DilexIt Ecclesiam
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Servitore della comunione

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Servitore della comunione

Informazioni su questo libro

Pensiamo che il lavoro e l’insegnamento di “don Massimo” a servizio della Chiesa, prima come fondatore e superiore della Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo e poi come Vescovo, il suo insegnamento e la sua passione per ogni espressione dell’animo umano, la sua apertura al dialogo e il suo amore per la Verità, costituiscano una preziosa eredità da custodire e alimentare. Gli autori, che impreziosiscono questo testo con i loro scritti e i loro ricordi, sono solo alcuni rappresentanti di una schiera innumerevole di persone la cui vita si è incrociata con quella di Mons. Camisasca e idealmente interpretano anche l’affetto e la vicinanza dei tanti che, per ragioni diverse, non sono potuti entrare nell’elenco. «Non potremo mai restituire nulla di proporzionato rispetto a quanto abbiamo ricevuto da Dio».
M. Camisasca

Domande frequenti

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Informazioni

L’inizio di una teologia dei movimenti e la parabola del Movimento Popolare

Rocco Buttiglione
Pontificia Università Lateranense


Ho avuto modo di collaborare con Mons. Camisasca in molte occasioni nel corso di una amicizia che dura, anche se ormai da molti anni a distanza, fin dall’inizio degli anni ’70. In questa occasione voglio ricordare in modo particolare gli inizi degli anni ’80 ed il lavoro svolto insieme in quegli anni per favorire un incontro fra i diversi movimenti nella Chiesa e l’inizio di una teologia dei Movimenti.


Esigenza di una teologia dei Movimenti

Un primo risultato di questo lavoro sul convegno del 23/27 settembre 1981 sui Movimenti nella Chiesa negli anni ‘80 [1] . Si faccia attenzione al titolo ed alla data. Non è il consuntivo di un processo che già si è svolto nella Chiesa ma piuttosto il programma di un processo che si avvia e del quale si tenta di tracciare le linee di sviluppo. Credo sia stata la prima volta che la realtà dei Movimenti è stata tematizzata e ci si è sforzati di pensarla organicamente. L’11 febbraio il Movimento di Comunione e Liberazione era stato riconosciuto ed aveva assunto la forma giuridica della Fraternità di Comunione e Liberazione. La Fraternità è una associazione laicale. Al di là della forma giuridica si poneva comunque un problema più ampio che riguardava l’essenza stessa dei Movimenti e, insieme, il modo di essere della Chiesa alla fine del secolo XX e poi nel secolo nostro. Quella riflessione contribuirà poi ad una maturazione che trova una sistemazione nel Messaggio di Giovanni Paolo II Ai Movimenti ecclesiali ed alle nuove Comunità alla vigilia di Pentecoste del 30 Maggio 1998 ed in quello di Benedetto XVI Ai partecipanti al II Congresso mondiale dei Movimenti ecclesiali e delle nuove Comunità del 31 Maggio 2006 [2] . Facciamo di nuovo attenzione al titolo: c’è una certa incertezza terminologica, i Papi si riferiscono ai Movimenti nella Chiesa ed alle nuove Comunità. È come se volessero abbracciare una realtà ancora in parte magmatica: Movimenti nella Chiesa comincia ad avere un significato più preciso, con “nuove Comunità” si vogliono abbracciare fenomeni più indefiniti ma dei quali si intuisce un potenziale di rinnovamento e di apertura di cammino verso il futuro.


Giovanni Paolo II ed i Movimenti

Agli inizi degli anni ’80 è iniziato da poco il pontificato di Giovanni Paolo II. Il nuovo Papa viene da lontano, da un’altra cultura e da un’altra storia. Non è facile da capire per gli italiani, abituati a pensare che la loro cultura e la loro storia dovessero dare il ritmo alla Chiesa universale. In quel momento di sconcerto generale don Massimo ed io eravamo meno sconcertati. Il movimento di Comunione e Liberazione, al quale entrambi apparteniamo, ha una lunga storia di contatti con la Polonia. Un prete del Movimento, il mitico don Francesco Ricci di Forlì, aveva intessuto da tempo una rete di viaggi e di amicizie con le Chiese perseguitate (e con gli intellettuali liberi) dei paesi comunisti). Portavamo libri proibiti, riportavamo testi che circolavano in quei paesi negli spazi ridotti di libertà culturale concessi dal regime o anche in forma del tutto clandestina e li pubblicavamo, dopo averli tradotti, in una rivisita che si chiamava CSEO (Centro Studi Europa Orientale) [3] . Lì è apparso, nel 1967, un articolo di Karol Wojtyła con il titolo Il Cristiano e la cultura. [4] Molti di noi andavano ogni anno in pellegrinaggio a Jasna Góra ed eravamo molto amici del movimento Luce e Vita del Padre Blachnicki. Sapevamo che il nuovo Papa era amico dei movimenti e ci sembrava quindi che fosse venuto il momento di iniziare una riflessione sistematica e critica su di essi.


