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Manifesti femministi.
Il femminismo radicale attraverso i suoi scritti programmatici (1966-1977)
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Manifesti femministi.
Il femminismo radicale attraverso i suoi scritti programmatici (1966-1977)
Informazioni su questo libro
"Radicale", a partire dal '68 e fino alla fine degli anni Settanta, fu soprattutto il "soggetto imprevisto" del femminismo. Con la sua peculiare combinazione di rabbia e proiezione utopica, il manifesto politico è il genere che meglio si presta a restituire la complessità di quella straordinaria stagione che segnò la presa di coscienza delle donne, attraverso un drastico ripensamento delle relazioni tra loro e della forza che da questo deriva. Riletto attraverso i suoi manifesti, il femminismo radicale sconvolge la banalizzazione corrente di ciò che è stato per riconsegnarci la testimonianza della sua verità e un'immagine in movimento di ciò che potrebbe essere.
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Informazioni
Argomento
Scienze socialiCategoria
Femminismo e teoria femministaStati Uniti
Verso un movimento di liberazione femminile17
Beverly Jones e Judith Brown
(1968)
Parte I
di Beverly Jones
La costante marcia in avanti della donna, e il suo crescente desiderio di una prospettiva più ampia, dimostrano che essa non ha raggiunto la sua condizione normale, e che la società non ha ancora concesso tutto ciò che è necessario a conseguirla.
(Una storia del suffragio femminile, 1889,
Introduzione)
Il Manifesto
Per una donna di mezza età abituata a sperare nella gioventù militante per una leadership radicale è stato uno choc leggere il Manifesto delle Donne uscito dalla commissione femminile della convenzione nazionale della SDS la scorsa estate (1967; Manifesto pubblicato su New Left Notes del 10 luglio 1967). Qui c’era un gruppo di “donne radicali” che reclamava rispetto e riconoscimento della propria autorevolezza all’interno di un’organizzazione radicale e che si faceva avanti con argomenti blandi nello stile della NAACP [National Association for the Advancement of Colored People] e con una lista alla Urban League di lamentele e di richieste. Basta soltanto sostituire le parole “bianco” e “nero”, rispettivamente, con “uomo” e “donna”, scambiare i riferimenti alla SDS immaginandoli rivolti al consiglio comunale, e ricordare tutti gli inutili approcci al potere bianco locale che i gruppi neri hanno fatto e ancora fanno, per rendersi conto di quanto sia ridicolo questo manifesto.
Per parafrasare:
- Perciò esigiamo che i nostri fratelli del consiglio comunale riconoscano di dover fare i conti con i loro problemi di sciovinismo bianco nelle relazioni personali, sociali e politiche.
- Da questa riunione del consiglio comunale emerge chiaramente che le capacità e le potenzialità dei neri non vengono pienamente valorizzate. Invitiamo il popolo nero a esigere una piena partecipazione a tutti gli aspetti del governo locale, dal leccare francobolli ad assumere cariche direttive.
- Le persone che hanno un ruolo direttivo devono essere consapevoli della dinamica di creazione dei gruppi dirigenti e hanno la responsabilità di coltivare tutte le risorse nere disponibili per il governo locale.
- Tutte le amministrazioni universitarie devono riconoscere che i regolamenti dei campus discriminano in modo particolare i neri e devono intraprendere azioni positive per tutelare i dritti del popolo nero.
E così via. La commissione prosegue incaricando New Left Notes di stampare materiale sull’argomento e redigere bibliografie; chiedere poi al Consiglio Nazionale di mettere in piedi una commissione per studiare l’argomento e riferirne in un momento successivo!
C’è anche un tentativo abbastanza patetico, da parte della commissione, di dimostrare le proprie credenziali mimando la retorica dominante del gruppo sui rapporti di forza. Ne deriva, quindi, un po’ di fraseologia sul mondo capitalista, il mondo socialista e il terzo mondo, in cui si sottende che le donne stanno un po’ meglio sotto il socialismo.
Deve essere stato davvero deludente per le donne che hanno preparato l’“analisi del ruolo delle donne”, e hanno insistito affinché fosse stampata parola per parola su New Left Notes, vedere il mese successivo citato Castro sul National Guardian per il fatto che egli è certamente grato alle donne di Cuba per avere combattuto sulle colline e avere sostenuto in altri modi la rivoluzione, ma ora tutto questo è passato e il posto delle donne è ancora una volta a casa, a servire il marito e i figli.
