Decifrare Gramsci
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Decifrare Gramsci

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Decifrare Gramsci

Una lettura filologica

Informazioni su questo libro

Nell'elenco dei duecentocinquanta autori della letteratura di tutti i tempi più citati nel mondo figurano solo cinque italiani, uno dei quali è Antonio Gramsci. Su di lui si è accumulata una letteratura critica sterminata, che conta oggi più di ventimila titoli in quasi tutte le lingue contemporanee, mentre il suo pensiero sta assumendo una sempre più forte diffusione e un sempre più cosciente approfondimento anche al di fuori dei nostri confini: in Europa, in America Latina, negli Stati Uniti, in Asia, in particolare in India e ora anche in Cina. Antonio Di Meo colloca alcune delle questioni dei Quaderni o delle Lettere dal carcere all'interno della cultura del proprio tempo, mostrandoci come e perché sia stata talvolta messa in dubbio la reale appartenenza del pensiero gramsciano all'ambito del marxismo, soprattutto di quello più rigoroso e "ortodosso". L'accoglienza di Gramsci e del pensiero gramsciano non è stata sempre molto positiva, infatti, in particolare nel marxismo della Terza Internazionale, ma anche all'interno di una parte non irrilevante della cultura marxista e comunista anche italiane del Secondo dopoguerra.

