Se la felicità…
Alessandra Bocchetti. Quest’incontro nasce da un’idea, anzi da un’immagine. Questa: in un mondo in profonda mutazione, proprio quando l’orizzonte si fa più estraneo e ogni punto di riferimento sembra perduto, è bene che delle donne si mettano intorno a un tavolo a parlare. Le grandi difficoltà della storia hanno sempre indotto al silenzio le donne, le hanno indotte a farsi da parte. Questa volta vorremmo che non fosse così. Abbiamo chiamato con noi due donne importanti e anche grandi: per età, per esperienza, per densità di vita. Ogni presentazione è inutile: sono due donne che conosciamo benissimo. Tuttavia voglio dire brevemente ciò che ci lega a loro, per presentare noi, me, le donne del Virginia Woolf e per mostrare che questo nostro invito non ha niente di retorico, niente di mondano, ma è mosso da un interesse reale e da un’attesa vera.
Qui c’è Christa Wolf, una scrittrice molto amata, non solo perché ha parlato di donne nei suoi libri, ma perché alle donne ha dato veramente qualcosa. Christa Wolf ha mostrato e reso legittimo uno sguardo e una parola di donna sulla realtà, sugli eventi belli e brutti del nostro tempo, sulla storia. Cito le sue parole: «Opporre all’odierna necrofilia qualcosa come la parola viva, la quale bisognerebbe che fosse incisiva, sovversiva, noncurante e non dovrebbe chiedersi se raggiunge il suo scopo, anzi non dovrebbe nemmeno avere uno scopo. Dovrebbe anzi essere non appariscente e tentare di dare concretamente un nome che non è appariscente alla preziosa vita quotidiana. Questa parola nuova sarebbe costretta ad aprirsi la strada in ogni senso dal basso, in direzione di quei materiali che le appartengono, e che se si potessero osservare attraverso un’ottica diversa da quella usata finora, rivelerebbero possibilità mai ravvisate». Quando ho letto queste parole ho pensato che dicessero miracolosamente bene il lavoro che qui ci sta a cuore: la ricerca, appunto, della parola viva. Questo ci lega: questa parola viva si attende, da uomini e donne ed è certamente possibile a uomini e donne. Ma è innegabile, credo, che per far essere questa parola, le donne oggi hanno una chance in più. Per questa parola, infatti, è necessario un materialismo estremo, che può nascere solo da una conoscenza della vita alle sue radici e da un amore della vita, testimoniato nelle cose quotidiane.
Rossana Rossanda non la considero un’ospite; penso e mi auguro che lei si senta a casa, almeno un po’. Il fatto che sia qui è certamente segno della mia tenacia. Ma anche del suo desiderio di esserci. Che cosa sia Rossanda fuori di qui, tutte lo sappiamo. Ci piace la sua passione della politica e, in questa, il suo non mostrare cedimenti. E persino la sua intransigenza, anche quando è rivolta a noi, ha qualcosa che si impone alla nostra attenzione. Quello che lei tenta di insegnarci, che ha tentato sempre di insegnarci, è la passione per il mondo. Nel bene e nel male, che lei lo creda o no, è anche questa sua intenzione a guidarci. La passione per il mondo, certo, non è facile ad una donna. Perché sia possibile questa passione, è necessario, appunto, trovare la parola viva, la nuova lingua che dia alle cose e alla realtà un ordine diverso. «C’è molto da fare nel mondo e a me, almeno, nulla sembra al posto giusto» dice Christa Wolf. Ecco, questo è il punto d’incontro tra queste due donne e la nostra ricerca, il nostro lavoro.
Questo è il primo incontro tra Rossana Rossanda e Christa Wolf. Sono felice di aver creato questa occasione per loro e felice che questa occasione sia in un luogo di donne.
