Temporary Mother
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Temporary Mother

Utero in affitto e mercato dei figli

  1. 94 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Temporary Mother

Utero in affitto e mercato dei figli

Informazioni su questo libro

Sono molte migliaia i bambini che nascono ogni anno da utero in affitto: più di 2 mila solo negli Stati Uniti, con un incremento annuo del 200 per cento. Un business colossale e planetario in espansione costante – oggi il fatturato supera i 3 miliardi – nel quale le donne diventano mezzi di produzione e le creature umane oggetti in vendita.Quei figli che non ci è consentito di avere possiamo sempre comprarli. Basta pagare.La riproduzione diventa produzione di cui siamo a un tempo mezzi e destinatari. Un consumismo che si spinge fino all'autoconsumismo, confezionato in forma di neo-desideri e neo-diritti che rivendicano di poter prescindere anche dalla biologia dei corpi e dalla differenza sessuale.Chi è una madre "surrogata", se non una madre?Perché si pretende che scompaia dopo aver portato a termine il suo biolavoro?Si può affittare il proprio corpo e mettere in vendita un essere umano?Domande urgenti, alla vigilia di un dibattito che lacererà l'Europa, ultima roccaforte anti-surrogacy.Un pamphlet "anarchico" e necessario di fronte alla portata della posta in gioco: i bambini e la differenza femminile, garanzia di civiltà e umanità.

