, calzini, scarpe, tutto quanto», avrebbe potuto fare quello che voleva finché non fosse stata ora di andare a scuola. «Poteva usare il computer, giocare a Minecraft, guardare Duck Dynasty o un programma registrato la sera prima», mi ha spiegato. «Ti prepari per bene e poi fai quello che vuoi fino al momento di uscire.»
Era un venerdì, venerdì 22 novembre 2013, giorno del cinquantesimo anniversario dell’assassinio di John F. Kennedy. I quotidiani rievocavano con nostalgia l’innocenza perduta della nazione, la stessa innocenza che avrebbero potuto trovare nella strada di Nicole a Grove City, un sobborgo sicuro e tranquillo di Columbus che giusto quell’anno era stato eletto «città più vivibile» dell’Ohio centrale. Ed era proprio la sicurezza a spingere la gente a rimanere lì. Nicole era andata a scuola con i genitori dei compagni di classe dei suoi figli. Tra questi c’era Amy Baker, con cui era rimasta amica e il cui figlio Quentin frequentava Jaiden. Amy faceva parte della terza generazione di Baker ad aver frequentato il liceo di Grove City, sua figlia della quarta. Quando Amy e Nicole erano bambine, Grove City era considerata una cittadina rurale di provincia, un sobborgo del Midwest che assomigliava più a un villaggio del Kentucky che a un comune della periferia della più grande città dell’Ohio. Per questo si era guadagnata il soprannome di «Grovetucky», usato di volta in volta in modo sprezzante o affettuoso. All’epoca, entrando in città si era simbolicamente accolti da un White Castle, il classico fast-food della regione. Non c’era neanche un cinema e il parcheggio del Taco Bell era il principale luogo di ritrovo dei giovani. «Per procurarti un paio di scarpe decenti dovevi uscire da Grove City», mi ha detto Amy Baker. «In città c’erano solo i grandi magazzini Kmart.»
Dalla nascita di Nicole la popolazione è più che raddoppiata e oggi la città conta 38.500 abitanti.1 Lei e Amy ricordano molto bene questa crescita, che ha visto sorgere l’enorme centro commerciale dove una sera ho cenato con Nicole. Nonostante abbia solo trentanove anni, i suoi ricordi sembrano quelli di un’anziana. «Qui non c’era niente», ha raccontato quella sera a Jordin cercando invano di spiegargli i limiti del mondo in cui era cresciuta. «Solo campi a perdita d’occhio. Campi di grano e campi di soia.» Nicole, Jarid, Jordin e Jaiden vivevano sull’Independence Way, una traversa dell’Independence Street parallela all’Independence Court, tre strade che insieme formano una specie di termometro – tre vicoli ciechi, ognuno con un bulbo circolare all’estremità – disseminate di case senza steccato ma con un canestro nella maggior parte dei giardini e una bandiera americana su quasi tutti i porticati. Di fianco a casa loro un cartello stradale giallo ammoniva: «RALLENTARE – BAMBINI CHE GIOCANO». Quando c’era un po’ d’aria, durante la settimana, il silenzio era tale che si poteva distinguere il tintinnio delle campane a vento.
Abitavano lì da tre anni e Nicole aveva da poco rinnovato il contratto d’affitto per altri due. «Conoscevo i vicini fino in fondo alla strada. Tutti conoscevano tutti. Non c’era criminalità. Quando Jaiden usciva a giocare ero tranquilla. Mi bastava poterlo vedere dal giardino di fronte a casa. Da quel punto di vista non avevo davvero niente di cui preoccuparmi.» Quella mattina Jaiden si era preparato in fretta guadagnandosi un po’ di tempo per giocare. Quando Nicole gli aveva tirato i calzini, lui glieli aveva rilanciati con un ampio movimento del braccio dicendole che voleva entrare come lanciatore nella squadra di baseball della Little League. Stava giocando all’Xbox e Nicole gli preparava la cartella quando, poco dopo le sette e mezzo, qualcuno aveva suonato il campanello. La routine mattutina non lo prevedeva, ma non era nemmeno un fatto straordinario. In fondo alla strada viveva un’ex compagna di liceo di Nicole e ogni tanto una delle sue figlie adolescenti, Jasmin o Hunter, veniva da loro per chiedere un po’ di zucchero o di caffè, oppure per farsi dare un passaggio a scuola. In genere prima di passare mandavano un messaggio a Jarid o a Jordin, ma capitava anche che si presentassero senza preavviso.
È per questo che quando Nicole aveva chiesto se qualcuno potesse andare ad aprire, Jaiden si era fiondato alla porta. L’aveva socchiusa piano, rimanendo nascosto, pronto a saltar fuori e urlare «Bu!» quando fosse comparsa una delle due amiche, ma nessuno si era fatto avanti. Non appena la breve eccitazione suscitata dall’arrivo di un ospite inatteso era passata, il tempo era rimasto come sospeso. Nicole si era sporta in quello spiraglio di silenzio per scoprire chi avesse suonato ma non aveva visto nessuno. Aveva guardato Jarid, che aveva fatto spallucce. Jordin si stava preparando al piano di sopra. Guardingo e curioso, Jaiden aveva fatto lentamente capolino da dietro la porta per vedere chi ci fosse. Era stato in quel momento che Nicole aveva udito lo scoppio. Il suo primo pensiero era stato: «Perché le ragazze fanno scoppiare un palloncino sulla porta? Vogliono farmi venire un colpo?».