Il nostro tema è certamente ambizioso: una critica al capitalismo a partire dall’essere donna. Per dare avvio alla discussione, voglio porre alle nostre ospiti la domanda: “Che cosa è la felicità?”. Sulle prime, questa domanda potrebbe sembrare non essere in tema: che cosa c’entra la felicità con la critica al capitalismo? E poi certamente questa domanda rischia di apparire inattuale. Per parlare oggi di felicità ci vuole un bel coraggio! E invece, da un certo punto di vista, è una domanda giusta. Intanto, è a due donne che rivolgo questa domanda e questo è molto importante: ogni donna sa che, senza la felicità, magari solo una briciola nascosta in un angolo del cuore, non si potrebbe non dico vivere, ma neanche sopravvivere. Al contrario, di infelicità femminile sembrerebbe essere pieno il mondo. Tanto è vero che quando si vuole significare una situazione insostenibile, è sempre la disperazione delle donne che ci viene mostrata. Basta guardare un qualsiasi telegiornale! L’infelicità femminile è il topos che, per eccellenza, significa lo stare al mondo delle donne e l’asprezza della vita. La felicità femminile è così inattuale, che per la società è qualcosa di estraneo, e perfino di minaccioso. Il risultato di tutto ciò è una cosa mostruosa: una donna si sente legittimata a stare al mondo e a prendere la parola, più dalla sua sofferenza che dalla sua felicità. Riflettendo, questo è un male che le donne hanno in comune con la Sinistra. La Sinistra, infatti, per avere ragione del capitalismo, ha sempre fatto leva sulla sofferenza e non è mai stata capace di parlare di felicità. Questo, a mio avviso, ha imparentato donne e Sinistra in una condizione grave: entrambe non sono capaci di essere all’altezza della propria forza. Non c’è una vera forza, infatti, nell’infelicità. O meglio: la forza dell’infelicità è corta, di breve effetto. Credo, allora, che sia necessario cominciare ad ascoltare la felicità e a capire le sue condizioni. Penso, insomma, che sia più giusto e più efficace cercare di sapere come vogliamo vivere, piuttosto che come non vogliamo vivere. E cercare nella felicità presente, piuttosto che nel sogno di una felicità futura, o di un’attesa di una felicità futura, ispirazione per stare al mondo in un mondo diverso, per regole diverse di incontro e di scambio. Questo non significa negare l’immensa infelicità del tempo presente, ma correre ai ripari.
Voi siete due donne che avete avuto la vita regolata da grandi passioni: la politica e la scrittura. Politica e scrittura vi hanno dato, vi danno, non ne dubito, felicità. Vorremmo che ce ne parlaste. Che due donne parlino della loro felicità è già qualcosa che va contro il capitalismo e contro ogni ideologia lontana dalla materialità della vita. La felicità femminile, infatti, non è prevista e, in questo senso, è assolutamente rivoluzionaria. Dunque, eccoci di nuovo alla nostra domanda: che cosa è la felicità, che cosa dice la felicità di una donna?
Christa Wolf. Per quanto ne so, sin dall’inizio della filosofia umana, decine o centinaia di filosofi, per lo più uomini, si sono interrogati su che cosa sia la felicità. A me, oggi, pare quasi di trovarmi su un altro pianeta. Nel paese da cui provengo – la Germania, Berlino – oggi, non sarebbe possibile che così tante donne si riuniscano e si domandino che cosa sia la felicità. Lì, probabilmente, le donne, ma anche gli uomini, qualora si incontrassero, si chiederebbero al massimo come evitare una infelicità ancora più grande. Invece, Alessandra ha deciso di far partire dalla domanda sulla felicità il nostro dialogo. Chissà se in due ore troveremo una risposta?
Durante il viaggio in treno da Milano a qui, sedevo con un gruppo di amici (l’editore, la traduttrice) e, poiché sapevo che mi sarebbe stato chiesto che cosa fosse la felicità, ho provato a “girare” la domanda alle mie e ai miei compagni di viaggio, conducendo una sorta di piccola inchiesta. Eravamo in sei nello scompartimento. A ciascuna e a ciascuno è toccato dire qualcosa in proposito. Non voglio ripetere quanto è stato detto singolarmente, ma questa conversazione tra amiche mi ha aiutato a trovare una risposta, quella che in treno ancora non avevo, e che non potevo assolutamente esprimere. Poi, ho continuato a rifletterci sopra e, di fatto, ora, potrei riassumere in una frase che cos’è per me la felicità. O che cosa sarebbe. Precisamente, essere viva con ogni fibra del mio corpo, della mia anima e della mia mente: questo è per me felicità.
Certo, si può suddividere la questione in tanti singoli settori. In primo luogo, si può dire, naturalmente, che i momenti, o i giorni, o le ore in cui questo stato d’animo si manifesta sono molto rari. Credo che non esista una felicità duratura; e questa temporaneità dipende dalla natura della felicità. Freud, per esempio, ritiene che è proprio della natura intrinseca della felicità non poter essere duratura. Proprio l’essere vivi, d’altra parte, presuppone che non si stia da soli: da sola non posso essere felice. Ho bisogno di qualcuno o di molti, uom...