Meccaniche imperfette
eBook - ePub

Meccaniche imperfette

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Meccaniche imperfette

Informazioni su questo libro

Dieci racconti, dieci insoliti eventi, dieci vite che diventano improvvisamente straordinarie, colte di sorpresa da un tranello del destino. Ma le trappole non sono mai frutto del caso: c'è chi se l'è costruita con le proprie mani e chi, invece, l'ha evocata per paura o per desiderio. Tutti, però, saranno costretti a fare della "fatale sorpresa" uno strumento per conquistare una nuova consapevolezza…

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Meccaniche imperfette di Carmine Sorrentino in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Letteratura generale. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Bordeaux
Anno
2014
eBook ISBN
9788897236610
a Paolo
Carmine Sorrentino
Meccaniche imperfette
Dieci racconti
bordeaux eBook
© Bordeaux 2014
www.bordeauxedizioni.it
Impaginazione e realizzazione digitale/Plan.ed
www.plan-ed.it
isbn 978-88-97236-61-0
Il pagato
La signorina Emma usciva ogni mattina alle otto, puntuale come un soldato svizzero. Dallo stabile di Via Medina raggiungeva, con passo lento, la Biblioteca Nazionale dove era impiegata. Prima, però, si fermava da Pintauro in Via Toledo, già Via Roma, già Via Toledo per “spogliare” avidamente una calda e riccia sfogliatella. Quello era il suo rito quotidiano, la sua preghiera al mondo che si concludeva, come fosse un solenne amen, con un caffè nel santuario dei caffè napoletani: lo storico ed elegante Gambrinus.
Emma conosceva a menadito la storia del luogo che, fin dalla sua apertura nel lontano 1890, si era trasformato in una delle culle del buon gusto della città, situato proprio davanti alla sua amata Biblioteca, cioè davanti al Palazzo reale e al Teatro dell’opera.
Emma sembrava perdersi in pensieri ameni mentre, dopo aver bevuto la densa e oscura bevanda, rimestava col cucchiaino il fondo della tazza per raccoglierne sulla sua punta la poltiglia zuccherosa. Spesso, con una leggera vertigine, pensava a quanti discorsi importanti erano stati fatti proprio in quelle sale, pronunciati da teste coronate, da intellettuali, da poeti, da pittori o da musicisti. Chissà se anche qualcuno di loro aveva goduto assaggiando la sottile e dolcissima poltiglia di zucchero e caffè!
In quelle sale, arrivava l’alito salmastro del mare ed Emma era più che certa che quell’odore piccante di sale, di alghe e di pesce, avvinghiandosi all’aroma del caffè, inebriava i numerosi avventori, trasportandoli in un mondo di poesia e d’amore. Non era là, tra i tavoli del Gambrinus, che erano nate le più struggenti melodie napoletane?
La donna immaginava, eccome se lo immaginava, il vate D’Annunzio trattenersi e fare salotto con belle e amabili signore, seduto tronfio a un tavolo all’aperto. Immaginava che sarebbe stata capace di cogliere un suo sguardo attraversato da un guizzo di virile follia mentre si azzittiva per gustare un caffè, l’unico che poteva tenergli testa.
Nel glorioso bar la conoscevano tutti e la sua presenza era considerata di buona “ciorta”, tanto che a un accenno di ritardo, il proprietario mandava Renato, il raccoglitore di tazze, tazzine e bicchieri, all’angolo con il teatro San Carlo per spiare l’arrivo della “nave”, così come l’aveva soprannominata il lazzaro. Soprattutto di lunedì era attesissima perché apriva il ciclo della nuova settimana e ognuno dei presenti sapeva che, a seconda del colore del vestito da lei indossato, il futuro immediato sarebbe stato più o meno buono.
Quella grossa donna gentile, nelle sue curiose mise che si rifacevano agli anni cinquanta e con i capelli raccolti come a quel tempo, era il simbolo vivente della fortuna anche per la vecchia Nunziatina, la contrabbandiera di bionde americane, seduta, con il suo banchetto, accanto all’entrata laterale del Gambrinus.
Quel lunedì di luglio erano già le nove e la signorina Emma non si era ancora vista. Il giovane cameriere del Gambrinus era stato costretto dall’ansioso proprietario a fare da spola tra il bar, il Tempio della sfogliatella e il Tempio della musica, ritornando ogni dieci minuti con la malaugurata frase, detta sottovoce: – Don Genna’, ’a chiattona non se vede!
