Effetto Bergoglio. La Chiesa di papa Francesco
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Effetto Bergoglio. La Chiesa di papa Francesco

Informazioni su questo libro

Il pontificato di papa Francesco (al secolo Jorge Mario Bergoglio) è stato fin da subito caratterizzato da tanti piccoli gesti semplici e insieme rivoluzionari: stile informale, capacità di parlare al cuore dei fedeli, sensibilità nell'affrontare tematiche delicate (crisi economica, dissoluzione della famiglia, inadeguatezza della classe politica, guerre internazionali, accoglienza degli immigrati) e grande umanità. "Effetto Bergoglio" ripercorre il primo anno di pontificato di papa Francesco analizzandone encicliche, atti ecclesiastici e documenti ufficiali alla luce del loro indubbio impatto pastorale e mediatico.Contributi di Ulderico Parente, Antonio Scoppettuolo e Luca Alteri.

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Informazioni

a cura di
Antonio Iodice
Effetto Bergoglio.
La Chiesa di papa Francesco
bordeaux eBook
© Bordeaux 2014
www.bordeauxedizioni.it
Impaginazione e realizzazione digitale/Plan.ed
www.plan-ed.it
isbn 978-88-97236-47-4
Introduzione
Questo non è un instant book: molti ne sono usciti già dopo i primi mesi di pontificato di papa Francesco e moltissimi ne usciranno in occasione del primo anniversario dell’elezione di Bergoglio al soglio petrino. Nel presente lavoro gli autori intendono analizzare l’operato di papa Francesco alla luce di un approccio integrato e multidisciplinare, utilizzando le rispettive competenze.
Ulderico Parente indaga la complessa personalità del papa argentino: Vescovo di Roma, gesuita, insegnante, pedagogo, direttore di coscienza... “peccatore”. Dalla militanza nella Compagnia di Gesù alla direzione dell’arcidiocesi di Buenos Aires, dagli scritti pastorali all’aiuto in favore dei cartoneros e di tutti coloro che, nelle pieghe dell’Argentina, vivevano di niente: esiste una innegabile continuità tra “quel” Bergoglio e il papa Francesco che accoglie i migranti a Lampedusa, che lava i piedi ai giovani detenuti di Casal del Marmo, che è “sommerso” dalla folla entusiasta nella Giornata Mondiale della Gioventù. Esiste l’obiettivo di indurre il fedele a un rinnovamento interiore, scrollandosi di dosso le rassicuranti certezze di una fede tenuta ben chiusa “dentro la caverna” e non offerta né alle contraddizioni del mondo, né al servizio in favore dei più deboli. Esiste una precedenza accordata alla prassi, ma che non perde di vista le linee teoriche – riconducibili alle riforme del Concilio Vaticano II – con cui Bergoglio indirizza il suo governo della Chiesa. Non a caso Parente individua la “cifra spirituale” del pontificato di Bergoglio in due atti, forse trascurati dalla pubblicistica quasi “frastornata” dalle parole e dai gesti quotidiani del papa argentino, ma considerati emblematici ai fini dell’analisi della personalità di papa Francesco: le canonizzazioni di Giovanni XXIII e di Pierre Favre. Entrambi hanno lasciato una traccia profonda non solo nella vita della Chiesa, ma anche nella biografia di Bergoglio, con la ferma indicazione per un rinnovamento che non sia rivoluzione, per un progresso che non sia modernismo, per una fedeltà che non sia bigottismo oppure chiusura. Al contrario, la Chiesa di Roncalli e di Favre si “sporca le mani” per aiutare a uscire dalla miseria (economica, sociale e culturale) chi è in difficoltà, per dare speranza a chi non crede nella vita, per dialogare con chi ha altre convinzioni religiose (e politiche), per ricordare al mondo che il cristiano si trova più a suo agio negli angoli della penombra, che non sui troni ammantati di luce, per ribadire come la consapevolezza di essere minoritari – in una società viziata di individualismo ed edonismo – non comporta la convinzione di essere sconfitti. Per questi motivi, le due canonizzazioni assumono un significato ecclesiale fondamentale, bel al di là del dato storico o del diritto canonico, definendo le linee di una “teologia della misericordia” che rappresenta il lessico primario di un anno di pontificato.
