Introduzione
Questo lavoro ha lo scopo di presentare un quadro delle trasformazioni e dei problemi di Roma, la più grande area metropolitana del Paese, capitale in pari tempo di uno Stato in crisi profonda.
Il punto di partenza temporale è rappresentato dagli anni Ottanta, che costituiscono un vero discrimine. In questo arco di tempo si cumulano infatti cambiamenti di tale entità da segnare un passaggio qualitativo nella struttura economico-sociale, nell’ecosistema urbano e nella forma urbis. La considerazione della città non come oggetto inanimato e cristallizzato nel tempo, fatto solo di case, di strade e di piazze, di monumenti e di periferie, ma come organismo vivo in continuo cambiamento non consente l’adozione di uno schema interpretativo unilaterale, a sua volta immobile: il metodo dell’indagine, per cogliere la realtà che cambia, deve essere aperto e anch’esso in continua evoluzione.
Questo approccio ha delle conseguenze. Al di là di ogni impostazione riduzionistica e puramente quantitativa, obbliga a considerare la città per quello che essa realmente è: un sistema sempre più complesso, nel quale sono posti in relazione e interagiscono diversi fattori e sottosistemi. Se produzione e consumo, cultura e formazione, residenze e servizi, trasporti e comunicazioni, territorio e ambiente costituiscono altrettanti segmenti del sistema città, non c’è dubbio che questo prende forma dall’attività degli uomini e delle donne, e dai modi con cui questa attività si svolge.
La città è in pari tempo il luogo del patrimonio culturale accumulato e dell’innovazione, del produrre e dell’abitare, del tempo libero e dei rapporti interpersonali. In definitiva, la città è il luogo privilegiato in cui gli esseri umani entrano in relazione tra di loro e, per il tramite di determinati rapporti sociali, con la natura. Ambiente sociale e ambiente naturale sono profondamente intrecciati, perciò la città va letta come espressione di questo intreccio.
All’interno del sistema urbano si possono distinguere le componenti naturali o semi-naturali (spazi liberi, aree verdi, terreni agricoli, ecc.) e quelle prevalentemente artificiali (costruzioni, industria manufatturiera, trasporti, ecc.). La novità è che il modo di produzione moderno ha rotto l’equilibrio tra queste due componenti o sottosistemi, sebbene le tecnologie più avanzate consentano in teoria produzioni “pulite” senza distruzione di territorio. La città, luogo di principale concentrazione delle risorse umane e materiali impiegate nella produzione e nel consumo di beni e servizi, a conclusione del ciclo li restituisce all’ambiente sotto forma di rifiuti e di emissioni inquinanti. La questione ambientale è dunque strettamente correlata al modo di produzione.
In linea con questa impostazione vengono in primo piano, nell’analisi del sistema città, le relazioni umane: vale a dire i rapporti sociali, oggi scarsamente considerati sebbene essi orientino, a cominciare dai rapporti economici e di produzione, la stessa forma della città e i contenuti del vivere urbano. D’altra parte, sarebbe un vero controsenso analizzare il sistema città omettendo dal quadro l’elemento principale che dovrebbe essere posto al centro di qualsiasi analisi di questo tipo: la condizione umana, il livello e la qualità della vita degli abitanti, il loro benessere materiale e spirituale. In definitiva, la questione urbana fa tutt’uno con la questione sociale. [...]
I. il declino della funzione di capitale
1. Gli scenari di una lunga transizione
Roma è ormai da tempo coinvolta in una lunga transizione dei suoi assetti e della sua funzione, i cui approdi appaiono oggi incerti e non facilmente decifrabili.
Ancora alla metà degli anni Ottanta, sebbene già si trovi nel pieno di profonde trasformazioni, la città viene solitamente descritta come immobile e arretrata, malata di sottosviluppo, pencolante verso l’Africa piuttosto che stabilmente inserita in Europa. «Roma – scrive il maggiore quotidiano italiano in occasione del primo e unico dibattito parlamentare sulla capitale dello Stato dalla fondazione della Repubblica – è una capitale archeologica e ornamentale, che regge trionfalmente il confronto con il Cairo, Tunisi e Atene»2.
Secondo un’opinione largamente diffusa anche nella classe dirigente di governo, il problema di Roma sarebbe quello dell’arretratezza e del sottosviluppo. Avremmo avuto così il paradosso di una tra le prime dieci potenze industriali guidata da una città del terzo mondo. Ma questa è una cartolina oleografica e insieme una leggenda metropolitana, in definitiva un vero e proprio alibi per le vecchie classi dirigenti, che hanno costruito la capitale dello Stato a loro immagine e somiglianza.
