Giocando su piani inclinati: Le maglie economiche del Caucaso
Maria Serra
Dai commerci all’integrazione sovietica
La collocazione geografica della regione transcaucasica ha storicamente definito lo sviluppo economico dei paesi appartenenti a quest’area, nonché l’andamento delle relazioni tra questi e tra questi stessi e le civiltà circostanti.
Fiorente crocevia per i commerci dall’Europa mediterranea verso l’Asia centrale e orientale, e dalla Ciscaucasia verso la Persia per tutta l’epoca medioevale e moderna – fattore che contribuì a un certo grado di integrazione economica intra-regionale –, la regione caucasica conobbe nella prima metà del secolo XIX un ridimensionamento della prosperità e della strategicità economica sul piano degli scambi interregionali a causa sia del cambiamento politico internazionale e degli sviluppi delle direttrici del commercio mondiale, sia delle crescenti ostilità tra i regni locali e per via dei conflitti d’area che culminarono, in tempi diversi, nell’annessione all’impero russo.
Lo sviluppo economico del Caucaso durante il secolo XIX dipese pressoché esclusivamente dalla politica commerciale zarista, volta ad ancorare il mercato russo a quelli di Europa e Asia e a ridurre l’interscambio tra questi, facendo della regione un nodo funzionale ai vantaggi dell’area metropolitana russa. Le compagnie commerciali sorte nel Caucaso, pur operando in ambito locale, avevano difatti il compito di stabilire relazioni commerciali con il resto dell’impero e non espressero mai a pieno il proprio potenziale. Lo sbocco sul Mar Nero e la diretta proiezione verso il Mediterraneo posero la Georgia in stretto raccordo con i paesi occidentali già nei secoli scorsi: mentre gli scambi – specialmente quelli della seta – avvenivano sia lungo l’asse Poti-Telavi-Belakani-Nukhi sia a Tbilisi, e la gola di Darial si configurava come il più importante nodo strategico per il controllo delle merci dirette verso l’India, assunse un ruolo di particolare rilievo il porto di Batumi. Tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX, il volume delle merci qui esportate superava in termini di fatturato quello dei porti di Novorossiysk e Nikolaev.
La realizzazione di importanti linee di connessione ferroviaria (Poti-Tbilisi, Tbilisi-Baku e Batumi-Tbilisi) e la costruzione delle prime conduzioni energetiche (la prima fu la Baku-Batumi, i cui lavori cominciarono nel 1896), volte al trasporto del kerosene e del greggio dall’area del Caspio ai terminali del Mar Nero, restituirono al Caucaso la sua funzione strategica di transito. Tuttavia, la perifericità del Caucaso e le politiche messe in atto dall’impero nei confronti dei paesi dell’area, che non tenevano conto delle singole specificità, di fatto non favorirono le relazioni politico-commerciali all’interno della stessa regione, delineando così le prime linee di tendenza economica del territorio.
Dopo la fallimentare esperienza di organizzazione politica, e dunque, economica, autonoma sotto le vesti della Repubblica Federale Democratica Transcaucasica, la regione entrò a far parte dell’Unione Sovietica (dapprima nella forma della Repubblica Socialista Sovietica Federata Transcaucasica e successivamente delle tre Repubbliche Socialiste Georgiana, Armena e Azera). Sebbene la Transcaucasia rappresentasse lo 0,8% del territorio dell’Urss e il 4,6% in termini di popolazione, essa concorreva per il 3,8% al reddito nazionale. In accordo al rigido centralismo applicato da Mosca, e a un modello di integrazione economica basata sulla divisione del lavoro, ciascuna repubblica contribuiva all’economia sovietica in ragione delle proprie risorse e del proprio livello di specializzazione industriale. In Armenia, grazie all’estrazione del ferro, del rame e dello zinco – oltre che di metalli preziosi – venivano realizzati macchinari e materiale elettrico; l’Azerbaigian costituiva già un polo vitale per il rifornimento di petrolio e per l’industria chimica; in Georgia, all’agricoltura di tipo tradizionale – vini, grano, frutta, oli, the, tabacco – si affiancò lo sviluppo di un’importante industria metallurgica che la rese un punto di riferimento sia per l’intero sistema economico sovietico (il 98% dell’export georgiano e l’85% delle importazioni avveniva all’interno dell’Unione Sovietica) sia per le stesse Armenia e Azerbaigian, che utilizzavano i beni prodotti in Georgia per il funzionamento del proprio apparato industriale. Ancora oggi, il trasporto delle risorse energetiche azerbaigiane è reso largamente possibile dagli altri due paesi, e dalla Georgia in particolare, grazie al loro maggior vantaggio comparativo rappresentato dalla collocazione geografica e logistica.
La transizione post-sovietica (1994-2004)
Il dissolvimento dell’Urss e la fine dell’interdipendenza economica su base socialista provocarono un’implosione delle economie dei tre nuovi Stati indipendenti, alimentando l’instabilità politica e sociale. Fallito il timido tentativo di un’entità organizzativa che garantisse stabilità e prosperità economica al Caucaso su delle basi fino ad allora praticate, l’entità del tracollo economico per i paesi dell’area fu direttamente proporzionale al grado di accesso ai sussidi statali e alle risorse energetiche di cui essi avevano usufruito durante il periodo sovietico. Oltretutto, il retaggio in termini di strutture amministrative e di gestione non fu capace di rispondere al rapido mutamento che la stessa fine dell’epoca sovietica stava provocando a livello economico globale. L’apertura alle economie di mercato, alle quali i tre paesi erano rimasti fino a quel momento impermeabili, non fu indolore. È bene tuttavia sottolineare come tutti e tre i paesi, benché abbiano conosciuto le medesime difficoltà nel periodo della transizione, si siano distinti tra loro per tipologia e modalità di sviluppo.
Azerbaigian
In Azerbaigian, la disgregazione dell’Unione Sovietica e l’avvio del conflitto in Nagorno Karabakh – che implicò l’utilizzo di ingenti risorse in ambito militare – provocarono un crollo della produzione industriale in media del 15% annuo tra il 1992 e il 1996. Il fattore energetico, tuttavia, ne contenne la contrazione rispetto a quanto si verificava in Armenia e Georgia. Ancora nel 1995, pur con lo stabilizzarsi della situazione socio-politica e con la cessazione delle ostilità, il Pil era ritornato solo per il 37% ai livelli precedenti al 1989, mentre la media dei paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (Cis) si attestava al 58%. L’aumento galoppante dell’inflazione, il deprezzamento della moneta, il decremento della produzione agricola e industriale (quest’ultima di circa il 60%), la conseguente ...