Chi è che rompe?
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Chi è che rompe?

Galateo digitale nell'era dei social

  1. 176 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Chi è che rompe?

Galateo digitale nell'era dei social

Informazioni su questo libro

Quando si risponde al telefono, il gesto tipico dell'italiano al cellulare è quello di guardare il display con un'espressione tra il disgustato e lo scocciato: «Chi mi disturba?».
Per arginare il fiume di notifiche che ci arrivano spendiamo tempo per le contromisure: due numeri di telefono, profili personali e profili di lavoro, modi per silenziare quell'app o quel dispositivo.
A tavola si comunica con persone distanti, si vede cosa fanno altri a chilometri di lontananza e non ci si occupa di parlare con il vicino di piatto. In uno scompartimento sul treno urlare al telefono i propri risultati di esami medici non è decoroso, per noi e per gli altri.
Queste e altre simili situazioni sono dovute al fatto che non esiste una ancora ben definita educazione digitale: sempre più necessaria poi nella situazione che stiamo vivendo e che ci impegna tutti sulla Rete molto più di prima. Con ironia, semplicità e senza presunzione, in questo libro l'autore ci propone allora un galateo per Internet e questi tempi digitali.

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Vincere una guerra

...già persa
Ho un amico che ha smesso di organizzare le cene in famiglia. A malincuore, perché è una cosa che davvero gli dava soddisfazione: tra l’altro è molto bravo in cucina e quelle occasioni erano per questo anche molto desiderate dai suoi ospiti. «Ma una volta», mi dice, «si stava insieme, si parlava e ci si divertiva. L’altra sera invece io cucinavo e loro erano tutti con il proprio cellulare in mano a fare altro con altri. Comunicavano con persone distanti, vedevano cosa facevano altri a chilometri di lontananza da qui e non si occupavano di parlare o osservare cosa combinava il vicino di piatto». Allora il mio amico si è arrabbiato e ha detto: «Questa è l’ultima volta». Cucinare perché gli invitati si riducano a trascorrere la serata di compagnia e famiglia isolati nella propria campana digitale non gli va affatto a genio.
«Sempre con quel dannato smartphone in mano!» urla il padre ai figli in un’altra casa. Un attimo prima di prendere in mano a sua volta il proprio telefono e chiudersi nel suo guscio di notifiche. Gli adulti che hanno «fatto la guerra» ai giovani che vivevano dentro Facebook si sono poi impadroniti del posto dei loro ragazzi, migrati intanto altrove perché appunto il social è stato invaso da genitori, zii e nonni.
Si moltiplicano ovunque gli incontri dove si parla dei «pericoli della Rete». Mai nome fu più appropriato per designare il nuovo «mostro» contro cui scuotere la testa preoccupati, indignati e anche un poco sprezzanti verso le nuove generazioni che si fanno assorbire così tanto dalla vita digitale. Fa parte dell’umano contesto trovare un nemico comune contro cui coalizzarsi per sostenere il crollare dei tempi. Ma mai battaglia risulta in questo caso essere più inutile e controproducente.
Quando sono invitato nelle scuole a parlare di educazione e internet a genitori ed insegnanti metto subito questo punto fermo: se desiderate uno di quegli incontri che suonano la musica del «dove andremo a finire» avete sbagliato posto. E per voi, aggiungo, avete sbagliato libro.
Perché io amo la Rete. Amo tutte le sue possibilità e tutte le forme di relazione che mi offre. Credo che sia la scoperta più incredibile, dopo il cibo, il calore e la scrittura, della storia umana.
E non sono affatto d’accordo con chi vuole combattere Internet o vivere senza di essa. Rispetto costoro, ma li vedo come bimbi rassegnati davanti a un gioco che non sanno comprendere e che per questo buttano via. Io invece amo giocare, e farlo anche on line. Con lo stupore di un bambino, appunto, che è la sensazione che ancora tante volte la Rete mi regala.
E credo che il senso stia nel saper vivere con la connessione perpetua e la vita digitale che completa quella al di fuori dello schermo. Di saperla regolamentare con intelligenza, semplicità e fantasia per farla essere quello che deve: uno strumento meraviglioso per perfezionare la vita senza trasformarsi nel padrone della stessa.
E aggiungo che chi oggi ancora pensa che l’umanità un giorno si sveglierà da questa esperienza, considerandola una bolla, è un dinosauro che non si è accorto dell’estinzione della sua specie di pensiero. La strada della Rete è definitiva e sarà sempre più determinante nella nostra esistenza. E credo che questa notizia sia da accogliere con ottimismo, cominciando ad attrezzarci per usare tutto quello che ci servirà ad essere persone migliori anche grazie ad essa.
Imparare il galateo della rete ci impedirà di venirne risucchiati. Di trasformarci in mostri sputasentenze dietro una tastiera. Di perdere il gusto dell’incontro personale desiderato dopo quello on line. Di trascurare la nostra reputazione digitale e di lasciar calpestare le idee che ci sono care.
Anche la Chiesa ha compreso, a causa della pandemia, che la Rete non è per forza solo un rischio educativo da controllare ma è anche una risorsa da sviluppare in prima linea per una buona evangelizzazione. E che quella che sembrava solo un’opzione, prima del Coronavirus, ora ha marcato in maniera definitiva il suo confine facendo scoprire anche agli anziani, anche alla vecchina devota che accende il suo cero quotidiano ogni mattina, che la vita può diventare più facile e persino più bella, fosse solo per il gusto di riallacciare contatti persi o di poter vedere i suoi nipoti qualche volta in più seppur attraverso la mediazione di un monitor. Non si tratta insomma solo di… diavolerie da esorcizzare e tenere sott’occhio con sospetto e timidezza.
È sotto gli occhi di tutti che se durante il lockdown non ci fosse stata la Rete i danni della crisi si sarebbero moltiplicati per mille, mentre ogni pezza che si è riusciti a mettere all’ambiente lavorativo, scolastico e sociale — a partire dall’informazione — è passata attraverso le tecnologie di internet, con beneficio di molti.
Internet ha già vinto. Ritirarsi vuol dire solo che essa andrà avanti nonostante il nostro vuoto. E noi perderemo occasioni invece per trasformare la vittoria della Rete in una serie di opportunità per una nostra vita migliore.
Questo libro è dedicato al mio amico che non fa più cene con la sua famiglia: con la speranza che ritorni a invitare i suoi parenti con un bel post su qualche social e, una volta insieme, usi la domotica per creare un ambiente piacevole e divertente a tavola, dove messi allora sì via i display ci si guardi felici negli occhi, di persona, sempre connessi, sempre collegati, ma capaci di essere liberi.
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Chi è causa del suo mal...