Creare una fraternità fra i movimenti

Il primo problema era avvicinare i movimenti fra loro e convincerli della opportunità e necessità di instaurare un rapporto di fraternità fra di loro e di iniziare una riflessione comune. Questo è meno facile di quello che può sembrare a prima vista. I movimenti sono avvenimenti di grazia affidati nelle fragili mani di uomini ed hanno una naturale tendenza alla autoreferenzialità. Nascono in una società largamente secolarizzata ed abitano una incerta linea di confine fra la fede e l’incredulità. Lo Spirito di Dio ravviva la testimonianza cristiana di un uomo, attorno a lui si raccolgono alcuni amici che vogliono vivere come lui, che vogliono imparare a vivere da lui. Si struttura un po’ per volta una amicizia. Il Fondatore diventa punto di riferimento e guida per una piccola comunità che poi si espande. Alcuni, o anche molti, di quelli che lo seguono non hanno un chiaro radicamento cristiano, non hanno mai frequentato una parrocchia o erano indifferenti o non credenti. Altri hanno trovato nella comunità anche una compensazione per vite danneggiate, per contesti familiari difficili che ne hanno ostacolato la piena maturazione umana. Altri ancora sono gli elementi più ferventi e più attivi di una comunità parrocchiale attratti da una testimonianza più radicale. L’incontro con il Movimento cambia le vite di queste persone, genera una nuova trama di rapporti umani ed un nuovo senso di appartenenza. Dà la sensazione di un nuovo inizio. In effetti i movimenti sembrano replicare il modello della Chiesa delle origini. È l’avvenimento dell’origine che si ripropone.
Tutto questo è certamente un dono di grazia, un avvenimento dello
Spirito ma non è senza problemi.
I Movimenti tendono però ad assolutizzare la loro esperienza ed a guardare con sospetto il resto della Chiesa, compresi gli altri movimenti. Se il Movimento è la Chiesa delle origini, il nuovo Israele, la Chiesa “ufficiale”, “gerarchica” tende ad essere vista come il “vecchio Israele”, una realtà dalla quale differenziarsi piuttosto che una realtà con la quale riconoscersi. Con eguale diffidenza si guarda agli altri movimenti: se sono veri credenti perché non vengono con noi? Quali patenti o latenti eresie li separano da noi?
Il primo lavoro di don Massimo fu allora quello di intessere una rete di contatti amicali per convincere i diversi movimenti che l’altro non era il deviante, il concorrente o il nemico e che l’unico Spirito chiamava tutti, attraverso percorsi diversi, a convergere nell’unica casa del Padre. Alcune volte fu facile, altre meno, cominciando dalla parola stessa Movimento, che ad alcuni non piaceva. I Neocatecumenali, per esempio, volevano chiamarsi Cammino. Il primo passo del dialogo era il riconoscimento della grandezza del dono dello Spirito che avveniva in ciascun Movimento (o Cammino). Solo a partire da lì era possibile aprire poi il Movimento al dialogo con gli altri. Come diceva spesso don Giussani un errore o un limite in una esperienza si corregge solo a partire dal positivo che essa contiene.


