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Informazioni su questo libro
L'evoluzione della specie umana ha coinciso da sempre con l'alterazione del suo delicato equilibrio con la natura. Dopo tre importanti rivoluzioni – cognitiva, agricola e infine industriale – oggi l'uomo sconta tutte le conseguenze di uno sviluppo insano e ormai totalmente insostenibile. Ritorno al pianeta è un viaggio nei mali dell'ecosistema Terra ma soprattutto una dichiarazione di fiducia nel futuro e nelle buone pratiche per una "rinascita" della nostra casa comune, fatte da scelte coraggiose a livello globale e da revisioni degli stili di vita individuali, «perché il finale di questo libro, cioè del nostro pianeta, è ancora da scrivere».
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Informazioni
Argomento
Scienze socialiCategoria
PoliticaSeconda parte.
Verso un mondo migliore
Verso un mondo migliore
In questa seconda parte cercheremo di analizzare possibili percorsi verso un mondo più equo e sostenibile. Si tratta di un percorso per una rivoluzione gentile, che serva a curare sia i mali del pianeta, sia quelli dell’umanità, creando i presupposti per ridurre i rischi climatici e sanitari.
Capitolo quinto. La Rivoluzione Green per un mondo sostenibile
L’abbiamo scritto all’inizio di questo testo: siamo in un periodo rivoluzionario. L’impatto congiunto della pandemia e dei cambiamenti climatici e le conseguenti crisi economiche e sociali ci porteranno in un mondo differente da prima. Come sarà il mondo domani dipenderà da noi, dai comportamenti degli Stati, dei loro governanti, ma anche di ogni singola persona. Soprattutto dei cittadini nei paesi più sviluppati dove si genera la maggior parte delle emissioni di gas serra. Una mobilitazione generale verso scelte più rispettose dell’ambiente potrebbe innescare quella che qui chiamiamo la Rivoluzione Green per un mondo sostenibile. Dopo le storiche rivoluzioni agricole e industriali, e il recente progresso tecnologico che sta guidando la Rivoluzione digitale, la Rivoluzione Green, ossia la trasformazione radicale del modello di sviluppo, di produzione e di consumo sin qui seguiti, potrebbe cambiare le sorti del mondo. Una rivoluzione incruenta. Niente spari e fiamme né ghigliottine, ma un insieme di buone pratiche, buoni comportamenti, scelte di governo responsabili e consapevoli, basate su innovazione, coraggio e volontà di cambiamento. Per compiere la Rivoluzione Green e dirigerla verso un esito positivo, serve – come in tutte le rivoluzioni – la mobilitazione popolare. Senza l’impegno di ognuno, senza una spinta dal basso al cambiamento, anche le migliori intenzioni dei governi non saranno sufficienti.
Verso un nuovo modello di sviluppo e di produzione
La crescita economica sviluppatasi nel Secondo dopoguerra, soprattutto nei paesi occidentali, e a livello globale dopo il crollo del Muro di Berlino (1989), ha senza dubbio prodotto un aumento del benessere medio mondiale, l’aumento dell’aspettativa di vita e la riduzione della povertà. La ricchezza media della popolazione mondiale è dunque aumentata. Molti Stati prima poveri possono oggi offrire ai propri cittadini almeno dei servizi di base sanitari, scolastici, pensionistici. Questo miglioramento non è però avvenuto in modo equilibrato. L’aumentata ricchezza mondiale solo in parte è andata a sostenere le economie dei paesi poveri, consentendo sì una riduzione della fame, ma lasciando disparità e disuguaglianze. Il grosso della nuova ricchezza è finito nelle mani di sempre meno soggetti, creando pericolose concentrazioni di potere.
Abbiamo visto come la globalizzazione dei mercati, l’espansione del capitalismo e del modello liberista in gran parte del mondo, hanno esasperato la concorrenza tra le imprese che ha condotto, in molti settori produttivi, a una corsa sfrenata al massimo ribasso dei costi. Come conseguenza, bassi salari, precariato, ma anche poca attenzione e scarsi investimenti per tutelare l’ambiente. In questo modello di sviluppo hanno prevalso logiche imprenditoriali attente soprattutto ai valori finanziari, invece che al valore della responsabilità etica e sociale, nonché a quello della tutela dei territori dove le aziende operano.
Manca spesso, a livello internazionale, la volontà di una vera coesione tra i popoli. Certo, se un’azienda italiana o francese invia in Pakistan o in Vietnam i tessuti grezzi affinché lì vengano cuciti in magliette o abiti griffati, in quei paesi si acquisiscono posti di lavoro (spesso precari, mal pagati e non immuni dal lavoro minorile) e alcune competenze. È vero che le economie di molti paesi asiatici sono cresciute anche grazie a questo spostamento della produzione dai paesi occidentali. Ma a che prezzo? Il Vietnam, tutto il Sud-Est asiatico sino alle Filippine sono ora devastati da una spaventosa successione di terribili tifoni: Goni, Molave, Atsani, sono i nomi di alcuni di quelli che si sono abbattuti sulle coste asiatiche nel solo mese di novembre 2020, causando centinaia di vittime e centinaia di milioni di dollari di danni. La produzione industriale che gli imprenditori occidentali hanno trasferito in Oriente sta inquinando luoghi incontaminati sino a qualche decennio fa, mentre il grosso dei ricavi finisce nelle casse di quegli imprenditori nella parte già ricca del mondo.