...non dia il suo numero in giro
Cominciamo dalle telefonate. Da quelle che riceviamo. Dal fatto che ci poniamo nella condizione di poterle ricevere nel momento in cui acquistiamo una sim, la mettiamo dentro al telefono e diamo il nostro numero al mondo intero. Un mondo dove, prima o poi, uno dei suoi abitanti proverà a contattarci. E qui inizia la tipica sceneggiata all’italiana: «Chi è che rompe?». Di solito è una delle persone a cui abbiamo detto: «Ecco il mio numero, mi chiami quando vuole...». E scopriamo in fretta che «quando vuole» raramente coincide con quando vogliamo noi.
La protezione contro le chiamate inopportune che non vogliamo ricevere prevede alcuni accorgimenti.

1. Quando non vuoi ricevere telefonate spegni il telefono

È facile, semplice, sicuro. Ci sono momenti in cui si vuole riposare, si fanno cose davvero importanti: come stare con qualcuno che si ama; e non si vogliono scocciature. Lo cantava negli anni Sessanta già Adriano Celentano che... «il telefono è volato fuori giù dal quarto piano»... Ma lo abbiamo imparato poco, quel ritornello. Se abbiamo sempre il telefono dietro, saremo sempre rintracciabili. Esistono i momenti stop: saperli programmare è importante.
Non ricordo il momento in cui ho smesso di spegnere l’iPhone di notte. Ma so che nei primi tempi non era così. Perché si sapeva che dopo una certa ora non sarebbe più servito. Adesso ogni tanto mi trovo di notte a guardare se è arrivata la risposta a quel messaggio: non è la tecnologia a non funzionare e ad essere invadente, in questi casi. Non è da essa che mi devo proteggere: è da me stesso che devo farlo.
Programmare i momenti «non in linea», saperseli concedere è cosa buona, giusta, liberante e anche un po’ chic.

2. Abituare gli altri a quando contattarci

Quando comunico il mio numero di telefono a qualcuno specifico l’ora in cui sono disponibile. Che non solo vuol dire che risponderò, ma che avrò anche il tempo e la possibilità di seguire le richieste che mi verranno fatte e dare importanza alle comunicazioni che saranno trasmesse. Ricevere una telefonata e fare altre dieci cose nel frattempo è maleducato verso chi telefona, capace di distrarmi da ciò che sto facendo e irrispettoso anche per le persone che ho vicino in quel momento e che si vedono di fatto messe da parte. Ci sarà sempre qualcuno che non rispetterà le mie semplici indicazioni di contatto: ma in questo caso è solo suo il problema della telefonata che cade nel vuoto.

3. Dual sim se hai Android, due telefoni se hai Apple?

Avere due numeri di telefono, uno «pubblico» e uno privato, aiuta molto se si impara a gestirli bene. I dispositivi di oggi lo permettono: non solo per farci risparmiare con la tariffa più conveniente del momento (anche se ormai quasi tutti gli operatori propongono telefonate senza limiti), ma proprio per poterci offrire quella «doppia identità» che ci concede di spegnere una delle due linee lasciandoci ugualmente rintracciabili sull’altra, quella che usiamo per le nostre relazioni intime e familiari (un disastro se poi si cambia la fidanzata ma lei continuerà sempre a rintracciarci sul numero esclusivo che si condivideva con la mamma e la zia). Esistono anche servizi che ora offrono numeri virtuali (con prefisso da telefono fisso) e che tramite un’applicazione specifica permettono di chiamare e ricevere chiamate su una linea che attiviamo e condividiamo solo per le questioni di lavoro o di secondaria importanza e che possiamo mettere in pausa quando non desideriamo venire disturbati.

