
- 170 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
I cambiamenti indotti nell'economia e nella società dallo sviluppo delle tecnologie di comunicazione e dalla globalizzazione finanziaria hanno stravolto la tradizionale concezione della politica. Diventa quindi fondamentale analizzare le ragioni di questa profonda crisi – fortemente radicata nel nostro paese e non solo – e dei fallimenti fin qui compiuti nel tentativo di rovesciarla. Su questa base, tenendo conto dell'evoluzione delle diverse classi sociali e del loro atteggiamento verso la politica, occorre individuare nel rapporto dialettico tra partecipazione democratica e organizzazione politica l'unica strada per rinnovare la democrazia rappresentativa e ricostruire un progetto politico di liberazione, uguaglianza e solidarietà.
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Informazioni
Parte i
La politica e la nuova era
Capitolo i
La nuova era
Questo capitolo prova a disegnare per grandi linee le trasformazioni indotte dalla nuova era a livello mondiale, così come quello successivo tratta dell’impatto di tali trasformazioni sul nostro Paese. L’intenzione non è quella di fornire una illustrazione approfondita e esaustiva di tali trasformazioni, all’altezza di quelle contenute in altri testi ben più complessi, ma solo quella di evidenziare nel contesto generale alcuni passaggi-chiave sui quali fondare le argomentazioni sviluppate nei capitoli che seguono.
1. Con l’anno 2000 siamo entrati in un nuovo millennio. Non è solo un evento simbolico, che pure ha la sua importanza nella psiche collettiva. Mille e non più mille! Il passaggio del millennio è avvenuto insieme a cambiamenti di portata immensa, tali da aprire una nuova era nella storia dell’umanità. Questi cambiamenti sono riassunti, nella cultura e nell’opinione pubblica mondiale, dalla parola “globalizzazione” e stanno avendo un fortissimo impatto sulle forme e sui contenuti della politica, come si erano consolidati nella seconda metà del secolo scorso.
Il cambiamento più evidente è lo straordinario sviluppo dell’ICT, ovvero delle tecnologie informatiche e della comunicazione, che si è intrecciato con i processi della globalizzazione. L’espansione della capacità di acquisire informazioni, di trasmetterle, di collegarle, di elaborarle rappresenta una svolta paragonabile all’invenzione della scrittura o a quella della stampa, come tappe dell’evoluzione nella gestione delle informazioni da parte dell’umanità. L’altro paragone, considerando l’impatto che lo sviluppo dell’ICT ha avuto sull’economia e sulla società, può esser fatto con la prima rivoluzione industriale. Non sono paragoni azzardati. Va considerato, infatti, che lo sviluppo delle tecnologie informatiche cresce su se stesso, a velocità a sua volta crescente; inoltre, attraverso le sue applicazioni, genera lo sviluppo di altre tecnologie, dalla bioingegneria alle nanotecnologie; apre, infine, immense possibilità a tutte le scienze con l’espansione della capacità di gestire dati, informazioni, immagini relative a qualunque prodotto dell’ingegno umano o a qualunque evento naturale. Soprattutto, lo sviluppo dell’ICT ha accelerato e orientato i processi della globalizzazione, che possono rappresentarsi con l’immagine dei “flussi” di elementi che attraversano i “luoghi” della geografia. Flussi di merci, di persone, ma soprattutto flussi immateriali di informazioni, comunicazioni, dati, e in particolare di valori economici. E è il web la dimensione dove questi flussi immateriali scorrono e si moltiplicano, fino a sconvolgere, insieme agli altri, gli assetti del mondo.
V’è tuttavia una diffusa sottovalutazione della profondità di questo mutamento, per diverse ragioni. È immateriale, svolgendosi sul piano della conoscenza e dell’informazione, mentre il panorama visibile intorno a noi resta più o meno lo stesso. La stessa velocità dei cambiamenti ne rende difficile la misurazione rispetto al passato, recente e meno recente. Infine, v’è la tendenza naturale della mente a restare nei binari consolidati dell’esperienza, tendenza che produce il rifiuto o la sottovalutazione del nuovo. Di qui, una frattura tra generazioni più forte che nel passato, perché è molto più ampia la distanza tra la situazione in cui i più anziani hanno strutturato la propria esperienza del mondo e quella attuale, in cui i giovani vanno maturando la loro.
2. Nella sfera dell’economia si vanno realizzando i cambiamenti più profondi, che condizionano e interagiscono con gli altri processi in atto. L’economia è stata investita dallo sviluppo dell’ICT nel pieno di una lunga fase di svolte e mutamenti convulsi, dovuti sia a tendenze e a reazioni endogene sia all’azione più o meno consapevole dei suoi centri di comando. Non è questa la sede per esaminare in dettaglio il susseguirsi delle vicende del sistema finanziario mondiale, dal superamento dei cambi fissi tra le monete nel 1971 fino alla crisi attuale, che dura dal 2008. Vanno ricordate, tuttavia, le caratteristiche essenziali di questo sistema, per come si sono configurate fino alla situazione in atto.