Movimenti e le Parrocchie

Un secondo scoglio era il rapporto fra Movimenti e Parrocchie. I parroci erano (salvo rare eccezioni) arrabbiati con i Movimenti accusati di costruire comunità chiuse alternative alla comunità parrocchiale e di “rubare” alle parrocchie i giovani migliori, più entusiasta ed attivi, sottraendoli all’impegno nella comunità parrocchiale che si concretizzava allora soprattutto nei gruppi di Azione Cattolica. I Movimenti rigettavano queste accuse. Dicevano che i loro giovani in parrocchia non c’erano mai andati o se c’erano andati se ne erano staccati all’inizio della adolescenza ed erano tornati alla pratica religiosa solo attraverso l’esperienza del Movimento. In realtà c’erano torti e ragioni da tutte e due le parti. Io sono cresciuto in un ambiente quasi interamente laico e secolarizzato. In una parrocchia praticamente non avevo mai messo piede. Io (e tanti come me) sentivamo come una inaccettabile prepotenza la pretesa dei parroci di rivendicarci quasi come una loro proprietà. Sentivamo di appartenere, per libera scelta, al Movimento e solo al Movimento. Io stesso però ho rubato alla Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo di Roma la perla del loro gruppo di Azione Cattolica, la ragazza più intelligente e più impegnata (e più carina) che poi ho anche sposato. Al parroco don Faustino Ossanna, di venerata memoria, è servita tutta la sua infinita bontà per perdonarmi. Più seria era l’altra accusa di costruire una chiesa nella Chiesa. Noi dicevamo che dopo l’invenzione dell’automobile (e del telefono e di internet…) l’ambiente di vita dei giovani non è più definito dal territorio, dalla prossimità del luogo di abitazione (parrocchia significa para oikias, vicino alle case) ma lascia ampio spazio a comunità elettive sparse sul territorio. Le persone che esercitano una influenza decisiva sulla vita di un giovane spesso non vivono nella prossimità fisica della sua casa. Le nuove generazioni diventano spiritualmente nomadi ed hanno bisogno, in un certo sensori una Chiesa nomade. Questo è vero, però è anche vero che i giovani poi si sposano, si insediano sul territorio ed allora tornano in parrocchia. Fra pastorale nomade e pastorale stanziale c’è una tensione ma ci deve essere anche una cooperazione ed un dialogo.


Carisma ed Istituzione

Il problema più grave era però ancora un altro. Per i Movimenti decisiva era la funzione del fondatore, che era spesso un sacerdote o un consacrato ma poteva anche essere un semplice laico. Il legame fra gli aderenti al Movimento e la Chiesa passava fondamentalmente attraverso il Fondatore. Il Fondatore realizza la presenza di Cristo in mezzo a noi oggi e questo è il fascino che converte. L’avvenimento di Cristo si ripete nel presente. Lo dicevano già i discepoli di S. Francesco che dicevano che Francesco era un alter Christus. Tutto questo è meraviglioso ma può anche essere blasfemo perché l’avvenimento di Cristo è unico ed irripetibile. C’è un solo Cristo che è vissuto in Palestina circa 2.000 anni fa. Questo non impedisce che l’avvenimento si ripresenti qui ed ora. Ontologicamente l’avvenimento originario si ripresenta ogni giorno qui ed ora nel sacrificio della messa. Il ripresentarsi nella esperienza del Movimento ha evidentemente caratteristiche diverse. L’avvenimento non si ripresenta qui ontologicamente ma esistenzialmente. Cosa garantisce però che il Cristo che mi si rende prossimo attraverso la persona del Fondatore sia lo stesso Cristo che è morto e risorto per me? Cosa garantisce che non sia un Cristo mutilato e ridotto, un Cristo sulla misura della mentalità dominante oggi o delle mie preferenze soggettive? L’unica cosa che può dare questa garanzia è il legame con l’autorità della Chiesa nella forma della successione apostolica. Questo legame ha due forme: la corretta celebrazione dell’Eucarestia ed il riconoscimento reale della autorità del vescovo successore degli apostoli. Il vescovo non è l’origine del carisma. Il carisma si presenta lì dove lo Spirito vuole, sconvolge i piani pastorali meglio architettati e fatica ad inserirsi nella pastorale ordinaria della diocesi. Ci vuole molta umiltà da parte di un vescovo per ascoltare il carisma dello Spirito che soffia nei Movimenti. Occorre anche molta umiltà nei Movimenti per accettare realmente e fattivamente l’autorità del vescovo.


