La grande rimozione
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Il '68-77: frammenti di una storia impossibile

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La grande rimozione

Il '68-77: frammenti di una storia impossibile

Informazioni su questo libro

Il '68-77 ("decennio rosso") non è stato affatto quello che hanno raccontato le ricostruzioni giornalistiche e televisive: una simpatica lotta per la libertà sessuale e per i diritti civili oppure, al contrario, la preparazione del terrorismo di sinistra. Il Movimento è stato invece un tentativo, per quanto politicamente primitivo e insufficiente, di riproporre il problema della rivoluzione in Occidente. Né più né meno. A partire dalla riflessione sulla novità teorica di quel ciclo di lotte (il concetto di "movimento politico di massa"), il libro ricostruisce la vitale realtà di un decennio di lotte che hanno fecondato e arricchito la democrazia italiana e si interroga in particolare sulle ragioni della sconfitta del movimento del '77, «una sconfitta che si poteva e doveva evitare». Il movimento – diffuso e duraturo, com- plesso e ricco di potenzialità di decine di migliaia di compagni – è stato ieri represso così come oggi è fatto oggetto di una inaccettabile cancellazione: "la grande rimozione".

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Informazioni

Editore
Bordeaux
Anno
2018
Print ISBN
9788899641641
eBook ISBN
9788899641832
Argomento
Storia
prima parte : Questo libro impossibile
Se una generazione deve saperlo è la nostra:
ciò che possiamo attenderci dai posteri
non è la gratitudine per le nostre imprese,
bensì che vi sia memoria di noi
che siamo stati battuti.
Walter Benjamin
Per cominciare: Millennium ha torto
Raramente il peggiore incubo si realizza con tanta precisione. Parlo in questo caso della storia del ’68 e del numero che le dedica Millennium (a. i, n. 6, ottobre 2017) battendo sul tempo tutti, ma dunque anche – probabilmente – segnando una direzione, un clima, un precedente destinato a non restare isolato.
Nella presentazione del numero, il direttore Peter Gomez confessa francamente di non sapere nulla del ’68, per motivi di età, e soprattutto rivendica di essere ispirato da Indro Montanelli con cui lavorò al Giornale. Ricordiamo a chi non l’avesse conosciuto chi era costui: già fascista, razzista e colonialista, sempre reazionario, Indro Montanelli fu uno dei megafoni giornalistici della “strategia della tensione” a Milano; con i soldi di Berlusconi e Co. si separò dal Corriere della Sera diretto da Piero Ottone da lui considerato troppo di sinistra e fondò il Giornale, detto “di Montanelli” ma in realtà di Berlusconi (che infatti lo fece fuori senza complimenti quando si manifestarono dissensi fra i due).
Il giudizio di Montanelli sul ’68, citato dall’allievo Gomez, è che quell’anno avesse solo condotto “alla nascita di una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando ovunque i segni della loro ignoranza”1. L’analisi del vecchio reazionario viene considerata da Gomez “cruda, ma certamente realistica, se si esaminano le carriere successive di molti leader e leaderini del Movimento studentesco, poi diventati membri permanenti del nostro pessimo establishment”2.
Gran parte del numero è su questa linea interpretativa: non è bastato loro sconfiggere, calpestare, massacrare il ’68, ora debbono anche dire che il ’68 è stato ed è al potere, anzi rappresenta il peggiore establishment. Insomma: cornuti e mazziati.
Così Massimo Fini: “[...] del Sessantotto e della sua rivoluzione di cartapesta e di spranga ci siamo liberati. Dei ‘sessantottini’ no. Sia pur invecchiati formano una potente framassoneria, trasversale alla destra e alla sinistra, soprattutto nei media e nella politica, che si autotutela e sbarra il passaggio agli altri”3. Ora, io penso che la verità sia esattamente il contrario di questa tesi.
È una tesi del tutto falsa, e io sento qui il dovere di difendere la mia generazione da questa calunnia4. Lo straordinario successo sociale dei “sessantottini” e il loro essersi venduti è solo una menzogna invidiosa diffusa dal potere a proposito del movimento, una menzogna da smentire.
Non è saggio guardare l’albero e rifiutarsi di guardare la foresta: due o cinque o dieci ex sessantottini venduti (non è elegante fare nomi qui) non possono occultare la scelta della stragrande maggioranza di noi, che è stata di solito una scelta di straordinaria coerenza, in un paese in cui qualsiasi coerenza (e tanto più se di opposizione) si paga a carissimo prezzo.