Allo stesso tempo, Antonio Scoppettuolo – nel suo contributo sulla pastoralità di papa Francesco – ha rintracciato negli anni di Buenos Aires i prodromi di una fede essenziale, senza orpelli o complicazioni, avente come perno l’insegnamento gioioso del Vangelo. L’ecclesiologia del Vaticano II era già presente nell’apostolato argentino di Bergoglio, costellato da parole semplici e da concetti espressi direttamente, con frequenti richiami alla vita quotidiana, alle esperienze tangibili e agli umori conosciuti tutti i giorni. Come potrebbe mai passare inosservato un pontefice che cita l’odore delle pecore come “antidoto a qualsiasi crisi di identità che la globalizzazione e la progressiva laicizzazione della società provoca anche all’interno della Chiesa”? I riferimenti presenti negli insegnamenti di Bergoglio – sin dall’epoca di Buenos Aires – non sono mai casuali: quando parla “dell’olio della bottiglia”, della durezza della pietra, del “vento nelle vele”, della “pazienza del lievito” papa Francesco intende accompagnare l’allievo e più in generale l’interlocutore attraverso un percorso apparentemente conosciuto, con l’ovvio vantaggio di far abbassare le barriere di diffidenza dell’ascoltatore e permettergli di concentrarsi sulla spiritualità del messaggio e dell’intera comunicazione.
Un linguaggio semplice non è un linguaggio semplicistico, un esempio riferito alla quotidianità non equivale a un esempio ascoltato tutti i giorni: Bergoglio offre semplicità ma non chiede inerte e paciosa accettazione del presente, offre quella che Scoppettuolo ha definito “spartana essenzialità”. Come ogni sacerdote deve aggiornare la propria pastoralità sul campo, alla stregua di un ospedale approntato nelle zone di guerra per alleviare le ferite della popolazione civile e di quella militare, allo stesso tempo ogni cristiano deve offrire alla Chiesa non semplice e formale devozione, ma “protagonismo”: il cristiano non deve limitarsi a offrire la propria disponibilità a “uscire dalle caverne”, ma deve effettivamente andare a cercare chi soffre e ha bisogno di cure. Di più: lo deve trovare, senza limitarsi alla buona volontà o al tentativo. Per usare ancora le parole di Scoppettuolo: “Non basta però lasciare le porte aperte, magari anche spalancate, e nemmeno rimanere sull’uscio ad aspettare, per far entrare chi chiede ricovero. Per Bergoglio occorre fare molto di più e cioè uscire per andare laddove si trova chi ha bisogno di cure. La missione non si accontenta dei vicini né dei lontani che possono capitare lì per caso, ma va alla ricerca di chi è fuori dal nostro orizzonte perché il cristiano è un camminatore”.
La sola analisi delle linee pastorali di Bergoglio (prima e dopo l’elezione al soglio petrino) renderebbe la struttura del presente lavoro incompleta, se non fosse integrata da un focus sulla comunicazione rivolta dal mondo laico a papa Francesco. Senza ombra di dubbio il pontefice argentino è dotato di una forte presenza mediatica, evidente sin dai primi mesi successivi alla sua elezione, come ha ricordato Alberto Melloni: “Quella del 2013 è stata un’estate di lavoro per tanti che osservano il Papa per filiale adesione, per mestiere, per curiosità intellettuale o per tutti questi motivi insieme. Nei giornali – i lettori l’hanno percepito – il crescendo e la qualità spirituale degli exploit di Papa Francesco hanno modificato il modo di raccontare quello che era invalso chiamare ‘il Vaticano’.”1 Ben presto si è diffusa, non solo in Italia, un’epidemia di bergoglite, a causa della quale autorevoli esponenti del cosiddetto “mondo laico” – e persino qualche impenitente laicista – hanno gareggiato nel manifestare i propri moti di simpatia verso il nuovo papa, talmente apprezzandone i gesti e le parole da rischiare una distorsione del loro significato ecclesiale. Un rischio, del resto, effettivamente e grossolanamente verificatosi in qualche caso.