L’immane sviluppo del capitale finanziario è stato generato da una serie di scelte in senso neoliberista. Dopo la forte detassazione dei grandi redditi, che ha reso disponibili grandi quantità di denaro, la liberalizzazione dei movimenti di capitale al di là delle frontiere nazionali operata da Reagan, dalla Thatcher e anche da Mitterrand all’inizio degli anni Ottanta, ha ingigantito le possibilità di speculazioni su titoli, debiti, monete. Anche perché questa liberalizzazione si è congiunta all’espansione del mercato globale, in particolare finanziario, nei paesi ex comunisti, a cominciare dalla Cina, e nei grandi paesi dell’ex Terzo mondo, come l’India o il Brasile.
La liberalizzazione delle attività bancarie, con l’abolizione della legge Glass Steagall sulla separazione tra banche d’affari e banche commerciali (Clinton 1999) e l’allentamento generale dei vincoli sul rapporto tra attività e riserve ha moltiplicato il volume di affari delle grandi banche e gli effetti della leva finanziaria, coi relativi rischi di insolvenza.
L’innovazione finanziaria ha portato lo sviluppo dei fondi globali, e soprattutto di nuovi prodotti come derivati, futures, bond, subprime, etc., ovvero di titoli consistenti in assicurazioni o scommesse sull’andamento di altri titoli, o dei cambi, o di altre grandezze aventi incidenza sui mercati, portando a una crescita esponenziale dei valori del capitale finanziario mondiale. Il valore della ricchezza finanziaria globale supera ormai ampiamente un milione di miliardi di dollari. Nel 2013 era di circa 993.000 miliardi, ovvero 13 volte il PIL mondiale; nei dieci anni precedenti il PIL si era raddoppiato, mentre l’altra grandezza si era triplicata.
Contemporaneamente si è dilatata la massa dei debiti, pubblici e privati, fino a raggiungere il medesimo ordine di grandezza. Nel 2015 si è stimato che l’ammontare di tutti i debiti nel mondo raggiungesse la cifra di 200.000 miliardi di dollari1. È molto cresciuta anche la liquidità, ovvero la disponibilità immediata di valori monetari, fino a raggiungere, in tutto il mondo, la ragguardevole cifra di 54.000 miliardi di dollari. Attualmente assistiamo al forte sviluppo delle monete “virtuali”, come i bitcoin, spendibili solo sulla rete, per decine di miliardi di dollari.
Questa metastasi di liquidità, debiti, titoli, valori virtuali e reali ha condotto alla crisi del 2008, originata dallo scoppiare di “bolle” immobiliari. In USA, ma anche in Gran Bretagna, Spagna e Irlanda, le banche hanno concesso grandi quantità di mutui per l’acquisto di case a famiglie con redditi inadeguati, dunque mutui a rischio, impacchettati in titoli (i subprime) altrettanto a rischio, immessi nel mercato finanziario. Di fronte al dilagare delle insolvenze il valore di questi titoli, e dei conseguenti “derivati”, è precipitato causando dissesti a catena di società finanziarie e banche, e di imprese affidatesi al credito di queste. I governi sono intervenuti per salvare banche, società e imprese indebitate, socializzando le perdite di queste per migliaia di miliardi, così sottratti agli investimenti produttivi, ai servizi pubblici, al welfare.
In tal modo, all’euforia degli anni precedenti è seguita una fase di depressione che dura tuttora. Perché i redditi da capitale, insieme a buona parte dei debiti privati, continuano a essere investiti nelle speculazioni finanziarie, parzialmente coperte dall’azione degli Stati e delle entità internazionali come il FMI, la Banca mondiale, l’UE. Così questi redditi continuano a moltiplicarsi, come dimostra l’andamento delle Borse, ma l’eccesso di debiti mantiene una situazione di rischi seri, una incertezza di fondo e perciò il ristagno di risorse nella liquidità.
C’è chi ha parlato di una mutazione genetica del capitale finanziario. Di certo è radicalmente cambiato il rapporto tra il capitale finanziario “astratto”, accumulato, scambiato e gestito sul mercato finanziario globale, e il capitale investito nella produzione di beni e servizi. Non è solo un fenomeno quantitativo: il capitale finanziario astratto ha allentato i legami col capitale investito, si è reso autonomo e infine dominante rispetto a questo. Da molto tempo il capitale investito nelle imprese si è evoluto da “fattore” della produzione a fine ultimo dell’attività d’impresa, nel senso che la valorizzazione dei titoli finanziari è divenuta più importante della stessa creazione di profitto. Con l’avvento della finanza globale si è realizzato un ulteriore allontanamento del capitale finanziario dalla produzione materiale di beni e servizi, perché la quasi totalità di questo è trattata, scambiata e valorizzata secondo logiche diverse e distanti da quelle dei titoli finanziari direttamente impegnati nelle attività d’impresa. L’impresa, a sua volta, si è trasformata in un portafoglio di attività focalizzato più sulle attività riguardanti la finanza che su quelle produttive.