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Informazioni

Capitolo 1 – Dizionario dell’egemonia. Dall’Ottocento a Gramsci
1. «In questi ultimi anni l’Italia risuscitò il greco vocabolo Egemonia, e perché troppi ne parlarono, i politici secondo gli interessi della loro parte, ed i filosofanti secondo la loro fantastica ideologia, avvenne che il greco suo significato si oscurò e si travolse»1. Così scriveva nel 1856 il filologo e orientalista abate Amedeo Peyron nell’articolo L’egemonia dei greci, col quale si proponeva di chiarire il significato originario di un termine che allora stava diventando di uso corrente in storia, in filosofia e in politica. Inoltre egli voleva utilizzare la storia dell’antica Grecia per mettere in guardia sui possibili esiti della situazione italiana dell’epoca. Infatti, come nel I secolo a.C. per la Grecia, anche per l’Italia dell’Ottocento la lotta fra i diversi Stati per l’egemonia avrebbe potuto rivelarsi catastrofica e provocare la sottomissione del paese a una qualche potenza straniera, come nel primo caso era avvenuto coi macedoni e poi coi romani. Posizione, questa, che Peyron aveva già espresso nelle Idee della storia antica greca (1842)2. In entrambi i casi le idee-guida erano quella di egemonia o di primato o, nel caso del comando militare, capitaneria, che poi era il significato più antico della prima certificato già nelle Storie di Erodoto ma anche in quelle di Tucidide e di Senofonte 3. Queste affermazioni vennero poi ribadite nella sua traduzione italiana della Guerra del Peloponneso di Tucidide del 18614. Secondo Peyron l’egemonia di uno Stato poteva dipendere dalla sua forza militare o dal suo livello di civilizzazione oppure da entrambi, comunque la sola egemonia morale non era sufficiente, anche se questa, con quella culturale, poteva rimanere intatta quando la militare fosse venuta meno. Il pericolo maggiore era che le lotte interne per l’egemonia fra gli Stati potevano facilmente sfociare nella guerra civile e nella perdita dell’indipendenza: «Tal è la storia dell’Egemonia fra i Greci; l’Italia vi pensi»5.
Nel 1854, Francesco Rossi – stavolta a proposito delle città-Stato dell’antica Etruria – sosteneva che l’egemonia di una di esse era stata esercitata in due modi: di diritto e anche (e soprattutto) di fatto, cioè grazie all’influenza morale, al prestigio, per il livello di civiltà raggiunto. La seconda spesso si trasformava nella prima, e ciò sarebbe potuto accadere – in epoca moderna – anche negli Stati Uniti d’America6. Questa vecchia-nuova categoria, inoltre, era adoperata da Theodor Mommsen nella Römische Geschichte (1854-1856), tradotta in italiano nel 1857 (Storia romana), cioè proprio negli anni in cui essa era largamente utilizzata nel dibattito politico. Mommsen l’aveva fatta propria per spiegare il ruolo svolto da Roma sui Latini e poi insieme a questi sul resto delle genti italiche7. È importante, inoltre, che la ricostruzione di Mommsen fosse impostata in modo da far iniziare la storia d’Italia con quella di Roma, come se questa – federando i Latini e poi le altre genti italiche – desse inizio alle vicende italiane in senso proprio. Mommsen, in sostanza, contribuiva col suo prestigio alla fondazione della controversa posizione storiografica che vedeva in quella di Roma l’origine e il principale centro propulsore della storia d’Italia, però sotto la forma del modello greco dell’egemonia8.
2. Nell’Italia dell’Ottocento il problema dell’egemonia – nel duplice significato che comprendeva sia la forza che il prestigio – all’inizio riguardava lo studio della storia di antichi popoli strutturati in modo poliarchico cioè in comunità affini ma reciprocamente indipendenti; oppure – per analogia con questi – alcuni Stati moderni (Stati Uniti d’America, Svizzera, in particolare). Si trattava in ogni caso di situazioni di tipo federale o confederale, spesso in preda a lotte intestine per la prevalenza dell’una componente sulle altre oppure di coalizioni momentanee contro un nemico esterno. Grazie alla dinamica fra forza, prestigio e consenso, l’egemonia si distingueva dalla tirannia o dal dispotismo, cioè dal puro dominio, presenti, per esempio, nelle antiche monarchie orientali o negli Stati assolutisti europei, anche se questi potevano comprendere più popoli ma sottomessi.
Il problema, in particolare, sembrava riguardare sia la Germania che l’Italia, che erano suddivise in più Stati sovrani. Il modello col quale veniva trattato era, comunque, ricavato dalla storia greca. E, in effetti, le prime apparizioni ottocentesche del termine egemonia sia in italiano che nelle altre lingue colte europee si riferivano proprio ai significati di guida, di supremazia o di comando militare in relazione a quella storia antica, trovando un uso allargato in scritti politici già da metà del Settecento, sebbene una prima attualizzazione si ebbe in relazione agli Stati tedeschi che, in seguito al Congresso di Vienna (1814-1815), avevano dato vita alla Confederazione germanica e poi, nel 1834, all’Unione doganale. All’interno di questa aggregazione era nata una lotta per l’egemonia fra l’Austria e la Prussia (ma anche fra queste e la Baviera cattolica), col tentativo della seconda di diventare il paese guida della Confederazione. Di qui prese avvio la questione dell’egemonia prussiana, da alcuni storici assimilata a quella macedone riguardo alle città-Stato greche. Fra questi Johann Gustav Droysen con la sua Geschichte Alexanders des Großen (Storia di Alessandro Magno, 1833) e poi con la Geschichte der preußischen Politik (Storia della politica prussiana, 1855-1886).
Il concetto di egemonia oltre che per la Prussia, l’Austria e la Baviera venne largamente adoperato anche riguardo alla politica delle altre potenze moderne come la Francia, il Regno Unito, la Russia, nel significato però di supremazia di una nazione sulle altre. In questo senso la si ritrova, per esempio, in Pierre- Joseph Proudhon9 e in Ernest Renan10 .
In Italia, come si è già accennato, a metà dell’Ottocento questo concetto aveva avuto una così ampia diffusione da essere registrato nel Dizionario politico, nuovamente compilato ad uso della gioventù italiana (1849), un manuale portatile per far comprendere appieno la politica dell’epoca, nel quale si affermava – in polemica con altri dizionari – che in questi erano assenti voci di origine greca come quello di autonomia...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. Nota ai testi
  3. Capitolo 1 – Dizionario dell’egemonia. Dall’Ottocento a Gramsci
  4. Capitolo 2 – Egemonia, linguaggi e catarsi
  5. Capitolo 3 – La «rivoluzione passiva» da Paine a Cuoco a Gramsci
  6. Capitolo 4 – Processi molecolari, psicologia e storia
  7. Capitolo 5 – Gramsci e le scienze fra nazionalismo e cosmopolitismo