Una appropriata collocazione canonica

Un altro problema collegato con quello del rapporto fra carisma ed istituzione è quello della appropriata collocazione canonica dei Movimenti. La prima collocazione che viene in mente e quella che sembra essere più semplice e ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Dilexit Ecclesiam
  3. Indice dei contenuti
  4. Nota dell’Editore
  5. Davvero dilexit Ecclesiam
  6. PRIMA PARTE
  7. Gli anni “romani”*
  8. «Ministri di una Nuova Alleanza» (2 Cor 3,6)
  9. Un ricordo molto caro*
  10. Amore e dedizione alla Chiesa
  11. Il mondo ha sete di Dio
  12. Un senso ecclesiale compiuto
  13. Passione evangelica e sensus Ecclesiae
  14. «Amore immoderato per Cristo»
  15. Maestro di vita cristiana, cioè di fedeltà a Cristo nella Chiesa
  16. È più importante la scoperta di essere amati, che la capacità di amare
  17. La Conferenza di Aparecida e il Magistero di Papa Francesco
  18. «Quando vedo te vedo speranza»
  19. SECONDA PARTE
  20. Non si imponeva, piuttosto: c’era
  21. “Uno di noi”. Camminando verso Emmaus…
  22. Parole che toccano il cuore
  23. Chiamati alla comunione con Cristo
  24. Qualità e verità della relazione umana
  25. Al suo fianco
  26. Sulle ali certe del silenzio
  27. Dall’amicizia alla contemplazione
  28. «Tornare alla contemplazione di ciò che è originario»
  29. Memoria e augurio della trappa di Vitorchiano
  30. TERZA PARTE
  31. Ragione, Segno e Mistero
  32. In dialogo con don Massimo
  33. Il filo rosso della paternità
  34. L’inizio di una teologia dei movimenti e la parabola del Movimento Popolare
  35. Una amicizia continua*
  36. Dentro una storia d’amore
  37. Quel ragazzo col maglione nero…
  38. Fede e ragione: la ragione come testimonianza di Cristo in Vladimir Solov’ëv
  39. Rinascita - Nella verità dell’amore*
  40. Fare il vescovo in tempi non cristiani.
  41. Raggi di Paternità: ontologia mariana del sacerdozio
  42. Amicitia quaedam
  43. Agostino contro i filosofi. Noi senza Agostino
  44. Democrazia oggi: il caso italiano*
  45. Individuo e Soggetto. Elementi per una riflessione sull’identità umana
  46. Una luce accesa
  47. Ricordi, presente e futuro in un’esperienza condivisa
  48. Appartenere nella libertà
  49. La salvaguardia del fuoco, non la conservazione delle ceneri
  50. QUARTA PARTE
  51. Prima di tutto, un mio amico
  52. Il bambino che guardava le rovine
  53. L’amico geniale, fedele nel poco e nel tanto
  54. Le parole e i silenzi
  55. L’errare di una ricerca…
  56. Il Lago che ci tiene uniti e ci affratella
  57. Un “compagno di viaggio” di tre anni
  58. QUINTA PARTE
  59. La fiaba di Massimo...
  60. Il suo “esserci” caldo e vibrante
  61. Un’amicizia definitiva
  62. Parlare alla testa e al cuore dei fedeli
  63. Il vescovo di tutti
  64. In ogni creatura c’è il segno della Fraternitas
  65. L’arte di vedere ciò che gli altri non vedono
  66. Non passava inosservato
  67. Quella voce che mi metteva calma...
  68. «Per ogni uomo e per ogni donna»
  69. Pacatezza, discrezione e misura
  70. Niente di ciò che è dell’uomo gli è estraneo
  71. Fonte di edificazione
  72. Monsignor Camisasca e le vittorie di quel grande Milan
  73. Una grazia ricevuta
  74. Un padre per tante famiglie
  75. «Dillo al tuo abate ed egli ti guarirà in nome di Dio»
  76. Negli altri c’è Cristo
  77. La promessa che saremmo stati felici
  78. La lucidità delle sue analisi lungimiranti
  79. La luce dell’infanzia
  80. E la rosa che i naviganti...
  81. Attratto dalla sua serenità
  82. La cura dei rapporti personali
  83. È solo una tappa…
  84. La fedeltà di un’amicizia
  85. Vidi una grande luce
  86. Sarebbe bello poter cantare per te
  87. APPENDICE
  88. Le tante vite di mio fratello
  89. Il tesoro della successione apostolica