Tutte queste trasformazioni hanno avuto il supporto decisivo dell’ICT. Il web è la dimensione dove si svolgono tutte le operazioni e transazioni finanziarie, e in particolare quelle dei mercati finanziari globali, che muovono da un capo all’altro del mondo migliaia di miliardi di dollari al giorno. Oltre a ciò, lo sviluppo dell’ICT ha avuto e continua ad avere un fortissimo impatto sull’economia reale, ovvero sulla produzione di beni e servizi, sia perché ha radicalmente trasformato i processi di produzione, dalle banche dati nei servizi ai robot nell’industria, sia perché ha generato nuovi prodotti e nuovi mercati, dagli smartphone alle vendite on line. Il che ha comportato la nascita di nuove imprese, anche gigantesche come i colossi dell’informatica, la trasformazione e la crescita di molte di quelle esistenti, la morte di molte altre, e comunque anche per questa via un forte aumento del capitale finanziario.
In ogni caso la base sulla quale si sviluppa il castello di carte della finanza globale resta quella impegnata nelle attività produttive, che è obbligata a espandersi per le sue logiche intrinseche, ovvero – in sostanza – la necessità di contrastare la caduta tendenziale del saggio di profitto. Necessità che, approfittando anche delle possibilità aperte dalle nuove tecnologie, ha portato a una generale disarticolazione dei processi produttivi prima allocati in singole aziende, tra più aziende o soggetti anche molto distanti dall’azienda madre. Questa espansione si è realizzata e si è avvalsa della globalizzazione per abbattere le ultime barriere interne e esterne alla piena affermazione delle sue logiche. Così il modello di sviluppo economico e di vita sociale affermatosi nei paesi occidentali s’è esteso alle altre aree del mondo, ricoprendolo per intero.
I collegamenti tra capitale finanziario e capitale impegnato nelle attività produttive vengono fuori con dolorosa evidenza nelle ricorrenti situazioni di crisi. I mercati della finanza globale tendono all’anarchia per il grande numero di attori in campo, la grande varietà dei prodotti, la diversità delle logiche di valorizzazione dei medesimi. Le banche si trovano al centro del vortice, perché comunque costrette a equilibri tra depositi, patrimoni, garanzie e prestiti che l’anarchia del mercato rende precari. Le istituzioni internazionali, dal FMI al WTO all’Unione Europea, supportano gli equilibri e gli sviluppi dei mercati globali regolando in tal senso le politiche degli Stati nazionali. Gli Stati nazionali gestiscono grandi quantità di valori finanziari e regolano i mercati interni secondo le indicazioni delle istituzioni internazionali, oltre a intervenire direttamente nelle crisi peggiori, salvando banche e imprese con denaro pubblico.
Sull’economia reale, così, si scaricano i costi della regolazione del mercato finanziario mondiale e delle sue crisi. Questi costi si aggiungono alle serie difficoltà generate dal compimento della globalizzazione, ovvero dell’espansione dell’economia capitalista in quasi tutte le aree del globo. Questa espansione, che negli ultimi tre decenni aveva generato crescita e sviluppo, almeno in termini quantitativi, sta incontrando i suoi limiti nella geografia del pianeta. E un capitalismo che non cresce non sta in equilibro, neppure con la “distruzione creatrice” delle guerre e delle catastrofi ambientali, preziose opportunità di investimento per le industrie degli armamenti e delle ricostruzioni. Infine, l’economia reale paga il prezzo della compressione dei mercati interni, indotta sia dalla riduzione degli occupati sia dalla riduzione delle retribuzioni. La carenza di investimenti pubblici e privati nelle attività produttive e nei servizi, insieme alla compressione dei redditi reali, mantiene l’economia nella depressione, al di là degli andamenti delle borse e delle “ripresine” cicliche come quella in atto.
In questo modo, mentre il mercato finanziario globale vede crescere, al di là delle crisi ricorrenti, la curva del valore complessivo dei titoli in gioco, dal 2008 l’economia reale si trova in una stagnazione duratura, più grave di quella seguita alla grande crisi del 1929 e della quale non si intravvede la fine. Né, al riguardo, danno speranze le controtendenze emerse di recente nei confronti dei processi di globalizzazione dell’economia, come i protezionismi, la Brexit, le tentazioni di uscita dall’euro, il rilancio della concorrenza tra gli Stati, perché prefigurano una situazione di anarchia ancora maggiore, comunque gestita dai centri di comando esistenti, e non certo un modello di governo alternativo delle economie del mondo.
3. L’economia globale, dominata dal capitale finanziario e potenziata pervasivamente dalle nuove tecnologie, ha cambiato e continua a cambiare la società e la vita delle persone, in tutto il mondo. Non allo stesso modo: in primo luogo aumentano le disuguaglianze, non solo di reddito, ma di qualità e modalità di vita. Si va ampliando, infatti, una fortissima divaricazione tra le élite che cavalcano i processi di glob...
Indice dei contenuti
- La politica e la nuova era
- Rapporto tra partecipazione, partiti, istituzioni