Luca Alteri analizza significativi casi-studio presi dalla stampa italiana e internazionale, confrontandoli con gli input forniti da Bergoglio, così da evidenziarne i limiti nell’esegesi, spesso dovuti a un “eccesso di entusiasmo”. Allo stesso tempo – in maniera anzi complementare – alcuni esponenti del pensiero tradizionale cattolico si sono sentiti in dovere di rompere la cortina di unanimità che stava circondando il papa argentino esprimendo, in maniera anche fragorosa, dubbi e critiche sul suo operato e sui lidi a cui stava conducendo la nave di Pietro. Un’ennesima conferma – documentata dal contributo di Alteri – del dibattito ben presente e vivo all’interno del mondo cattolico, per quanto a volte faccia comodo descrivere il contrario. Il contributo suggerisce, inoltre, una linea di continuità tra Bergoglio e i suoi immediati predecessori: se l’affinità con Wojtyla può essere intuita dall’omologa capacità di “bucare lo schermo” – gestendo su più livelli la comunicazione di massa – e dalla propensione a definire un pontificato “globale”, senza barriere geografiche né culturali, più difficile può apparire un collegamento con Ratzinger, soprattutto alla luce di una vulgata – convintamente contrastata da Alteri – che legge il rinnovamento del papa argentino come un implicito atto di accusa rispetto alla gestione del papa tedesco. Una lettura del genere ignora come la dimensione “scandalosamente rivoluzionaria” di Francesco trovi una sua premessa logica e temporale nelle “scandalose” dimissioni di Benedetto XVI. “Scandalose” – a ben vedere – anche perché dettate dall’ascolto della propria coscienza; la medesima coscienza che – citata da Bergoglio e ingigantita da Eugenio Scalfari nel noto dialogo estivo – era valsa a papa Francesco inappropriate accuse di relativismus. Analizzare la comunicazione laica, come avviene nel contributo di Alteri, significa soprattutto ricordare come questa sia contraddistinta da un significativo vizio di fondo, quasi un “peccato originale” in salsa secolare: pensare che ogni papa possa costruire e personalizzare la sua Chiesa. Esisterebbe, quindi, la Chiesa di Wojtyla, la Chiesa di Ratzinger, mentre adesso si starebbe delineando la Chiesa di Bergoglio. Fino a prova contraria, la Chiesa è una. Ed è di Cristo.
Scrivere un libro sul primo anno di pontificato di papa Francesco è insieme facile e difficile. È facile nel momento in cui è palese l’enorme attenzione dedicata al primo pontificato extraeuropeo e il fascino emanato da una figura serena e rassicurante, è difficile nel momento in cui anche il presente lavoro – alla pari di tutti gli altri – si trova a rispondere ad alcuni dilemmi riguardo l’operato di Bergoglio: innovare la Chiesa significa necessariamente rivoluzionarla? Il cambiamento riguarda anche la dottrina? L’accoglienza entusiastica che il nuovo papa si è meritato in così poco tempo rischia di offuscare il ricordo dei precedenti pontificati? Gli interventi di improvvisati e improbabili “teologi” – desiderosi di partecipare al dibattito sull’argomento del giorno e forse dell’anno – contribuiscono a ingenerare confusione presso la comunità cattolica, proprio adesso che il ministero pastorale di base riceve la giusta e meritata attenzione?
Queste domande sono sovrastate da un quesito più generale e impegnativo, che sembra tacitamente incombere su tutto: chi è papa Francesco? In questo lavoro, che l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” ha promosso e coordinato, proviamo a dare una risposta.