La vecchia Nunziatina sbuffava dal caldo e cercava di acquietare, quando gli si piazzava davanti, il buon don Gennaro preoccupato come una madre che attende il figlio dalla guerra:
– E non vi preoccupate... Mo’ arriva e se non arriva chiediamo più tardi a don Aurelio se per caso ’a signorina tene qualcosa... E ci giochiamo pure i numeri a lotto.
Con la stessa premura di don Gennaro e di Nunziatina, l’aspettava anche Aurelio, il collega di Emma. Lui, ogni mattina, appena sentiva rimbombare i tacchetti nell’enorme corridoio della biblioteca, preparava, emozionato, la nuova poesia da leggere alla sua amica. Aurelio Conti, un uomo alla soglia della pensione, vedovo da anni e senza figli, non riteneva inopportuno, come qualcuno aveva già malignato, corteggiare la signorina Emma, solo perché più giovane di appena vent’anni.
Emma pareva apprezzare la sua compagnia discreta e a lui sembrava rapita quando le leggeva le poesie con un filo di voce: il nero e acquoso sguardo della donna era dritto sul mare. Donna timida e romantica aveva conservato qualcosa dell’innocenza di una bambina.
Quella mattina, però, Emma Punzo si lasciava desiderare perfino da Mimì, il riparatore di vecchi accendini Ronson, che più volte aveva chiesto se gli avesse lasciato, com’era solito fare, un “pagato”, ovvero un caffè pagato, vecchia e civile tradizione della città, dove chiunque poteva pagare un caffè a uno sconosciuto senza risorse.
Aurelio aveva già avuto una discussione con i tre inservienti Totò, Ciro e Peppino quando li aveva sorpresi a fare commenti pesanti sul petto della signorina.
Totò, rimarcando l’insolito ritardo, aveva detto: – E certo cu stu’ calore e che zizze ca nun fernescan’ mai chella va’ chiano chiano.
– E sì che ’a signorina tene due zizze che te po affugá – aveva continuato Ciro con ironia.
– E do culo da’ chiattona che vulimmo dì... – aveva aggiunto cinicamente Peppino, suscitando l’ira di don Aurelio.
– La si-gno-ri-na – aveva scandito con sforza – e non “’a chiattona”, è sicuramente molto più attraente di quelle quattro “scope” che frequentate voi.
Don Aurelio vinse con la sua autorevolezza, tanto che e ai tre malcapitati, capendo che la reazione insolita do’ professore era dettata dalla preoccupazione del ritardo della signorina Emma, non restò altro da fare che tacere. Poi si scusarono e gli suggerirono di chiamare a casa di Emma. Loro non sapevano che don Aurelio aveva telefonato già tre volte, senza nessuna risposta.
Emma Punzo viveva sola nel grande appartamento di Via Medina, lasciatole dai genitori, morti qualche anno prima. Il caldo di quella mattina dava la sensazione che il tempo si fosse improvvisamente dilatato. Qualche studente aveva già occupato i tavoli della sala lettura, più per ripararsi dall’arsura che per studiare. Aurelio guardava ora l’orologio, ora il telefono, con la speranza che il primo accelerasse il suo ritmo e il secondo si mettesse finalmente a squillare. Si erano fatte le dieci e trenta.
Intanto don Gennaro e Nunziatina si erano rassegnati ad aspettare il professore “collega” per saperne di più.
– L’ultima volta che ’a signorina Punzo non s’è presentata, è venute ’o terramoto – ricordava don Gennaro, con quel tono tragicomico, tipicamente napoletano.
– Nunzia’, ’a signorina è come ’o sangue di San Gennaro: se si scioglie è buonaugurio, a si no è malamente!
Nunziata gli suggerì di mandare il commesso alla Biblioteca, che seccato, aveva sbuffato, nell’indifferenza degli altri: – Scusate, ma tanto vale che lavoro pa’ Nave e non più per voi.
Nunziata, intanto, aveva rielaborato i numeri per il lotto da giocare sulla ruota di Napoli: 26, ’a femmene chiatta; 12, ’o mister’; 8, ’o ritard’; 15, il giorno in corso.