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Informazioni

La leggenda della Santa Donatrice

Non sono tutte schiave come le indiane, in effetti. C’è anche la signora californiana che deve ristrutturare il garage. O quell’altra americana simpaticissima che ho visto in un video: appassionata di caccia, aveva da rinnovare il parco fucili per tutta la famiglia. Si può decidere di affittare l’utero anche per futili motivi, l’auto da cambiare, il sottotetto da recuperare.
Eppure è difficile trovare un’agenzia di surrogacy che non esalti il talento femminile per il dono. Le donne lo fanno per mandare i figli al college. Ma spesso è la pura gioia di rendere felice qualche sfortunato/a che non riesce ad avere bambini. Anche un perfetto sconosciuto che abita dall’altra parte del pianeta. Alle generose gestanti non è consentito dichiarare “voglio quei soldi e li spenderò tutti per me”.
Anche Umberto Veronesi, eventualmente interessato al settore dell’outsourcing pregnancy, in un passaggio del suo ultimo libro Confessioni di un anticonformista contribuisce a costruire il mito della Santa Donatrice. “È vero”, ammette, “circolano montagne di soldi. Ma che cosa c’è di deprecabile se lo scambio avviene su base consensuale? Per una donna povera prestare il proprio utero a pagamento può essere l’occasione per migliorare sensibilmente il proprio tenore di vita, per aiutare i figli a pagarsi gli studi”.
Un altro illustre scienziato della procreazione, Carlo Flamigni (in Margherita De Bac, “L’utero in affitto? Una necessità”, Corriere della Sera, 20 dicembre 2015), ammette che “il commercio deve essere evitato. Però una donna può essere costretta ad affittare una parte del suo corpo per necessità. Meglio della prostituzione” (e chi lo dice?).
Il contrattualismo ha bisogno di pensarci tutti, uomini e donne, liberi e uguali. Anzi: l’idea è che sia la forma del contratto in sé a produrre parità. Ma una donna povera che offre il proprio utero a pagamento “su base consensuale” suona un po’ strano. Come si può parlare di consenso in presenza di una disparità tanto grande fra i contraenti?
Prevengo l’obiezione: qualunque contratto di lavoro si basa su questa disparità. Ma in questo caso, come nel caso della prostituzione, si può parlare di ordinario lavoro?
Difficile credere che un uomo come Veronesi, capace di considerare perfino la sofferenza animale fino a optare per il vegetarianesimo, non sappia intravedere il dolore che si può generare facendo mercato di una relazione tanto intima.
In ogni caso, di quella “montagna di soldi” generata dal biobusiness della GPA alle donne arriva una minima parte, quando non niente del tutto.
Nei paesi terzi le donne vengono messe sul mercato dai mariti, dai fratelli o da altri papponi come animali da riproduzione. Un sacco di soldi vanno a cliniche e legali. C’è poi l’indotto turistico: viaggi organizzati, alberghi, ristoranti. Ammesso che alla donna resti in tasca qualche soldo, Veronesi ne auspica comunque l’immediata restituzione, destinandoli ad “aiutare i figli a pagarsi gli studi”, in una logica di abnegazione assoluta.
Gli ucraini di BioTexCom risparmiano sul marketing per poter offrire tariffe competitive: pacchetti Economy a 29.900 euro, Standard (39.900) e Vip Surrogacy (49.900). C’è anche un pacchetto di ovodonazione economico (un tentativo) a 4.900, quello Doppio a 6.900 e quello Ideale a 9.900, con passaggio al Bimbo in Braccio a 29.900.
Ma in genere le agenzie corredano l’offerta con un’ampia e rassicurante narrazione. Sul sito di Artparenting di Potomac, Maryland, si legge (il corsivo è mio):
Le donne diventano surrogate per molti motivi, ma le nostre surrogate condividono lo stesso obiettivo: donare la vita. Vogliono fare il possibile perché gli altri provino la gioia di essere genitori. Proviamo massimo rispetto e ammirazione per queste donne sensibili, capaci di impegnarsi e di dare nutrimento. Alcune descrivono l’essere una gestante surrogata come:
- Una chiamata: si tratta di una cosa che vogliono fare. E probabilmente è la migliore cosa che possano fare nella loro vita.
- Un dono d’amore: loro amano i bambini, amano essere madri e vogliono condividere questo dono.
- Un modo per restituire: alcune pensano che questo sia un modo importante e pieno di senso per restituire al mondo [e per restituire che cosa?].
Se qualcuna ha mai pensato alla surrogacy come un modo possibile per liberarsi della mistica della maternità, ecco che la Mommy Mistique cacciata dalla porta rientra dalla finestra. Le gestanti sono solo contenitori, ma delle madri vere conservano la straordinaria capacità di abnegazione.
Dal sito di Extraordinary Conceptions, San Diego, California, l’agenzia alla quale, a quanto sembra, si sarebbe rivolto Nichi Vendola:
Le surrogate offrono ai futuri genitori il dono della meraviglia, della speranza, dei ricordi. Attraverso il loro altruistico gesto di portare in grembo un bambino per qualcuno che non è in grado di farlo donano la gioia della genitorialità a ognuno, e ogni giorno (…) Attraverso la surrogacy le madri insegnano ai propri figli il più puro atto di gentilezza. Un figlio o una figlia che assistano all’altruismo della loro madre apprendono una delle più importanti lezioni sulla vita: l’umanità.
Per il marketing dell’utero in affitto o GPA si è resa necessaria da subito la glassa di una narrazione commovente. In qualche caso si richiede anche l’intervento divino.
L’India è la patria della surrogazione low cost e di bassa qualità: puoi cavartela con 20 mila euro tutto compreso, di cui solo un quarto va alla donna, o meglio ai maschi della sua famiglia. Nel 90 per cento dei casi quella donna non è nemmeno in grado di leggere il contratto. Quando c’è un contratto.