È talmente radicale e profondo il dissenso politico con questa interpretazione, che può apparire marginale (oltre che personalmente sgradevole e vagamente saccente) far notare il difetto, diciamo così, documentario e filologico che sostiene questa ricostruzione. Anzitutto, cosa intende Millennium per “sessantottini”? È chiaro che se si intendono semplicemente tutti coloro che sono nati grosso modo negli anni Quaranta, che sono andati a qualche assemblea o che hanno partecipato a qualche corteo, beh, allora è pressoché inevitabile considerare che alcuni di questa immensa platea siano stati esponenti del potere; ma una simile interpretazione sarebbe evidentemente falsa, e il ’68 e i “sessantottini” sono stati e sono (se ne converrà) una cosa assai più ridotta, e soprattutto ben diversa, da quell’insieme troppo largo e sconfinato.
Eppure fra le venti figurine a colori di Millennium intitolate “Album 1968”5 figurano personaggi che col ’68 veramente c’entrano come i cavoli a merenda (oppure c’entrano solo perché osteggiarono il movimento in ogni modo).
Faccio solo alcuni esempi. C’è Massimo D’Alema, descritto così: “Roma, 20/4/1949. Pci, in piazza col Movimento. Poi presidente del Consiglio”; ma che c’entra D’Alema col ’68? Studiava a Pisa, è vero, ma era già un dirigente della Fgci e – in quanto tale – era esterno e sostanzialmente ostile al movimento (il che non gli impediva, ovviamente, di partecipare ai cortei). E c’è anche Giuliano Ferrara, con questa didascalia: “Roma, 7/1/1952. Pci, in piazza a Valle Giulia. Poi fondatore del Foglio”; lasciamo perdere che Ferrara ha fatto anche di peggio che fondare il Foglio, ma aver partecipato, da studente medio sedicenne al corteo di Valle Giulia del primo marzo 1968 fa di Ferrara un esponente del movimento? Mi sia permesso, da assiduo militante del movimento studentesco romano, di smentire risolutamente questa bugia: no, Ferrara nel movimento non c’era proprio. E la figurina di Fabrizio Cicchitto che ci azzecca? Questa la (delirante) didascalia: “Roma 26/10/1940. Trotskista. Poi Psi, P2, Fi, oggi alfaniano”. Di nuovo: Cicchitto (al tempo – se non ricordo male – dirigente della Federazione Giovanile Socialista) col ’68 non c’entrò mai nulla. Perché allora Millennium mette la sua figurina sul conto del ’68? Analogo discorso si potrebbe fare per Nanni Moretti (nato il 19/8/1953 che dunque nel 1968 aveva quattordici anni) o per Bernardo Bertolucci (“In corteo a Valle Giulia. Regista”). Il caso di Paolo Mieli (didascalia: “Fgci e Potere operaio. Editorialista Corriere della Sera”) meriterebbe un discorso a parte, perché resta tutto da discutere quanto egli abbia portato il movimento nel potere mediatico del Paese o al contrario, in quanto redattore dell’Espresso fin da giovanissimo e membro più o meno “in sonno” del gruppo Potere operaio, non abbia portato invece lo sguardo del potere nel movimento.
Da militante del movimento romano mi limito comunque a citare (e smentire) fra i venti figurinati di Millennium solo quelli di cui posso fornire personale testimonianza, ma è probabile che analoga marginalità, o estraneità, possa caratterizzare altre figurine non romane. L’unica vera vergogna del movimento romano (lo riconosco francamente) è in effetti l’ex “uccello” e poi berlusconiano Paolo Liguori, un ex compagno passato dall’altra parte. Ma il grosso – diciamo così – fatto di migliaia o forse di decine di migliaia di compagni, non passò affatto dall’altra parte, e soprattutto nel complesso nessuno di noi arrivò mai a nessun potere.
Al contrario di quanto sostiene Millennium non c’è praticamente nessun uomo e nessuna donna del ’68 al potere, che abbia esercitato o eserciti il potere “vero”: non un ministro o un uomo politico6, non un grande industriale o banchiere, non un dirigente sindacale nazionale, non un direttore di giornale, non un pezzo grosso della magistratura, neppure – direi – un professionista di grande successo7, non un leader d’opinione televisivo8; nell’università e in generale nella scuola sarebbe stato impossibile che non finissero compagni del ’68, non foss’altro perché costoro erano spesso quelli che studiavano di più ed erano più appassionati alla ricerca e all’insegnamento di altri9, ma anche nell’università non conosco nessun rettore che provenga dal ’68.
Credo che in altri paesi la ...

Indice dei contenuti

  1. Prima parte : Questo libro impossibile
  2. Seconda parte: Il movimento
  3. Terza parte: Il ’77 e i perché di una sconfitta
  4. Quarta parte: Come stranieri in patria
  5. Quinta parte: Post-fazioni?
  6. Indice dei nomi
  7. Bibliografia minima