L’acquisito benessere appare un gigante con i piedi d’argilla. Un benessere fragile, esposto a rischi sempre più gravi nei prossimi anni. È bastato un virus per mettere a rischio il posto di lavoro di miliardi di persone. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro dell’ONU (ILO), quasi la metà dei lavoratori mondiali potrà soffrire problemi economici, riduzioni salariali o disoccupazione a causa della pandemia1. Perdere il posto di lavoro significa, nei paesi sprovvisti di ammortizzatori sociali, sprofondare in una durissima povertà e nella fame. Quel recente benessere arrivato in molti paesi, non sempre è resiliente, rischia di non reggere gli impatti. Per il Covid-19, ci sono vaccini e terapie a risolvere i problemi. Ma, come ha osservato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in un discorso al Parlamento europeo del 12 maggio 2020, «o prima o poi i nostri scienziati troveranno un vaccino contro il coronavirus, ma non esiste alcun vaccino contro i cambiamenti climatici»2. Se non si cambia rotta allo sviluppo, gli impatti climatici, che già mettono alla prova le economie di mezzo mondo, saranno sempre più pesanti. Anche in questo caso saranno le nazioni più povere a soffrirne le maggiori conseguenze.
L’umanità negli ultimi decenni si è sottomessa a una religione del dio-consumo per nulla bonario ed equo, ciononostante chi ancora non partecipa ai suoi riti non vede l’ora di entrare tra gli adepti. La fine del comunismo sovietico ha soddisfatto il bisogno espansivo del mercato, creando nuovi consumatori in aree del pianeta prima irraggiungibili. Il problema è che gli Stati Uniti, paese leader di quel modello economico, detiene livelli insostenibili di consumi delle risorse energetiche, naturali, alimentari che non dovrebbero essere imitati dai nuovi seguaci del consumo globale. Proprio i paesi emergenti – alcuni già leader mondiali, come Cina e Russia, altri in via di rapido sviluppo come India e Brasile – per anni hanno ostacolato accordi internazionali volti alla riduzione delle emissioni di gas serra, adducendo come ragione, più o meno: “Ma come, dopo che voi paesi ricchi avete inquinato il pianeta ed emesso gas serra per due secoli, causando voi il riscaldamento globale, venite a chiedere a noi, ora, di fare sacrifici?”. Motivazione comprensibile, ma se la soluzione è che tutti e 8 miliardi di esseri umani debbano avere il diritto di consumare come un cittadino medio statunitense, per il pianeta non c’è scampo.
Il “sogno americano”, d’altronde, è uno dei miti più radicati dell’economia capitalista. Chiunque può diventare miliardario in America, basta avere il talento e un’idea vincente. Una killer application, diremmo oggi. Non c’è dubbio che per molti degli attuali magnati americani il percorso verso la ricchezza sia stato sorprendentemente veloce, come per Bill Gates, che nel 1975 fondò insieme a Paul Allen la Microsoft partendo dal nulla, riuscendo in cinque anni a costruire quella che per decenni è stata la prima azienda di software al mondo (oggi è seconda, dietro a Google). Il “sogno americano” ha pervaso le speranze di milioni di persone ovunque nel mondo. Dopo la caduta del Muro di Berlino, quel sogno si è diffuso alla metà del globo prima soggetta a regimi di tipo comunista, cambiando la loro società in pochi anni.
L’economia malata
Dall’inizio dell’era industriale, il sistema capitalistico ha concepito la crescita economica come un bene supremo, irrinunciabile e senza limiti. La fiducia in una crescita infinita è alla base dello sviluppo dei mercati. L’economia liberale prospera grazie alla fiducia in un futuro migliore, dove il bene supremo della ricchezza continuerà ad aumentare; senza quella fiducia, l’economia si blocca, si finisce in recessione e si diventa tutti più poveri. Questo principio della fiducia, già a partire dall’Era Moderna aveva dato il via al sistema del credito, vero propulsore della Rivoluzione industriale. La disponibilità di credito fece nascere imprenditori che con le loro aziende generarono profitti. Aumentando così la crescita economica, crebbe anche la fiducia nel futuro, attirando la disponibilità di nuovo credito; questo generò nuovo sviluppo e dunque nuova ricchezza. Come aveva previsto l’economista scozzese Adam Smith (1723-1790), fondatore dell’Economia classica, il meccanismo capitalista funzionò. Sino agli anni Settanta del Novecento, il modello liberale prevalente prevedeva comunque un certo controllo degli Stati nei processi economici, per “temperare” gli eccessi dei mercati. Poi la politica mondiale iniziò a cambiare rotta, prima con l’elezione di Margaret Thatcher a primo ministro della Gran Bretagna (1979), poi da quella di Ronald Reagan a presidente degli Stati U...
Indice dei contenuti
- Premessa
- Prima parte. Il pianeta ammalato
- Seconda parte. Verso un mondo migliore