Battaglia d'Anghiari
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Battaglia d'Anghiari

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Battaglia d'Anghiari

Informazioni su questo libro

Storico - racconto lungo (24 pagine) - Leonardo da Vinci ritrae la "pazzia bestialissima" della guerra sui muri di palazzo della Signoria, proprio mentre nel suo laboratorio viene commesso un delitto atroce. Il racconto vincitore, nel 2004, del Premio Gran Giallo Città di Cattolica

Anno Domini 1504. Leonardo da Vinci sta dipingendo un colossale affresco sull'intera parete sud del salone dei Cinquecento, nel palazzo della Signoria a Firenze: la rievocazione della battaglia d'Anghiari, in cui oltre sessanta anni fa la coalizione guidata dalla Repubblica ha duramente sconfitto l'esercito milanese dei Visconti. Per la prima volta nella sua vita, l'artista decide di utilizzare l'antica tecnica dell' encausto, desunta da testi di Plinio il Vecchio. Ma il rinvenimento del cadavere di un giovane patrizio, nel laboratorio dove Leonardo disegna i cartoni preparatori del dipinto, funesta la tranquillità del suo lavoro. La vittima è stata atrocemente torturata fino alla mutilazione, e il movente risale forse a un evento accaduto proprio sul campo di battaglia di Anghiari. Perciò Leonardo si vedrà suo malgrado coinvolto in prima persona nella ricerca dell'assassino, dalla quale dipende forse il destino dell'affresco. Un'inchiesta poliziesca ante litteram nella quale il grande artista mette a frutto la propria curiosità e la capacità di risalire dagli effetti alle cause che li hanno prodotti, in un secolo in cui la giustizia preferisce arrestare i sospetti noti, piuttosto che indagare a partire dagli indizi.

Franco Ricciardiello comincia a pubblicare a vent'anni; oggi ha al suo attivo otto romanzi, un manuale di scrittura creativa e quattro libri di narrativa di viaggio dedicati alla letteratura, alla musica e al cinema in altrettante città italiane ed europee. È stato tradotto in Francia, Grecia e Argentina. Ha insegnato per vent'anni scrittura creativa, ed è autore del volume dedicato allo stile letterario nell'enciclopedia a dispense Scrivere di Bompiani-Rizzoli. Ha vinto il premio Urania nel 1998 e il premio Gran Giallo città di Cattolica nel 2004. Attualmente collabora con Pulp Libri, è redattore capo del sito Solarpunk Italia e curatore della collana Atlantis di Delos Digital.