Il povero don Aurelio si era dato molto da fare, chiamando ai vari ospedali. No, quella notte non c’era stato nessun ricovero registrato sotto il nome di Emma Punzo. Si sentiva più sollevato, anche se il mistero della scomparsa di Emma cresceva. Lo stupiva il fatto che una donna così scrupolosa non avesse avvertito di una sua probabile indisposizione. E se fosse stata aggredita? Certo che il quartiere di Emma, così a ridosso del porto, non poteva dirsi ben frequentato, popolato com’era di notte da marinai ubriachi, da puttane e da una corte di miracoli davvero impressionante. Aurelio decise di rivolgersi proprio alla Questura di Via Medina con l’ansia di un bambino smarrito. Stava scoprendo la forza che lo legava alla sua donna di panna montata. Lui aveva sempre riconosciuto di avere, come si dice al Sud, una simpatia nei confronti di Emma, ma non si era mai accorto di esserne così tanto innamorato. Aurelio era preoccupato perché sapeva che Emma aveva pochi amici e riempiva il suo tempo libero con letture, con molta televisione e qualche rara uscita per andare al cinema. Insomma, una donna “seria” che viveva, con dignità, la solitudine di essere diversa. Lui era fiero di lei, donna così tradizionalmente perbene eppure così giovane.
Per distrarsi si recò al Gambrinus e subito fu accerchiato da coloro che, come lui, erano preoccupati per quell’insolita assenza. Aurelio aveva sotto sotto sperato che fosse passata per il Caffè, ma niente. Mogio ritornò al suo lavoro.
Erano le undici e trenta. Finalmente il telefono squillò. Il Maresciallo Cocozza chiese di lui:
– Signor Aurelio Conti?
– Sì, sono io.
– Lei ha chiamato per la signorina Punzo? È per caso un suo parente? – indagò scrupolosamente il Maresciallo Cocozza. Don Aurelio si sentì subito preso dall’angoscia. Quella domanda celava di certo una cattiva notizia e, pur di saperla, fece finta di essere lo zio materno.
– Mi spiace informarla che la signorina Emma Punzo è in stato d’arresto per omicidio.
Don Aurelio, senza parole, sudava freddo. La sua mente accelerò l’entrata e l’uscita di ogni pensiero. No, non era possibile, neanche per l’uomo più perverso del mondo, immaginare Emma, la dolce Emma Punzo, come una volgare assassina. Era forse un tremendo equivoco? Seppe sempre dal Maresciallo Cocozza che nell’appartamento della Punzo era stato ritrovato il corpo nudo e legato di un giovane uomo, morto per strangolamento. Era stata la stessa Punzo ad aver chiamato il 113 per costituirsi e che non sembrava per niente essere in uno stato confusionale, anzi a guardarla bene, si sarebbe detto che aveva dipinto sul faccione un’espressione piuttosto soddisfatta, a tratti estatica.
La notizia raggiunse, subito dopo, anche Pintauro e, a macchia d’olio, don Gennaro al Gambrinus, che nello sgomento generale, aveva commentato: – Chest’ è a fin do’ mundo... San Genna’ assistici tu!
Nunziata, che non poteva credere a quello che aveva sentito, stava rielaborando per l’ennesima volta, i numeri da giocare al lotto.
Ma che cosa era successo veramente?
Al commissariato, la signorina Punzo, vestita, pettinata e truccata inconsuetamente, stava confessando il suo omicidio.
Una settimana prima del fattaccio, aveva invitato a cena Benedetta, la più giovane e bella delle sue poche amiche, una di quelle donne che vivono bene, facendo tutto e niente. Si erano conosciute qualche anno prima proprio alla Biblioteca, dove Benedetta faceva finta di finire la sua tesi di laurea. Ora la donna lavorava in un’agenzia di accompagnatori per signore, sì, proprio in una di quelle agenzie, dove certe donne possono passare, pagando profumatamente, qualche ora di benessere in compagnia di giovani torelli.
Quella sera, le due amiche avevano bevuto molto. Ridevano per ogni minima cosa.
Emma guardava con un certo imbarazzo la presentazione del film di Madonna, Body of Evidence, dove la cantante legava le mani di un uomo nudo e gli versava la cera liquida di una candela sul torso prima di fare all’amore con lui. Benedetta si accorse dell’imbarazzo misto a curiosità dell’amica e incominciò a prenderla in giro.
– E dài, dillo... Dillo che ti piacerebbe farlo come lei, almeno per una volta!
Emma, ubriaca, alla fine si lasciò andare. Scherzare sulla sessualità la sgomentava, ma allo stesso tempo, e in quella situazione, la liberava. Erano sette lunghi anni che non riceveva le carezze di un uomo, sette anni che faceva finta, anche con le altre poche amiche, di non avere più sesso.
Aveva riso sguaiatamente.
– Sì, sì... mi piacerebbe e come... Ma mi piacerebbe farlo pure con la frutta e la verdura, come lo faceva quella... Come si chiama? – intanto Benedetta era salita sul divano ballando e fischiettando il motivo del film in questione.
