
- 176 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Il tempo dell'epidemia Covid non è una parentesi. Ci ha parlato, parla, urla. Non possiamo tornare alla società e alla Chiesa di prima. Dobbiamo ricostruire, anzi «costruire sognando» (Ezio Bosso) una nuova società e una nuova Chiesa. In questo libro alcuni miei amici che credono seriamente al domani come promessa e buona opportunità condividono stimolanti riflessioni. In modo lucido e sorprendente troverete interessanti sentieri che si apriranno davanti a voi.
Buona lettura e buon cammino.
? Derio
Siamo su una barca sballottata,
ma insieme siamo una forza.
Insieme possiamo tornare a sperare.
Domande frequenti
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Informazioni
La fede al tempo del Coronavirus
Paolo Curtaz
È un percorso lungo, iniziato quasi tre mesi fa. E non ancora concluso.
Anch’io, come tanti, sono stato messo davanti a qualcosa di inatteso, di straordinario, di particolare.
Di forte, a tratti quasi insostenibile.
Il signor Covid‐19 è entrato nelle nostre vite scardinandole. Tutto quello che pensavamo essere acquisito, ovvio, scontato, è stato interrotto dall’oggi al domani, facendo entrare una ventata di paura e, per alcuni, di panico, nella vita di ognuno.
Eppure, lo credo, lo sperimento, lo vivo, quello che stiamo vivendo è un tempo che poteva essere una disgrazia e che, invece, per certi versi, è stato e sta diventando un tempo di grazia.
E in questo tempo fuori dal tempo ho vissuto molti fatti, eventi, spunti, riflessioni, che ho avuto modo di condividere con migliaia di persone, usando il nuovo pulpito che è la rete.
Sui miei siti, sui social che abito da tempo, ho trovato un modo nuovo di essere Chiesa.
Chiesa viva, sul serio.
Di questo vi voglio parlare.
Riprendendo gli appunti condivisi di questi ultimi mesi.
Il non pellegrinaggio
Questa è la cronaca di un pellegrinaggio.
Anzi, di una fuga. Come nei film, solo che vera. E densa di emozioni e, a saperle accogliere e leggere, di provocazioni.
Ultima settimana di febbraio: dobbiamo partire per il mio consueto pellegrinaggio in Terrasanta, questa volta Gerusalemme, Giordania e Neghev. Programma spettacolare. 47 pellegrini in attesa. Quasi tutti pronti a partire.
Molti mi scrivono per la paura del Coronavirus. Sarà sicuro? Rispondo scherzando: andiamo negli unici paesi non colpiti, quindi siamo noi gli untori.
Solo in seguito scoprirò quanto avevo ragione...
Alcuni però cedono alla paura e non partono. Pochi, però.
Volo e arrivo senza problemi, al mattino siamo pronti per vedere Gerusalemme sfidando una gelida e inusuale pioggia. Pellegrini stoici, visitiamo gli scavi del tempio, poi alcune cose di Gerusalemme. Pomeriggio, finalmente, si va verso il deserto, tramonto a Wadi Kelt, stupore. Salendo sul bus, direzione Gerico, prima sorpresa.
La Giordania chiude le frontiere a noi italiani. No, non è uno scherzo.
Salta tutto.
Io e Paolo, la guida che con me accompagna il gruppo, gestiamo la situazione. In due ore, a Gerico, ripensiamo totalmente il viaggio. I pellegrini, grandi, ci assecondano, pazienza per la Giordania, chi poteva prevederlo. Vai, cerchiamo di risollevare i pellegrini, non siamo turisti, siamo cercatori. Ci riusciamo.
Giorno due: Gerusalemme col museo del libro e Mar Morto, poi l’esperienza grandiosa con Abuna Mario, parroco di Gerico, che ci racconta cosa significa essere una comunità credibile di quattrocento cristiani in una città di quarantamila islamici. Qualcuno fa notare che riusciamo a celebrare le Ceneri, mentre in Italia no. Morale molto alto.
Arriviamo in albergo per cena carichi a mille e io e Paolo dobbiamo gestire la seconda sorpresa di questo delirio: la Palestina ci mette in quarantena in quanto italiani. Buffo: avevo insistito per dormire nell’unico albergo di Gerico per portare due soldi ai Palestinesi.
Parliamo col direttore dell’albergo, si muovono le nostre agenzie, otteniamo di partire l’indomani, presto, alla chetichella.
Una vera fuga di cui evitiamo di parlare ai pellegrini per non creare allarmismo.
Arriviamo a Masada, magnifica, ma ennesimo cambiamento di programma: non si prosegue per il Sud, l’unico albergo a Beer Shevà è quello dei coreani infettati che hanno portato il signor Corona in Israele. Apperò.
Sulla funivia quando ci sentono parlare italiano si coprono naso e bocca con le magliette. La voce si sparge, cavolo. Allora siamo davvero appestati.
Si rientra su Nazareth, sorpresa numero tre. Da domenica primo marzo Israele metterà in quarantena tutti gli italiani presenti. Lo dico al gruppo, cala il gelo. Ora si sente la preoccupazione, altro che viaggio. Vogliamo tornare a casa.
