Prefazione
di Mons. Mario Toso
Il volume La vita prima del debito, curato da vari autori, ha senz’altro il merito di recuperare la riflessione su una questione che sta molto a cuore alla dottrina sociale della Chiesa: il debito estero. Con questa breve prefazione non si intende considerare direttamente i singoli contenuti del testo a più mani, quanto piuttosto richiamare alcuni elementi dell’insegnamento sociale.
Già nel 1986, nel documento intitolato Al servizio della comunità umana: un approccio etico al debito internazionale del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, si riconosceva che i livelli del debito dei Paesi in via di sviluppo costituivano, «a causa delle sue conseguenze sociali, economiche e politiche, un problema grave, complesso e urgente». La crisi economica e finanziaria internazionale che stiamo attraversando in questi anni ha reso ancora più gravi le conseguenze del debito estero e più urgente la necessità di assumersi solidalmente le responsabilità dell’avvenire. Se l’attuale congiuntura ha reso più grave la situazione dei Paesi in via di sviluppo al punto che alcuni di essi si trovano sprovvisti di mezzi per assicurare il pagamento dei loro debiti, le strutture finanziarie e monetarie internazionali sono esse stesse messe in discussione.
Nelle Riflessioni Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale, edita nel 2011, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha offerto il proprio contributo non solo ai responsabili della Terra, ma a tutti gli uomini di buona volontà, invitando ciascuno, di fronte alle conseguenze della crisi economica e finanziaria mondiale, a un profondo discernimento dei princìpi e dei valori culturali e morali che sono alla base della convivenza sociale. La crisi impegna particolarmente gli operatori privati e le autorità pubbliche competenti a livello nazionale, regionale e internazionale a una seria riflessione sulle cause e sulle soluzioni di natura politica, economica e tecnica. La crisi, ha scritto Benedetto XVI, «ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente».
Ebbene, il presente volume esprime lo sforzo che uomini e donne di buona volontà compiono nel difficile cammino del superamento della perversa esposizione debitoria di molti Stati e ora anche di parte dell’Europa e dell’Italia.
Come si è arrivati a tanto? Quali cambiamenti nei comportamenti e nelle istituzioni permetteranno di stabilire delle relazioni eque tra creditori e debitori, e di evitare che la crisi si prolunghi diventando più pericolosa? Partecipe di queste gravi inquietudini, la Chiesa ricorda e precisa i princìpi di giustizia e di solidarietà che aiuteranno a trovare vie efficaci di soluzione. Nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa si afferma che «il diritto allo sviluppo deve essere tenuto presente nelle questioni legate alla crisi debitoria di molti Paesi poveri» (cdsc 450). Tale crisi ha la sua origine in cause complesse e di vario genere, sia di carattere internazionale – fluttuazione dei cambi, speculazioni finanziarie, neocolonialismo economico, decisioni politiche che hanno soppresso la demarcazione tra banche commerciali e banche di speculazione –, sia all’interno dei singoli Paesi indebitati – corruzione, cattiva gestione del denaro pubblico, distorta utilizzazione dei prestiti ricevuti. Le sofferenze maggiori, riconducibili a questioni strutturali ma anche a comportamenti e responsabilità personali, colpiscono le popolazioni dei Paesi indebitati e poveri. La comunità internazionale non può trascurare una simile situazione: occorre adoperarsi affinché non sia compromesso il «fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza e al progresso». Strettamente legata alla questione del debito è quella della povertà e della crisi ambientale. Per cui, sempre il Compendio, commenta: «Si tenga presente, inoltre, la situazione dei Paesi penalizzati dalle regole di un commercio internazionale non equo, nei quali permane una scarsità di capitali spesso aggravata dall’onere del debito estero: in questi casi la fame e la povertà rendono quasi inevitabile uno sfruttamento intensivo ed eccessivo dell’ambiente» (cdsc 482).
Nella Lettera Enciclica Caritas in Veritate (civ), cinque anni or sono, Benedetto XVI riproponeva alcuni princìpi cardine della dottrina sociale della Chiesa, mettendoli in relazione alla situazione economico-sociale attuale. Nell’Enciclica si afferma chiaramente che ogni attività economica ha una sua imprescindibile connotazione morale che interroga la coscienza di chi prende decisioni e stabilisce leggi e regolamenti nel campo economico (Cfr. civ 37). L’iniziativa individuale va, dunque, sempre inquadrata sullo sfondo del bene comune; la giustizia commutativa va integrata con la giustizia distributiva; la finanza deve porsi come obiettivo lo sviluppo economico e non può porsi in contrasto con le norme basilari dell’etica sociale.
«Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d’acquisto»: con queste parole Papa Francesco, nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (eg), affronta il tema del debito estero nel contesto del «No alla nuova idolatria del denaro» (eg 55-56). Il primato dell’economia e della finanza sulle persone e sulle società costituisce infatti un’idolatria, che ha generato e può generare la «dittatura di un’economia senza volto e senza uno scopo veramente umano». Una corretta visione dell’economia e della finanza non può accompagnarsi con quelle ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria senza limiti; e nemmeno con quelle scuole di pensiero che negano il diritto di controllo degli Stati, i quali invece hanno il compito di vigilare, controllare e favorire, accanto agli altri soggetti sociali, il loro orientamento al servizio del bene comune.