– Dài, aiutami. Come si chiamava? – la implorava Emma, con improvvisi attacchi di risate.
– Nove settimane e mezzo... ma a te, mia cara, ti servirebbe soltanto un’ora e mezzo – fece sarcastica Benedetta, continuando a ballare.
Emma, preso un sedano e una banana dalla cesta della frutta, per imitare Benedetta, agitando buffamente le anche ed il petto. Non si divertiva così tanto dai tempi del liceo, durante le famose occupazioni della scuola. Quella fu l’occasione per confidare all’amica la sua triste condizione, i suoi sette anni di astinenza sessuale. Gli uomini che s’interessavano a lei erano normalmente vecchi, privi di qualsiasi attrattiva sessuale, proprio come Aurelio, “sicco e panzuto” e anche calvo.
Alle sue confidenze, Benedetta divenne tutt’a un tratto seria per poi protestare energicamente: – Ma ti sei guardata? Ti vesti come una vecchia, ti pettini come na’ vecchia... Ti sei detta, poiché non mi guardano è meglio fare quella che non deve essere più guardata...
– Non è vero! Ho semplicemente pensato che un uomo che ti ama, ti accetta per quello che sei e...
– Ma lo devi far innamorare. Tu attiri gli uomini anziani, i “secchi e panzuti”, proprio perché fai l’anziana. Cerca di essere diversa... Che ne so, ti ci vorrebbe qualcosa che ti desse una spinta come... anzi tante spinte – concluse allusivamente.
A quelle parole Emma arrossì. Quelle “spinte” erano il chiodo che s’era fissato nei suoi pensieri da un po’ di tempo, anche se non era mai riuscita ad immaginare l’atto erotico al di fuori di qualsiasi contesto affettivo.
– Ascolta – continuò Benedetta senza incrinare la voce –, perché non ti prenoti uno bello e arrapante della mia agenzia? Tu paghi e scegli quello che vuoi senza nessuna complicazione. Tu non puoi immaginare quante donne lo fanno.
Emma disapprovò. Come poteva fare una simile proposta proprio a lei che aveva sempre desiderato l’arrivo trionfante del principe azzurro? Emma s’incupì anche se, proprio in quel preciso momento, capì che si stava solo difendendo dal suo stesso desiderio con una rabbia silenziosa. Benedetta, che aveva ben intuito i desideri dell’amica, insistette al punto tale da disarmarla e vincere le sue residue resistenze.
– Ti prenoto Armando! È un tipo classico. Tu lo inviti a cena e si vede quello che succede. Io starò con te, ti preparo in modo adeguato, ti faccio bere un po’ e, quando lui suona alla porta, io vado a rinchiudermi nell’altra stanza per poi sparire.
Emma non avrebbe voluto cedere a quella tentazione ma alla fine accettò. Quella fu la settimana più drammaticamente eccitante della sua vita. Ogni giorno, l’amica le dava una lista di cose da comprare, dagli indumenti intimi ai cosmetici. Emma si sentiva sdoppiata: la mattina si recava, come sempre, al lavoro nei suoi completini verde acqua o azzurrini, la sera si provava le cose acquistate, ora il kaftano scollato nero e oro, ora le calze di seta con la cucitura a vista sul retro, ora il reggiseno a balconcino. Si era anche fatta togliere i baffettini e l’ombra di peluria sulle tempie. Aveva, com’era ovvio per una donna come lei, molti momenti di ripensamento, soprattutto quando la mattina, il caro Aurelio le leggeva, con voce gentile, una poesia di Rilke o di Viviani. Lei guardava il mare con ansia e poi ribellandosi a sé, decideva di annullare tutto, certa che un rapporto mercenario non avrebbe avuto alcun senso. Capiva, guardando il suo mare e ricevendo le premure del caro Aurelio, che doveva solo superare gli attacchi di solitudine. Quando però usciva dalla Biblioteca, ritornava a pensare all’incontro. Era oramai un’ossessione alla quale non rinunciava. Nei momenti, sempre più rari, di ripensamenti c’era quel demone di Benedetta, che la ingoiava nel ciclone della sua allegria.
Arrivò la sera attesa. L’amica era stata con lei dalle cinque di pomeriggio. Le aveva fatto indossare la sottoveste merlettata di seta nera, niente mutande che rigano la pelle, le calze, il vestito scollato. L’aveva pettinata con i capelli sciolti, una pesante linea di rimmel sugl...

Indice dei contenuti

  1. Il pagato
  2. Baylon Cafè
  3. L’oro della Vergine
  4. Il ribelle
  5. Yara
  6. L’amaca messicana
  7. La vedova
  8. Il collezionista di gesti
  9. La parrucchiera
  10. Lettera di un suicida al Santo Padre