Si rientra quanto prima, venerdì perché El Al, la nostra compagnia, non vola il sabato. Il bus fa inversione di rotta, torna sui suoi passi, di nuovo Gerusalemme. Hanno spostato l’intero gruppo da lunedì a venerdì al primo volo, alle 6 del mattino. Medito con i pellegrini, ormai è una fuga.
Esperienza grandiosa, a saperla leggere: stavolta siamo noi i diversi.
Ci ospitano i francescani di Casa Nova, nessun albergo o ristorante prende gli italiani. Anche se avevamo prenotato (e pagato) tutto.
Sia, domani partiamo. Mentre il gruppo è al Santo Sepolcro e io organizzo la partenza ennesimo cambio di programma: El Al annulla tutti i voli da e per l’Italia. Così Easy Jet.
Ok, adesso sono veramente preoccupato.
Dall’Italia l’ODPT e Piero da due notti insonne fanno i miracoli.
Dopo cena riunione. I pellegrini, visibilmente provati, accettano la proposta. Partiremo con tre gruppi divisi, tutti con Alitalia, uno venerdì alle 6, l’altro alle 17:30, l’ultimo sabato alle 6.
Primo gruppo partito e arrivato, zero problemi. In mattinata la nostra corrispondente a Gerusalemme ci dice che non è prudente uscire. Stanno già mettendo in quarantena i gruppi italiani. Andiamo in giro in silenzio o, scherzosamente, parlando in dialetto.
Gruppo due rientrato.
Il gruppo tre al cardiopalma: prende l’ultimo volo prima che Alitalia annulli gli altri voli. Definitivamente. Ancora non sappiamo che da lì a una settimana precipiteremo nella quarantena.
Ecco, questa la cronaca decurtata dalle fibrillazioni, ansie, colpi di scena e paure. Come accade in quei film d’azione in cui gli eroi fanno slalom fra i massi incandescenti dell’eruzione che gli cadono accanto.
Ma per me, per i pellegrini, è stato il più grande pellegrinaggio mai fatto. Niente di quanto avevamo previsto è andato come avrebbe dovuto. E abbiamo cambiato il programma ogni sei ore, adattandoci e senza lamentarci. E ho visto quanto i «miei» pellegrini siano cresciuti, mantenendo la calma, sostenendosi, imparando a sorridere e a vedere il lato buono. Una situazione potenzialmente esplosiva è diventata occasione per manifestare quanto ognuno è nel profondo, senza sconti.
L’ultimo giorno, a sant’Anna, ho detto loro: ecco, vedete? Non possiamo decidere nulla, siamo in balia degli umori, siamo noi gli appestati anche se sani come pesci. E abbiamo un passaporto europeo e dormiamo negli alberghi.
Pensate a quanti arrivano sulle nostre coste senza conoscere la lingua, la cultura del luogo, vedendosi trattare come delinquenti e appestati mentre, magari, stanno fuggendo da massacri e intimidazioni.
Ora sappiamo cosa significa essere lo straniero.
Grande lezione.
Grande inizio di quaresima.
La notizia della sospensione delle celebrazioni
(La sera della notizia della sospensione delle celebrazioni ho pianto. Non mi vergogno a dirlo. E così ho scoperto che ci credo davvero, a questo Cristo. E, di getto, ho scritto e pubblicato un’invocazione che condivido).
Così, Maestro
non celebreremo più la Cena
nelle nostre comunità,
l’Eucaristia che nutre il nostro cammino,
e non sappiamo fino a quando.
Siamo smarriti e confusi,
attoniti e perplessi.
Ma, responsabilmente,
ci atteniamo a quanto ci viene chiesto
per fermare il contagio
e salvare i deboli, come tu ci hai insegnato.
Che questo digiuno
più duro di ogni digiuno,
ci converta nel profondo,
ci aiuti a ritrovare la fede dei martiri,
l’ardore degli innamorati,
ci unisca alle comunità perseguitate
a quante non possono celebrare per mancanza di preti,
ci apra la mente e il cuore
per capire quale dono abbiamo fra le mani,
quale sorgente inesauribile
custodiamo
troppo spesso con colpevole indifferenza.
Sia, questo tempo di ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Menù
- Non è una parentesi
- Prefazione Non è una parentesi? Metafore per non dimenticare (Enzo Biemmi)
- Non è una parentesi (Derio Olivero)
- La pandemia e l’autorità della fede: il volto nascosto della liturgia (Andrea Grillo)
- La fede al tempo del Coronavirus (Paolo Curtaz)
- Liturgia nella fase 2 Da intimità ingessata a coraggio di primerear
- Cattolici in diaspora. Tre variazioni pandemiche sul tema dell’«uscire» (Duilio Albarello)
- Vocazioni in fiore! (MichaelDavide Semeraro)
- Una Chiesa che non cerca tra i morti (Ivo Seghedoni)
- Non chiediamo a Dio di arrestare l’epidemia, ma liberiamo energie d’amore (Alberto Maggi)
- Maestro, non t’importa che moriamo? (Ester Brunet ~ Antonio Scattolini)
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