Alle povere indiane detenute nelle cliniche si consegna una storia con cui baloccarsi in reparto mentre la pancia cresce: si tratta di fare in modo che non impazziscano come animali in cattività. Anche perché se impazzissero non sarebbero riutilizzabili per una seconda o terza surrogacy: una gestante pazza non la vorrebbe nessuno.
Per la cultura di queste donne essere incinte di un uomo che non è il proprio marito e partorire un bambino che non sarà il proprio figlio può essere un’esperienza particolarmente devastante. Non riuscirò mai a dimenticare l’immagine di quella donna indiana, sottoposta a cesareo con anestesia epidurale, dal cui corpo viene estratto un neonato di pelle bianchissima. Quelle lacrime mentre intravede il piccolo che l’infermiera le porta via in tutta fretta (cercate “Surrogacy” e “India” su YouTube, potrete rendervi conto personalmente).
Solo l’intervento di una divinità misericordiosa e ordinatrice può garantire un quadro simbolico entro cui collocarsi per non andare in mille pezzi.
Se lo fai per qualche Dio che non vuole privare chi è infertile della gioia della genitorialità, se sei solo uno strumento della sua infinita bontà e generosità, allora sarai più capace di sopportare il terribile destino che ti è stato imposto dalla violenza del marito, del padre, del fratello.
Nel suo Contract Children, Daniela Danna riporta la testimonianza dell’etnologa Khalindi Vora su un gruppo di surrogate indiane: “Molte di quelle con cui ho parlato”, dice Vora, “tutte Hindu o cristiane, davano grande importanza alla convinzione di fare qualcosa di grande, di essere come divinità in grado di donare a una coppia infertile qualcosa che di solito può essere dato solo da Dio”.
Le cliniche collaborano attivamente all’indottrinamento. In Wombs in Labor: Transnational Commercial Surrogacy in India, Amrita Pande fa parlare la madre surrogata Gauri: “Io prego Sai Baba, ho molta fede in lui”, dice la donna. “So che questo è il suo dono per una povera madre.”
Ma spesso anche i medici parlano di se stessi come di umili strumenti di un disegno superiore: “La dottoressa Khaderia”, scrive Pande, “pensa al suo lavoro come a una missione. Lei stessa si definisce una missionaria, non così diversa da Teresa di Calcutta: sto dando un bambino a una donna, dice, che non può averne di suoi. E a un’altra donna che non ha di che crescere i suoi figli offro non solo la possibilità di nutrirli, ma anche di mandarli a scuola, di costruire una casa, di essere indipendente. Sono molto devota a Madre Teresa. Questa è la mia missione e sono molto grata di poter essere parte di un disegno divino che cambierà due vite”.
La volontà di Dio è sempre stato un vecchio trucco per le donne: se offrirai a Lui le tue sofferenze – e, volendo, anche il tuo godimento –, Lui ti darà la forza per sopportarle e ti colmerà della sua benevolenza. Anche se Dio, per come lo conosco, probabilmente manderebbe in mille pezzi l’osceno tempio in cui si fa mercato di donne e bambini. Salvando le donne e i bambini.
A noi occidentali non serve scomodare alcun Dio. Basta la favola della connaturata generosità femminile. Le donne sono buone e solidali per natura, sempre disponibili a fare per gli altri. Che possano voler fare qualcosa per sé non è nemmeno preso in considerazione.
Come osserva la femminista americana Janice G. Raymond (“Reproductive Gifts and Gift Giving: The Altruistic Woman”): “Nella tradizione patriarcale le donne non sono solo donatrici, ma dono esse stesse”.
Una donna che si sottopone a pericolose stimolazioni ovariche e al pick up in anestesia generale degli ovociti da “donare” non può certo farlo per pagarsi una vacanza. Una che si fa innestare un embrione geneticamente non suo e lo porta fino alla nascita non può farlo perché vuole togliersi uno sfizio. In ogni caso, non lo può dire. Perché i soldi, per una temporary mother, sono l’ultima cosa. Ma anche quei pochi te li scippano subito di mano.
Molto interessante questa distrazione di massa dallo scambio figlio-denaro. Denaro che in ogni caso va immediatamente “ripulito” e riciclato spostando l’attenzione sulla nobiltà dei fini. Salvo eccezioni pressoché inesistenti l’operazione non è mai gratuita, ma è assolutamente necessario che lo sembri. È come se si volesse eliminare il fantasma prostitutivo, altrimenti si rovinerebbe il prodotto.
Così come si rovinerebbe se la gestante durante la gravidanza avesse rapporti sessuali con uomini che la penetrano, “sporcando” lei e il bambino: le lesbiche sono particolarmente ricercate dai “genitori intenzionali”. Lo racconta Monica Ricci Sargentini in un suo reportage sulle cliniche californiane per la surrogacy pubblicato sulla 27esima Ora il 18 dicembre 2015 (“Maternità surrogata. Il mio viaggio nella clinica dove si affittano gli uteri”): tra le surrogate “premium”, le più gettonate nei cataloghi, “molti preferiscono una portatrice lesbica perché non ha rapporti sessuali con penetrazione e – spiegano alla clinica – in gravidanza è sempre meglio evitare” ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Presentazione
  3. L’Autrice
  4. Collana
  5. Frontespizio
  6. Pagina Copyright
  7. [Introduzione]
  8. Pagate per sparire
  9. Potenza materna
  10. Invidia dell’utero
  11. Utero agli etero
  12. La costola che eri
  13. La parità non esiste
  14. Neo-patriarcato
  15. Temporary Mother
  16. Caos Cirinnà
  17. Adozione anti-surrogacy
  18. Il corpo è mio (e non è mio)
  19. Le due sinistre
  20. Biomercato globale
  21. Evviva il dirittismo e la libertà
  22. La leggenda della Santa Donatrice
  23. Donare l’utero è femminista!
  24. Le anarchiche e la Santa Alleanza
  25. Legge o non legge?
  26. Il limite interiore
  27. Bibliografia