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Informazioni su questo libro
Nel pieno dell'epidemia di colera che travolge Roma tra il 1835 e il 1836, Giuseppe Gioachino Belli scrive 35 sonetti e li riunisce sotto il provocatorio titolo di "Er còllera mòribbus". È l'affresco di un'intera epoca, quella del grande contagio che – come nel 2020 – coinvolse migliaia di persone in tutta Europa, e non solo. In questi scritti il Belli forgia un vero e proprio specchio del popolo del suo tempo: paure, superstizioni, santoni e untori si riflettono in quei versi che sembrano fioriti direttamente dal cuore del popolo romano. Raul Mordenti è tornato durante il lockdown al "Còllera mòribbus" e ha scoperto che, a quasi due secoli di distanza, funziona ancora come lente ideale per rileggere gli atteggiamenti di Confindustria, le dichiarazioni dei governatori di Regione, i moniti degli "esperti" e le soluzioni dei politici messi davanti a un male imprevisto, e sconosciuto.
Domande frequenti
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Informazioni
Indice dei contenuti
- La pestilenza come rivelazione e specchio
- Cosa vediamo nello specchio del contagio. La “ritornata ferocia”
- La pazzia collettiva e i due versanti della superstizione
- Eppure il contagio c’è, e uccide
- La nostra società nello specchio del Covid
- La grande poesia di Belli come specchio
- Il negazionismo (ovvero: i don Ferrante del XXI secolo)
- L’ignoranza dei dotti
- Provvedimenti (che non provvedono) e rimedi (che non rimediano)
- La superstizione dei religiosi
- La ferocia dei potenti
- Come si esce dalla pestilenza e dai suoi effetti
- Riferimenti bibliografici