Ma poi aveva visto la testa di Jaiden scattare all’indietro, una volta e poi un’altra, prima di sbattere a terra. «C’era un silenzio irreale. Jarid era in piedi in mezzo al salotto ed era come se il mondo si fosse fermato. Ricordo che lo fissai.» Le era bastato un attimo per capire, anche se non aveva visto la pistola né la persona che aveva sparato. Era stato Danny. «Non avevo bisogno di vederlo. Sapevo che era stato lui.» Neanche Jarid aveva visto il volto o l’arma, ma aveva scorto un uomo con un cappuccio scappare verso una macchina. Anche lui aveva capito subito chi era.
Danny Thornton era il padre di Jarid. Nicole l’aveva incontrato anni prima da Sears, dove duplicava le chiavi. Lei aveva diciannove anni, lui ventotto. «Non eravamo mai stati veramente insieme», mi ha spiegato. «Era più un tira e molla, e con il tempo le cose non erano cambiate.» Ad Amy Sanders, la migliore amica di Nicole, Danny non era mai andato a genio. La prima volta che lo aveva incontrato, Jarid non doveva avere più di tre anni. Danny sapeva che Amy era la migliore amica di Nicole, ma ci aveva comunque provato con lei. «Un comportamento squallido e disgustoso», mi ha detto.
Nicole non lo vedeva da luglio. L’aveva ricontattata quasi due anni prima, nel gennaio del 2012, perché era in difficoltà. «Non sapeva dove andare», mi ha raccontato. «Stava per essere sfrattato, quindi abbiamo concordato che sarebbe stato da noi e ci saremmo aiutati a vicenda. Lui avrebbe trascorso del tempo con Jarid e l’avrebbe tenuto d’occhio, mentre io gli avrei dato una mano a trovare un lavoro e a rimettersi in sesto per poi poter avere gli alimenti.» Si era trasferito nella stanza di Jarid, obbligando i ragazzi a dormire tutti e tre insieme. Nicole gli aveva preparato un curriculum e l’aveva mandato a diversi potenziali datori di lavoro. Era riuscito a farsi assumere, ma dopo un mese era stato licenziato. Poi più niente.
Durante il suo soggiorno a casa loro, Danny aveva avuto modo di conoscere meglio Jaiden. Lo aveva portato a giocare a bowling e una volta aveva confidato a Nicole che gli piaceva perché lo faceva ridere. Era persino arrivato ad affermare di preferirlo al proprio figlio. Il loro accordo però non stava funzionando. I soldi e lo spazio non bastavano mai, e da disoccupato Danny non aveva un granché da offrire. Nicole aveva bisogno della stanza. Aveva cercato di farlo andare via con le buone, ma di fatto aveva finito per sbatterlo fuori. Lui non l’aveva presa bene. Non era molto bravo a gestire la rabbia: secondo gli atti processuali in diciotto anni aveva accumulato sulla fedina penale reati di lesioni personali, violenza domestica, minacce aggravate, disturbo della quiete pubblica, percosse, tentato acquisto di sostanze stupefacenti e detenzione abusiva di un’arma. Era anche un pugile semiprofessionista dei pesi supermedi – 180 cm per 72 chili – che prediligeva la posizione di guardia destra: mano destra e piede destro in avanti, serie di jab destri, poi cross sinistro e gancio destro. Aveva combattuto anche in Canada e in Florida con risultati di tutto rispetto: quindici vittorie, di cui undici per Ko, e altrettante sconfitte, di cui quattordici per Ko.
«Era furioso», mi ha detto Nicole. «Ha portato via tutta la sua roba. Non sapevo dove sarebbe andato. Non mi interessava.»
Avrebbe scoperto solo più tardi che mentre preparava le valigie Danny aveva detto a Jarid: «Per me non è un problema farti diventare orfano. Non ho intenzione di andare a vivere in macchina a quarantasette anni. Ci metto un attimo a sparare a tua madre e ai tuoi fratelli». Dopo la strage aveva detto a suo figlio che si sarebbe suicidato per mano della polizia.
Anche se non aveva mai minacciato Nicole di ammazzare la sua famiglia, Danny le aveva parlato di sparare ad altre persone. «Ne avevamo già discusso. Aveva due gemelli. Non so neanche di quanti anni. Ce l’aveva con la madre perché pretendeva gli alimenti. Doveva già pagare gli alimenti ad altri due figli, ma non guadagnava, era senza lavoro, e con la sua fedina penale non riusciva a trovarne uno. Diceva che se avesse saputo l’indirizzo della sua ex sarebbe andato a casa sua e avrebbe sparato a lei e ai bambini. Ricordo che gli avevo detto: “Non sparare ai bambini. Perché vuoi sparare ai bambini? Loro non ti hanno fatto niente”. E lui mi aveva risposto: “No. Non mi vogliono bene. E io non posso voler bene a chi non me ne vuole”.»