In un appello alla Federazione delle Donne affinché questa rinunciasse ai suoi obiettivi di maggiore integrazione femminile nella società cubana, Castro ha dichiarato: «Ma chi cucinerà per i bambini che ancora rientrano a casa per pranzo? Chi si occuperà dei neonati e si prenderà cura dei bambini in età prescolare? Chi cucinerà per l’uomo quando rincasa dal lavoro? Chi laverà e pulirà e starà dietro alle faccende domestiche?».
Il Manifesto delle Donne termina così, e ancora una volta possiamo sostituire “bianco” con uomo e “nero” con donna: «Perseguiamo la liberazione di tutti gli esseri umani. La lotta per la liberazione dei neri deve essere parte della battaglia più ampia per la libertà (frase che non avrebbe potuto essere espressa meglio dalla commissione comunale). Riconosciamo la difficoltà che i nostri fratelli avranno nel confrontarsi con lo sciovinismo bianco e ci assumiamo la piena responsabilità (in quanto neri) di contribuire a risolvere questa contraddizione».
E affinché gli uomini non si arrabbino a causa di tutta questa chiacchiera così audace, o pensino addirittura di prenderla sul serio, la donna aggiunge una nota rassicurante: «Libertà subito! Vi amiamo!».
Quali lezioni possiamo trarre da questo fantastico documento, dalla discriminazione che l’ha preceduto e dalla scena immutata che ne è seguita? Penso che le lezioni siano diverse, e serie. Vorrei prima elencarle e poi discuterle separatamente.
1. Le persone non si radicalizzano (non si confrontano con verità di base) combattendo le battaglie degli altri.
2. Le donne della SDS (per lo meno quelle che hanno scritto il Manifesto) essenzialmente rifiutano di identificarsi con il proprio sesso e usano il linguaggio del potere femminile nel tentativo di avanzare personalmente nella struttura di potere maschile in cui sono attualmente coinvolte.
3. Almeno per due ragioni le donne radicali non capiscono la condizione disperata delle donne in generale. In primo luogo, in quanto studenti, occupano una specie di limbo seducente e asessuale in cui subiscono dagli uomini in generale meno discriminazioni di quante accadrà mai loro di dover affrontare in seguito. E, in secondo luogo, poche di loro sono sposate o, se sposate, hanno figli.
4. Per la propria salvezza e per il bene del movimento, le donne devono formare un proprio gruppo e lavorare prima di tutto per la liberazione femminile.
1. Le persone non si radicalizzano combattendo le battaglie degli altri
Nessuno può dire che alle donne del movimento manchi coraggio. Infatti, al di là del loro ruolo di segretarie, sono state usate prima di tutto come corpi da gettare nella lotta. Molte sono state cacciate dalla scuola, rinnegate dalle famiglie, manganellate dagli sbirri, stuprate da gente fuori di testa e finite in prigione con tutti gli altri.
Ciò che è accaduto loro nel movimento è molto simile a quello che è accaduto a tutti i bianchi nelle prime fasi del movimento per i diritti civili. I bianchi agivano in nome di principi morali, molti agivano con coraggio e diventavano liberali, ma non si radicalizzavano mai. Vale a dire, non arrivavano mai a fare i conti con la realtà della situazione di chicchessia. È interessante chiedersi per quale ragione ciò avvenisse. Una ragione almeno, mi sembra, è che le persone che decidono di aiutare gli altri di solito riescono a conservare grosse illusioni sulla nostra società, su come funziona e su ciò che è necessario per cambiarla. Non si tratta soltanto del fatto che in qualche modo riescono a conservare queste illusioni, è che sono costretti a conservarle dal rifiuto di riconoscere interamente la propria oppressione, ciò che la provoca e che cosa sarebbe necessario per modificare la propria condizione.