Oggi prevale una lettura di Roma come anonimo agglomerato urbano, attraversato dalle più tipiche e laceranti contraddizioni della modernità capitalistica: la tracimazione delle periferie e la perdita d’identità, l’inquinamento e il traffico, l’emarginazione e la crescita delle povertà. La trasformazione e la crisi delle metropoli – che investe i rapporti sociali, le culture e gli stili di vita, oltre che le funzioni negli Stati nazionali – è infatti un dato del nostro tempo, in un mondo sempre più urbanizzato.
Negli ultimi vent’anni gli abitanti delle città sono aumentati di quasi un miliardo e mezzo, e la popolazione urbana mondiale è pressoché raddoppiata dal 1950, passando dal 25 per cento al 47 per cento attuale. Di qui a dieci anni, vale a dire nei primi anni del secolo ventunesimo, oltre la metà della popolazione mondiale vivrà in aree urbane. Siamo in presenza di fenomeni globali, indotti da molteplici fattori, che proprio nelle aree urbane producono il massimo effetto.
La mondializzazione dei mercati, con l’ulteriore concentrazione del potere finanziario e culturale nelle metropoli capitalistiche dell’Occidente e dell’Oriente, accentua le disuguaglianze e gli squilibri nella distribuzione della ricchezza, promuove una crescita senza sviluppo, e mette in moto massicce correnti migratorie soprattutto dal continente africano. Nel 1960 il 20 per cento della popolazione più ricca lo era 30 volte di più di quella povera; oggi lo è 60 volte di più: le migrazioni sono una fuga dalla povertà. Processi analoghi coinvolgono l’Est europeo. Il crollo del “socialismo reale” ha generato una nuova dimensione del mondo, che ha aperto nei Paesi ex comunisti una competizione senza precedenti per la conquista di enormi mercati, con i conseguenti flussi di uomini, di capitali e di traffici.
La globalizzazione dell’economia avviene in presenza di una inarrestabile rivoluzione scientifica e tecnologica che determina cambiamenti radicali nel modo di produrre e di consumare, sempre più fondato sul risparmio di lavoro e sulle reti, sui beni immateriali e sull’informazione. Su questo versante, potenzialità nuove e mai viste prima si aprono allo sviluppo umano. Le città e le aree urbane sono il luogo privilegiato dell’innovazione e di scenari più avanzati, e – contemporaneamente – il luogo di rottura dei vecchi equilibri produttivi, sociali e istituzionali: un concentrato di possibilità innovative e di contraddizioni esplosive, dove non esistono più posizioni consolidate e stabilmente acquisite. Tra rapidi avanzamenti e repentine involuzioni non ci sono muraglie cinesi e neanche confini prestabiliti.
La stessa Unione europea agisce come fattore di accelerazione e di cambiamento. Dentro il mercato globale, essa tende ad accentuare la competizione diretta al di là degli Stati nazionali tra regioni, aree e città del vecchio continente, a ridefinire ruoli e funzioni, ad allocare risorse, tecnologie e saperi sulla base dell’efficienza e della qualità dei servizi che i diversi sistemi urbani possono offrire.
La lunga transizione di Roma sta dentro questi processi. Ma ci sta con caratteristiche e peculiarità sue proprie, che la contraddistinguono da ogni altra città.
Roma non è solo capitale dello Stato e centro della cristianità, è anche capitale mondiale dei beni monumentali e artistici accumulati, concentrati prevalentemente nei 1.387 ettari della città storica. Sotto questo aspetto, si propone un problema qualitativo, che travalica i confini nazionali. Caso unico rispetto ad altre città storiche pur ragguardevoli, si concentra qui il più importante patrimonio monumentale e artistico finora conosciuto che copre tutto l’arco della civiltà umana, dalla preistoria all’età moderna. Si tratta di una risorsa e di una ricchezza da valorizzare a beneficio del mondo civile.
D’altra parte, con 2.710.250 abitanti insediati su un territorio vastissimo di 130.000 ettari (nel quale troverebbero posto tutte insieme Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Napoli e Palermo), il Comune di Roma costituisce il più grande agglomerato urbano d’Italia. Vi è dunque un problema quantitativo, che rende più complessi il governo della città e la pianificazione territoriale, e che richiede una forte concentrazione di risorse.
Ma al di là di questi dati di per sé evidenti, alla fine del secolo si intrecciano nella lunga transizione di Roma tre ordini di fattori – storico-istituzionali, strutturali, congiunturali –, che rendono particolarmente complicato e incerto quello che si annuncia come un vero e proprio passaggio di fase. Per capire i problemi e la possibile prospettiva di Roma, ognuno di essi va considerato.
2. L’esaurimento di un ciclo storico
Un rilievo unico ha il fattore storico-istituzionale, poiché la funzione di capitale ha modellato Roma, il suo meccanismo di crescita e la forma urbis, lungo tutto l’arco del secolo dal momento dell’unità d’Italia. In pari tempo, il fatto che Roma sia anche centro della cristianità e della Chiesa cattolica le ha conferito un caratte...