Una volta era stato sul punto di sparare a una delle sue ex, Vicki Vertin. Aveva raccontato a Nicole che mentre stava andando ad ammazzare lei, sua figlia e la sua famiglia aveva ricevuto una chiamata da un amico con cui non parlava da anni. «L’aveva interpretato come un segno che non doveva ucciderli quel giorno.»
«Aveva una lista», mi ha detto Amy Sanders. «Una lista vera, scritta, della gente che voleva ammazzare… Ne parlava ogni volta che incontrava Nicole. Lei aveva paura. Pensava che se fosse stata gentile con lui non l’avrebbe messa sulla lista. Invece è stata la prima.»
Jarid non sapeva quasi nulla di tutto questo. «Davanti a noi non dicevano mai niente di male su di lui», mi ha raccontato Kayaan Sanders, il figlio di Amy, che in pratica era cresciuto con Jarid. «Non ho mai visto Danny arrabbiato o aggressivo con noi. Recitava la parte del padre divertente e spiritoso, e spesso diceva cose imbarazzanti che ci facevano ridere. Jarid non ha mai parlato male di lui in mia presenza.» Quando Danny l’aveva minacciato di renderlo orfano, Jarid aveva pensato che stesse farneticando. L’aveva detto a sua madre solo a settembre. «Danny era stato un padre assente per la maggior parte della vita di Jarid. Lui non sapeva di cosa fosse capace. Quando mi ha riferito quella frase sono rimasta di sale», mi ha confessato Nicole. «Gli ho detto: “Jarid, quello mi ammazza. Mi ammazza”. E Jarid mi ha risposto: “Ma no, mamma. Si stava solo sfogando”. Ero pietrificata. Ho detto ai miei amici che se mi fosse successo qualcosa avrebbero dovuto sospettare Danny e assicurarsi che i ragazzi fossero al sicuro. Ero certa che se la sarebbe presa con me.» Ma poi i mesi erano passati. Nicole non aveva più avuto sue notizie e aveva cominciato a chiedersi se Jarid non avesse ragione. Forse l’aveva detto tanto per dire.
Un giorno però l’abbonamento del cellulare di Danny stava per scadere. Era lei a pagarlo, e quando se n’era andato aveva continuato a farlo per paura di scatenare la sua rabbia. Ma Natale era alle porte e non poteva più permetterselo. Aveva esitato pensando a quello che le aveva raccontato Jarid e alla possibile reazione di Danny.
Il 20 novembre aveva scritto un messaggio per informarlo che il suo contratto sarebbe scaduto lunedì 25. «Non posso più pagare», diceva. «Ma tieniti pure il telefono. Puoi passare a qualsiasi operatore.» Ci aveva pensato un po’ prima di inviarlo. «Sapevo di cos’era capace», mi ha detto. «Ma dovevo pensare ai miei figli. Dovevo occuparmi di me.» Alla fine l’aveva spedito.
Lui aveva risposto dopo appena un’ora: «Perché cazzo ci hai messo tanto?»
Nicole aveva inoltrato il messaggio a Amy Sanders. «Ti giuro che prima o poi mi ammazza», le aveva scritto. «Tra due anni, quando nessuno penserà più a lui, verrà a cercarmi.»
«Parlava sul serio», mi ha confessato Amy. «Ma da un certo punto di vista la prendeva sul ridere. Come si può anche solo immaginare una cosa del genere prima che accada davvero? Sembra impossibile finché non succede.»
E poi era successo. Due giorni dopo quello scambio di messaggi, Danny sgommava via dall’Independence Way in una Toyota blu, lasciando Jaiden con una pallottola nel cranio mentre il suo figlio biologico cercava disperatamente di rianimarlo. «Sto ancora cercando una spiegazione», mi ha detto Nicole. «Avrebbe sparato a chiunque avesse aperto la porta, o il suo obiettivo era Jaiden? Perché francamente avrebbe potuto entrare in casa e sparare a me, sparare a Jarid, sparare a Jordin. Eravamo indifesi. La porta era aperta. Non c’era niente che gli impedisse di farci fuori tutti.»
Danny aveva lasciato un foro grigio nella tempia di Jaiden e il caos tutto intorno a lui. Jarid era corso fuori, urlando e piangendo, ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Introduzione
  3. Nota dell’autore
  4. 1 – Jaiden Dixon, Grove City, Ohio
  5. 2 – Kenneth Mills-Tucker, Indianapolis, Indiana
  6. 3 – Stanley Taylor, Charlotte, Carolina del Nord
  7. 4 – Pedro Cortez, San Jose, California
  8. 5 – Tyler Dunn, Marlette, Michigan
  9. 6 – Edwin Rajo, Houston, Texas
  10. 7 – Samuel Brightmon, Dallas, Texas
  11. 8 – Tyshon Anderson, Chicago, Illinois
  12. 9 – Gary Anderson, Newark, New Jersey
  13. 10 – Gustin Hinnant, Goldsboro, Carolina del Nord
  14. Postfazione
  15. Ringraziamenti
  16. Note
  17. Bibliografia