Ogni onesta valutazione della propria condizione in questa società, a rigor di logica, per istinto e desiderio di autoconservazione, presumibilmente condurrebbe le persone a sparare a quelli che stanno sparando a loro. Ovvero, per prima cosa, a combattere le proprie battaglie. Nessuno pensa che i bianchi poveri possano apprendere qualcosa sulla propria vita facendo amicizia con i neri, per quanto lodevole possa essere tale azione. Allo stesso modo, nessuno pensa che i bianchi poveri possano dare un grande aiuto ai neri, ammesso che qualcuno lo voglia, a meno di aver prima riconosciuto la propria oppressione e i propri oppressori. Intuitivamente afferriamo il fatto che, fino a quando i bianchi poveri non capiranno chi sono i loro nemici e si uniranno per combatterli, non potranno capire che cosa occorre fare per garantire la loro stessa libertà o quella di chiunque altro. E nessuno dubita seriamente che se, e quando, si risveglieranno collettivamente sarà in primo luogo la loro battaglia quella che combatteranno.
Noi lo comprendiamo intuitivamente, ma gli studenti bianchi nel primo periodo dei diritti civili non lo avrebbero capito. Erano realmente convinti di aver ricevuto un’educazione completa dal movimento, di essere veramente utili, di sapere in quali modi limitati la società avesse bisogno di cambiare e che cosa servisse per ottenere quei cambiamenti parziali, e furono completamente scossi dal Potere Nero, che di fatto disse: «Non capite nulla». In quei giorni annebbiati del passato, pensavano anche di non avere particolari problemi, in quanto studenti bianchi. Era, più o meno, noblesse oblige. L’illuminazione venne presto, almeno per alcuni studenti bianchi maschi.
Una delle cose migliori che siano mai capitate ai militanti neri avvenne quando furono cacciati dal movimento per i diritti civili a stelle e strisce, controllato dai bianchi: quando cominciarono a combattere per i neri, invece che per il Sogno Americano. La cosa migliore che potesse capitare ai potenziali radicali bianchi impegnati per i diritti civili avvenne quando furono buttati fuori dallo SNCC e furono costretti a fare i conti con la propria oppressione, nel proprio mondo. Quando cominciarono a combattere per il controllo delle università, contro la leva, la guerra e l’ordine economico. E la cosa migliore che possa ancora accadere a giovani donne bianche potenzialmente radicali è essere respinte da entrambi questi gruppi. Essere costrette a finirla di combattere per il “movimento” e cominciare a combattere anzitutto per la liberazione e l’indipendenza delle donne.
Soltanto quando intraprenderanno seriamente questa lotta, queste donne cominceranno a capire che non sono semplicemente ignorate o sfruttate: sono temute, disprezzate e asservite.
Se mai le donne della SDS si uniranno alla battaglia, si renderanno rapidamente conto che nessuna lista di lamentele e di richieste presentata con un linguaggio accomodante, nessun appello alla coscienza maschile, nessuna manovra dietro le quinte o tra le mura domestiche servirà a dare potere alle donne. Se vogliono libertà, uguaglianza e rispetto, dovranno organizzarsi e combattere per averli in modo realistico e radicale.
2. Le donne radicali essenzialmente rifiutano di identificarsi con il proprio sesso e usano il linguaggio della liberazione femminile nel tentativo di avanzare nella struttura di potere maschile del movimento
È difficile interpretare in qualsiasi altro modo il Manifesto delle Donne. Puzza di borghese nero che proprio non riesce a identificarsi con le vittime sfigate e mutilate del sistema razzista; che proprio non riesce a vedere se stesso come una svista accidentale, bensì come una mutazione genetica; che si prende la briga di spiegare problemi che non capisce a una struttura di potere a cui questi problemi non potrebbero importare di meno; che vuole combattere per i neri ma non troppo, e solo in quanto membro del consiglio comunale o forse di uno dei suoi comitati minori.
Se le donne della SDS vogliono commissioni di studio sui problemi delle donne, perché non le creano? Se vogliono bibliografie, perché non le raccolgono? Se vogliono contestare la discriminazione dell’Università contro le donne, perché non lo fanno? Nessuno nella SDS le fermerà. Possono addirittura avvalersi della protezione della SDS e pubblicare su New Left Notes, in ogni caso almeno per un po’.
Ma non è questo ciò che vogliono. Vogliono essere trattate “come le persone bianche” e lavorare sui problemi che importano alle persone bianche, come progettare, regolare e attrarre gli investimenti industriali o, in questo caso, la guerra, la leva e la riforma dell’università.