Nel presente volume emerge con chiarezza che la proposta del «Giubileo del Debito», come passaggio da un’economia della proprietà ad un’economia della custodia, si colloca naturalmente dentro ciò che si può definire «l’utopia democratica» di Papa Francesco. Questa, secondo il pontefice argentino, inizia a prendere forma ogni volta che dalla stessa crisi della democrazia, che è un’opportunità per ripensarla e rigenerarla, emergono direzioni di una sua possibile soluzione. Più precisamente, l’utopia politica di Bergoglio consiste in un progetto politico di democrazia «ad alta intensità». Ossia una democrazia sostanziale, partecipativa e sociale. Secondo termini maritainiani, non estranei al linguaggio della dottrina o Insegnamento sociale della Chiesa, tale utopia potrebbe essere considerata un ideale storico concreto. L’utopia democratica di papa Francesco non viene ricavata da un pensiero asettico o da una riflessione che viene dal cielo. Si può considerare espressione della tensione morale di un popolo, comunitariamente e storicamente incamminato verso il bene comune, verso il proprio compimento umano. È connessa con il telos umano, ossia con quella pienezza di desiderio del bene che è presente nel cuore umano perché postavi da Dio. Ne costituisce un’articolazione e una specificazione con riferimento alla dimensione politica dell’esistenza umana. Rappresenta il traguardo verso cui correre, superando il limite, ossia ogni condizionamento o contingenza che da una parte ce ne priva e dall’altra ce lo fa desiderare. La direttrice non può essere quella di una crescita purchessia, senza lavoro e progresso sociale per ogni abitante della Terra, senza democrazia. La crescita dev’essere qualitativa, sostenibile, inclusiva, solidale, partecipata. Ne è premessa necessaria il superamento di una politica populista e oligarchica, l’organizzazione di un’economia sociale, che presuppone sì, il libero mercato, ma lo regolamenta, lo incrementa secondo la logica del dono, in vista della realizzazione del bene comune.
Mons. Mario Toso
Segretario del Pontificio Consiglio
della Giustizia e della Pace
Introduzione
di Antonio De Lellis
Questo lavoro rappresenta un tentativo di mettere assieme chi si occupa di crisi economica, sia in Italia che all’estero, a livello di movimenti sociali e di movimenti ecclesiali, nella certezza che la cultura economica è tale solo se è effetto di una contaminazione che produce connessioni e interconnessioni. Per questo motivo si sono scelti autori che hanno accettato la sfida della contaminazione e che sono anche disposti ad investire il loro sapere per risolvere uno dei problemi più gravi del nostro tempo. È anche il tentativo di mettere insieme due mondi che però hanno iniziato a dialogare anche e soprattutto in occasione della campagna referendaria per l’acqua bene comune e che ancor oggi, grazie all’amicizia personale, che è il vero spazio di trasformazione sociale, restano insieme. Ma forse quello che sta più a cuore è rimettere in moto una riflessione in ambito cristiano su tematiche sociali con obiettivi di lungo termine superando un presente schiacciato da enormi pesi, perché il rancore e la nostalgia per un mondo che non tornerà più non si trasformi in prostrazione, ma in speranza, la quale ha il volto di chi fa più fatica.
Da troppo tempo la nostra irrilevanza, come cristiani, e in alcuni casi il nostro silenzio ha permesso, concesso o non ostacolato l’avanzata di «un sistema economico che uccide». Nulla ha più lo stesso valore, lo stesso senso. In nome dell’azzardo finanziario che ha amplificato la crisi economica del consumismo, coloro che l’hanno provocata, hanno ridotto i diritti fondamentali, attaccato le costituzioni degli Stati, ridotto in schiavitù intere popolazioni attraverso privatizzazioni, attacco ai territori, sistemi di indebitamento con logiche da usura internazionale. Come possiamo tacere? Come possiamo essere insensibili al grido di dolore degli impoveriti, al tintinnio di catene che proviene da diverse parti del pianeta?
«Ogni volta che tentiamo di parlare dei poveri ci troviamo schierati da una parte politica, perché? La difesa delle categorie più povere e più dipendenti è stata infatti assunta dalle “sinistre”, in particolare dal socialismo nelle sue varie articolazioni fino alle esasperazioni del comunismo, il quale, anche per reagire all’alleanza delle Chiese prima con la nobiltà poi con la borghesia, s’è proclamato “materialista e ateo”. È stato facile allora sia per le classi più agiate difendere i propri privilegi ergendosi a difesa della Chiesa e della spiritualità, sia per la stessa Chiesa schierarsi con chi ostentava di difenderla, senza indagare quali fossero in realtà le reali intenzioni dei difensori e quali i loro metodi di “difesa”. Le Chiese si sono così trovate alleate delle dittature militari più opportuniste e più dure, e sono state indotte al silenzio di fronte a ferocie sistematiche operate contro gli avversari e giustificate dal definirli sovversivi e atei. In America Latina solo molto tardi episcopati nazionali ha...