4. Viva la segreteria telefonica. O l’inoltro dei messaggi verso una mail o altro servizio di casella vocale

L’importante è che il messaggio ci venga consegnato nei tempi giusti: non è necessario essere sempre reperibili, basta essere sempre raggiungibili, almeno dai messaggi. Una segreteria ben gestita (con l’ovvia attenzione che la ascoltiamo davvero e quindi richiamiamo chi ci sottopone questioni importanti) è un’ottima alternativa al vivere con il telefono sempre in tasca per confermare la nostra disponibilità. Conosco alcuni professionisti che devono essere sempre disponibili che con questo sistema riescono ovunque sono — con la consegna via e‐mail del messaggio — e anche senza avere il telefonino dietro a dare risposte tempestive per le questioni importanti e a ricontattare subito chi ha davvero bisogno di loro.

5. Ricordarsi di respirare

Nessuno ci obbliga a rispondere. Quando non vogliamo, possiamo non farlo. Oggi gli operatori commerciali e altre persone che hanno ottenuto il nostro numero senza avercelo chiesto di persona si permettono di disturbare senza alcun ritegno. Io uso il semplice criterio che non rispondo mai se non è un numero che ho salvato nei miei contatti. E ho visto che con il tempo questo suggerisce alle persone di presentarsi prima con un messaggio in cui annunciano la loro chiamata o meglio ancora chiedono il permesso di farla. Chi telefona invade la vita di un altro: in pochi casi è importante e necessario, in meno ancora è anche piacevole. Rimane in tutti i casi il criterio che noi e solo noi possiamo permettere questa invasione. Altrimenti si mette giù, si toglie la suoneria o si lascia squillare e si canta la suoneria a squarciagola (io per questo metto sempre canzoni che adoro, così canto... e mi passa...). E tutto questo senza perdere la serenità: con professionalità e cortesia si tengono fuori tutte le scocciature.

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Menù
  3. Chi è che rompe?
  4. Dedica
  5. Epigrafe
  6. Introduzione. QUANDO DICO: «PRONTO!» Ma non lo sono affatto
  7. 1. VINCERE UNA GUERRA ...già persa
  8. 2. CHI È CAUSA DEL SUO MAL... ...non dia il suo numero in giro
  9. 3. SIAMO SOLO TU ED IO. E i dodici che ci ascoltano
  10. 4. TI POSSO DISTURBARE? Eh, guarda che lo stai già facendo
  11. 5. IL TELEFONO NO... ...non l'avevo desiderato
  12. 6. TELEFONO: il gioco del dove, come e quando
  13. 7. SCUSA, ERA IMPORTANTE. Più di te, ovviamente
  14. 8. MI SENTI? DIREI DI SÌ. E inoltre ti vedo
  15. 9. I MESSAGGI. Preistoria tecnologica
  16. 10. LA TEMPESTA DOPO LA QUIETE ...arriva WhatsApp
  17. 11. CARO AMICO TI SCRIVO ...così ti distraggo un po'
  18. 12. MESSAGGIAMI. E ti dirò chi sei
  19. 13. IL GRUPPO... ...di chi non sopporta i gruppi
  20. 14. C’È POSTA... ...elettronica... per te
  21. >15. NON FARLO... ...Mai!
  22. 16. FACEBO...OK! Parte prima
  23. 17. FACEBO...OK! Il ritorno dell'educazione
  24. 18. FACEBO...KO! L'anno in cui il gigante inciampò
  25. 19. INSTAGRAM. Il click del Narciso
  26. 20. TWITTER.1. Il ruggito dell'uccellino azzurro
  27. 21. TWITTER AGAIN: come fondare la propria setta personale e difendere la religione del cinguettio
  28. 22. LA RACCOLTA DIFFERENZIATA... ...della spazzatura digitale
  29. 23. DE PAZZIA. Ovvero... commentami questo!
  30. 24. CHI È CHE... NON ROMPE... Ovvero... gli amici che ci seguono
  31. 25. CHI È CHE ROMPE... TUTTO? Violazione di password e affini
  32. 26. DIMMI DOVE VAI... E ti dirò... chi è che rompe?
  33. 27. LE FAKE NEWS. Chi è che rompe... il mondo intero?
  34. 28. TUTTI GIÙ PER IL (YOU)TUBE. Lo Steven Spielberg che è in te
  35. 29. CONCLUSIONE. Gli ultimi consigli secondo la vecchia ricetta della nonna per «non rompere»
  36. I libri di Diego Goso
  37. Condividi
  38. Informazioni sull’autore
  39. Indice
  40. Colophon
  41. Informazioni Effatà Editrice