Il problema legato all’uso del linguaggio della liberazione nera o femminile a questo scopo – essenzialmente, esigere un negro18 in ogni comitato – è duplice. In primo luogo, è immorale: un tradimento infame di un intero popolo. In secondo luogo, non funzionerà. Esiste un parallelo quasi perfetto tra il ruolo delle donne e il ruolo delle persone nere in questa società. Entrambi i gruppi costituiscono la grande forza di riserva che sostiene il maschio americano bianco. Gli puliscono il culo e lo allattano al seno quando è piccolo, lo istruiscono quando è giovane, fanno per lui il lavoro impiegatizio e allevano i suoi e i propri futuri sostituti; per tutta la vita nelle fabbriche, nelle fattorie, nei ristoranti, negli ospedali, negli uffici e nelle case, coltivano per lui, si umiliano per lui, cucinano per lui, puliscono per lui, spazzano per lui, sbrigano commissioni e lo assistono quando il suo corpo fragile cede.
Insieme lo mandano nella società – la sua – splendente e sano, con la mente libera da ogni preoccupazione per i dettagli sordidi del vivere. E laggiù, in quel mondo irreale di luce e tempo libero, idee di gloria e di onnipotenza lo confondono e lo disorientano. Egli trascorre il tempo salvando il mondo dai draghi, o combattendo contro i cavalieri del male, proscrivendo e applicando leggi e sistemi sociali, o semplicemente giocando con i dispositivi erettili della maschilità: costruire ponti migliori, computer e bombe.
Che vinca o perda a quel gioco, lo adora e vuole continuare la partita, senza ostacoli. Ciò significa che il resto della popolazione – le persone nere e le donne – che mantiene questa élite di giocatori, deve essere tenuto al proprio posto di lavoro.
Oh, di tanto in tanto all’uomo bianco più autoriflessivo, sicuro di sé e generoso viene in mente che il sistema potrebbe essere cambiato. Che potrebbe basarsi su qualcosa di diverso dalla razza o dal sesso. Ma che cosa? Chi può decidere? Il cambiamento non potrebbe influire sulle regole del gioco, o addirittura sui giochi stessi? E dove sarebbe il suo posto in tutto questo? Diventa troppo spaventoso pensarci. È meno pericoloso, e certamente meno distraente, limitarsi a serrare i ranghi, tenere duro e lasciare le cose così come sono.
Ci sono diverse tecniche per farlo, alcune delle quali sono: cospargere il campo da gioco con un pizzico di persone nere e di donne, per oscurare il fatto che si tratta di una struttura totalmente bianca e maschile; trasformare la casa e la famiglia in una vacca sacra; supportare una chiesa razzista e antifemminista per annebbiare le menti della forza lavoro e incanalare verso di essa il piccolo sovrappiù di energia disponibile; e, cosa più importante di tutte, sviluppare tra gli uomini bianchi un senso comune a proposito delle persone nere e delle donne e una lealtà reciproca che superi quella verso qualcuno dei due gruppi o verso singoli membri di essi, in modo da trasformare ogni uomo bianco in una guardia incorruttibile del comune dominio bianco maschile.
Il nucleo di quel senso comune che risulta rilevante per il punto qui in questione è:
- Le donne e le persone nere hanno una mente intrinsecamente inferiore e aliena. Le loro menti sono annebbiate, quasi rudimentali, e vincolate alle proprie esperienze personali (scervellate, o semplicemente stupide). Sono incapaci di un pensiero veramente astratto, incisivo, logico o tattico.
- Nonostante la loro inferiorità mentale, o forse a causa di essa, le donne e le persone nere sono felici. Tutto ciò che chiedono alla vita è un po’ di attenzione, qualcuno che le scopi regolarmente, Cadillac di seconda mano, cappelli nuovi, abiti, frigoriferi e altri gingilli.
- Le donne e le persone nere non si uniscono ai gruppi misti per gli scopi dichiarati dei gruppi, ma per stare con i bianchi o per trovare un uomo.
3. Le donne radicali non capiscono realmente le condizioni disperate delle donne in generale. In quanto studenti, occupano un limbo seducente e asessuato in cui sub...
Indice dei contenuti
- Cover
- Presentazione
- Deborah Ardilli
- Frontespizio
- Pagina del Copyright
- Introduzione, Deborah Ardilli
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- Francia
- Riferimenti bibliografici
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