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Informazioni

Anno
2021
eBook ISBN
9788825418262

1

Il giorno in cui ha infilato la testa nella trappola del presunto diorama pornografico di Leonardo da Vinci, Agnolo Ventura si è vestito come per andare a una festa: giubbetto di tessuto damascato, fibbie d’argento di Boemia, calze a strisce gialle e rosse. Sotto la camicia teneva un pugnale assicurato al fianco con un nastro di seta; ma quando l’assassino gli ha legato i polsi dietro la schiena, deve essersi accorto dell’arma perché l’ha strappata per gettarla in un angolo.
– L’arma dell’omicida? – ipotizza il gonfaloniere Soderini quando Leonardo raccoglie il coltello dai cartoni preparatori al grande affresco di Palazzo della Signoria, tutti chiazzati di sangue.
– No, è ancora inguainata – dice Leonardo mostrandola anche al comandante delle guardie e al priore del convento.
Piero Soderini scuote il capo, sfiduciato. Non che il gonfaloniere non sia abituato alla tragedia dei mille terribili modi in cui è possibile prolungare l’agonia di un uomo prima della morte, ma in questo caso l’assassinio è stato portato a termine nella stanza sul retro di Santa Maria Novella in cui Leonardo ha lavorato per mesi alla preparazione di quello che nelle intenzioni della Repubblica dovrebbe diventare un monumentale affresco alla gloria di Firenze: venti metri di lunghezza per dieci di altezza, l’intera parete sud nel salone dei Cinquecento, per celebrare la battaglia di Anghiari e la vittoria di sessant’anni prima sui milanesi.
Leonardo sospira nel vedere la quantità di disegni preparatori rovinati dal sangue, ma la pietà per il povero giovane bestialmente assassinato prende il sopravvento. I magistrati si raccolgono intorno al corpo straziato, inginocchiato in posizione innaturale con la testa imprigionata in una grossa scatola a intarsi, che l’assassino stesso deve avere introdotto in Santa Maria Novella, visto che la stanza è destinata all’uso esclusivo di Leonardo e della sua bottega. Prova a immaginare le urla e le preghiere di Agnolo Ventura nel momento in cui è stato evirato dal suo giustiziere, poi si rende conto che la lingua deve essergli stata strappata prima, tranciata con una pinza e gettata con ferocia sul cartone che ha assorbito il sangue. Quanto all’altro sangue spruzzato con violenza nel momento della castrazione, si è allargato in una macchia viscosa sul pavimento, impregnando fogli e cartoni; il che non può non stuzzicare agli occhi di Leonardo, anche in questa tragica contingenza, l’ipotesi eterodossa che all’interno del corpo esista una vera e propria circolazione del sangue.
La filosofia naturale, pensa Leonardo: la filosofia ha strumenti per risolvere induttivamente anche un caso di assassinio; pensa a Guglielmo di Occam: tutti i fenomeni hanno una spiegazione empirica, e la morte in fondo non è che la causa di un fenomeno.
Si china per osservare da vicino la scatola che ha intrappolato il povero Agnolo, la scoperchia; l’interno è assolutamente vuoto: una semplice apertura ovale per infilare la testa e un meccanismo di chiusura per bloccare il collo del malcapitato. Una volta azionato dall’esterno, tramite un finto fregio che agisce su una molla compressa sotto il coperchio, la vittima non può più estrarre il capo, come una volpe in una tagliola.
– Dunque? – domanda il comandante delle guardie, il capitano Morello; è un uomo giovane e snello che veste alla spagnola, con stivali risvoltati, calze rosso rubino e la giubba tenuta ferma da una piuma che sembrerebbe di struzzo, un’autentica rarità forse strappata ai turchi in qualche scontro navale.
– Siete in grado di riconoscere questo legno? – domanda Leonardo.
Morello batte le nocche sulla cassa e poi sul fregio. – Scuro e compatto. Quasi non si distingue la venatura. Si direbbe un albero esotico.
Leonardo annuisce. – La fattura non è di un artigiano cristiano. Indie, direi, o forse Cipango. Guardate qui: avete idea di cosa serva?
Sul fondo della scatola una cornice scanalata sembra predisposta per sostenere un piccolo fondale visibile unicamente dall’interno; è vuota e incrostata di sangue rappreso. Leonardo si guarda intorno: se conteneva qualcosa nel momento terribile in cui l’assassino ha strappato la lingua della vittima, deve essere altrettanto impregnata. Lo trova quasi subito in terra: è un piccolo cartone sul quale lui stesso ha schizzato la scena del combattimento intorno al ponte. Inserisce il disegno insanguinato nella cornice sul fondo della scatola, le dimensioni sono perfette.
Il capitano Morello lo osserva incuriosito. La campana di Santa Maria Novella batte l’ora terza.
– Io torno al lavoro – dice Leonardo, lasciando l’incombenza di ripulire allo Zibetto, il garzone procurato dalla Signoria.
Ma mentre fa per uscire, il vecchio Lapo de’ Guidi appare sulla soglia, quasi sorretto dai due nipoti, trascinando i suoi ottanta anni attraverso il camposanto e il chiostro. – Siete atteso a Palazzo – dice l’anziano magistrato con il suo sguardo inquisitore. – I vostri garzoni preparano di nuovo i fuochi, come da vostre istruzioni. Badate che con tutta quella cera…
Leonardo ringrazia rapidamente. Si infila nei vicoli dove i fiorentini si accalcano nelle direzioni opposte dell’Arno o del Duomo, intorno alle piazze del mercato dove sembra essersi rovesciata la città intera. Come al solito, si lascia affascinare dalla fisionomia della gente che incrocia. Vorrebbe inserire nel suo affresco tutti quei volti così espressivi: pescivendoli iracondi diventerebbero scudieri preoccupati per la sorte di qualche cavaliere, tessitori biliosi con lineamenti da fanti di linea, vagabondi orbi e sfregiati dai quali potrebbe trarre soldati di ventura al seguito dei milanesi.
La parola “ventura” gli riporta in mente il giovane Agnolo Ventura seviziato e ucciso. Questo delitto orribile conferma ai suoi occhi la pazzia bestialissima della guerra che si propone di ritrarre con l’affresco della battaglia di Anghiari: le fisionomie stravolte dalla ferocia, dall’odio bestiale, le teste di animali impresse sulle corazze che si fondono nei muscoli tesi per lo sforzo della lotta. L’anatomia che modifica la pittura: quanto è distante tutto ciò dalle intenzioni agiografiche dei notabili della Repubblica nell’affidargli la commessa per l’affresco.
Ma non può evitare di ascoltare il fuoco della verità che lo divora.

2

La mattina di mercoledì 29 giugno, giorno dei santi Pietro e Paolo, Nicolò Piccinino si presentò alle porte di Sansepolcro insieme ai suoi luogotenenti. Un banditore proclamò libertà di saccheggiare Anghiari per chi si fosse unito all’esercito del duca Filippo Maria Visconti nel tentativo di sbloccare la strada che attraverso il ponte sul Tevere porta a Firenze.
L’esercito della Lega anti-milanese, ignaro di questa manovra, era accampato in una vasta zona intorno al borgo fortificato di Anghiari: quattromila armati di papa Eugenio, arruolati dal car...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Capitolo 1
  3. Capitolo 2
  4. Capitolo 3
  5. Capitolo 4
  6. Capitolo 5
  7. Capitolo 6
  8. Capitolo 7
  9. Capitolo 8
  10. Capitolo 9
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