Francesco è un papa che “odora” di Periferia e che richiama la Frontiera, il confine tra due e più mondi, la capacità di rimanere in bilico senza illanguidire la propria identità – ma rispettando quella altrui, – l’attitudine, infine, a scandalizzare con la sua semplice normalità. Gli ultimi dodici mesi non hanno mostrato solamente le virtù di Jorge Mario Bergoglio, ma ribadito l’inadeguatezza del mondo laico quando osserva la comunità cattolica e ne analizza le caratteristiche, le prospettive, le problematiche. Sfiancati nella stucchevole polemica tra chi leggeva nei primi atti del papa argentino una continuità con i suoi predecessori e chi ne sottolineava, al contrario, l’innovazione, molti commentatori hanno perso di vista il quadro generale che traspariva dalla pastoralità di Bergoglio; intenti a elencare parole e gesti giudicati “rivoluzionari”, tanti teologi prêt-à-porter hanno mancato di interpretare la visione complessiva di papa Francesco e del suo “rinnovamento nella continuità”. Ogni sua visita pastorale, ogni dichiarazione, ogni tesi bergogliana è parte di un disegno che adesso, dopo il primo anno di pontificato, incomincia a essere leggibile: si tratta di un progetto che parla di giovani (è indicativo in questo senso il clamoroso successo della Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro), del mondo del lavoro (continuamente richiamato, soprattutto in tempi di lacerante crisi economica), dell’annunciata riforma della Curia romana, della costruzione di un continuativo dialogo con le menti più acute del mondo ateo, di un importante intervento nel dibattito tra Fede e Ragione. Molti di questi passaggi – è bene ribadirlo – non nascono ex abrupto dalla creatività e dall’entusiasmo del papa argentino e della sua “eccentricità periferica”, ma trovano le proprie premesse nel Santo di Assisi, in Agostino d’Ippona, in Ignazio di Loyola, in Giovanni XXIII, nel Concilio Vaticano II, nella spesso – e ingiustamente – dimenticata economia sociale di mercato.2 Dimostrando come chi ha fede non debba sentire l’obbligo di inventare alcunché, ma solo di rinnovare quotidianamente la sua adesione e il suo impegno. “Io faccio nuove tutte le cose”, diceva Gesù risorto (e ripete papa Francesco in chiusura della sua Evangelii gaudium), senza suggerire una cesura con il passato, ma ricordando come il cambiamento del contesto esterno parta indifferibilmente dalla realtà interiore.
Poco più di un anno fa la “rinuncia” – a sorpresa – di Benedetto XVI aprì una stagione nuova, concretizzatasi in un pontefice latino-americano e gesuita. In pochi avevano pronosticato che il nuovo papa sarebbe stato il card. Jorge Mario Bergoglio (tra questi, una citazione di merito va riconosciuta a Vittorio Messori, sulla base di quanto scrive nel suo La Chiesa di Francesco),3 in pochi avevano pronosticato che avrebbe assunto il nome di Francesco (tra questi un Eugenio Scalfari con doti da indovino), in pochi avevano previsto che sarebbe stato capace, nel giro di pochi mesi, di attirare a sé il consenso e la simpatia anche da parte di campi solitamente antagonisti di tutto ciò che il Vaticano rappresenta.
Dopo Benedetto XVI la nave di Pietro non è rimasta senza rotta né si è infranta sugli scogli. Il nuovo pontefice ha invocato da subito il protagonismo di ogni cristiano e ha iniziato dando il buon esempio. Francesco non è un papa che “resta al balcone” – come si dice in Argentina – ma esercita in maniera innovativa il primato di Pietro, nel nome di quella collegialità evocata dal Vaticano II.
Al di là delle procedure, la “scandalosa normalità” di papa Francesco trova la sua cifra distintiva nel ribadire l’importanza di una fede che non sacrifichi i sentimenti, neanche quelli più “scomodi”: la gioia (perché il Vangelo deve essere annunciato gioiosamente), il timore (perché aprirsi agli altri significa inevitabilmente mettere in discussione se stessi), la tenerezza (che significa anche non nascondere la propria debolezza), la misericordia (che innerva tutto il magistero di Francesco e, più in profondità, il modo con cui egli si relaziona con l’altro), infine l’amo...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Le canonizzazioni di Giovanni XXIII e Pierre Favre: un approccio a papa Francesco
  3. Da Buenos Aires a Roma: un Pastore di nome Bergoglio
  4. Folgorati sulla via di Santa Marta. I giornalisti laici e papa Francesco
  5. Note biografiche