1.
Alla luce del titolo di questo studio, ogni termine che lo compone merita una specifica analisi, su cui ovviamente non possiamo trattenerci in questa sede, dove invece, caratterizzando il tema in oggetto alla luce della fede cristiana (“responsabilità politica del cristiano”), ci soffermiamo su alcuni aspetti prioritari per una corretta presentazione dell’argomento, che valorizzi e perfezioni la ragione umana [1] . L’angolo visuale di riferimento, a livello metodologico, intende concentrarsi su due rischi che vanno sempre smascherati ed evitati quando si affronta adeguatamente la materia: né separazione, né confusione tra religione e politica [2] . È possibile fronteggiare i riduzionismi che da essi scaturiscono, come la tradizione morale e la stessa esperienza storica ci insegnano, sviluppando un genuino e disinteressato amore per la persona umana e per quel principio e architrave indissolubile e ineliminabile che più ne caratterizza l’esistenza, vale a dire, il bene comune [3] , in quanto bene di ciascuno (integralmente inteso in tutta la molteplicità delle sue componenti costitutive) e di tutti (nessuno escluso e ciascuno da comprendere nella sua verità fondamentale a partire da ciò che ne qualifica più propriamente l’esistenza, vale a dire, la dignità personale, irriducibile ad ogni altro elemento, perché di natura trascendente) [4] .
2.
Il cristiano predilige per sua vocazione tutte le attività di salvezza, cioè, quelle dirette a tutelare, garantire, promuovere e sviluppare il valore originario e originante, unico e irripetibile, di tutta la persona [5] , di tutte le persone (specie dei più poveri, deboli e vulnerabili) [6] , fino a comprendere tutto l’universo creato, rendendo così il tutto esistente segno tangibile e immagine rappresentabile di ciò che è (e può essere) significativamente “umano”, e la politica è una di queste attività [7] , non solo, ma «è la forma più alta di carità» [8] . Ma, bisogna rendersi conto che l’attività politica ha una molteplicità di forme e di gradi di incarnazione e di svolgimento e che alcuni di questi sono legittimamente percorribili da una comunità ecclesiale che – con pertinenza di vocazione e missione – vuole lasciarsi interrogare criticamente in modo da essere realmente una presenza profetica e propositiva nella convivenza pubblica, senza che però ciò significhi necessariamente un coinvolgimento pieno nella vita politica in senso partitico [9] .
In tal modo, un’opera di formazione delle coscienze personali e di gruppo ai cardini (in primo luogo, ai princìpi e valori e più in generale a tutti i criteri) [10] che ispirano e conducono la vita socio-politica, orientata in senso cristiano, così come essi sono difesi, promossi e articolati dalla Dottrina sociale della Chiesa, appartiene alla finalità intrinseca e costitutiva della comunità ecclesiale [11] . Infatti, si tratta – nel loro nucleo basilare – di elementi primariamente antropologici ed etici, riguardanti il bene umano nella sua interezza di significato e nella sua completezza di dimensioni e di relazioni e, pertanto, da illuminare e sviscerare alla luce della spiegazione e finalità ultima che ne rischiara l’orizzonte, vale a dire, della vita soprannaturale [12] . Per questo, negare o indebolire velatamente o con forza l’assunto che la politica possa giovarsi dell’apporto d’ispirazione, motivazione e orientamento cristiano significa ritenere che quest’ultimo messaggio non riguardi tutto l’uomo e tutto il bene degli uomini in tutta la sua ampiezza e complessità [13] e, di conseguenza, sostenendo simili convinzioni, si arriva a sostenere che la politica non riguarda (globalmente e specificamente) i fini e i criteri etici che alimentano e mantengono viva e abitabile decentemente la città dell’uomo e l’intero pianeta [14] .
3.
Rispetto a tutto ciò, al contrario, contro l’impoverimento generalizzato rappresentato dalle ideologie dominanti – quelle contemporanee e quelle che si perpetuano nel tempo, qualsiasi sia la loro natura, individualista o comunque relativista, indifferentista o di parte – è vitale ribadire con coraggio che il messaggio della fede cristiana, come enucleato all’interno di quel patrimonio antico e costantemente rinnovato rappresentato dalla Dottrina sociale della Chiesa, ha una valenza sempre significativa per la vita buona di ciascuno e del tutto esistente, così che – insieme a tutti – ciascuno si senta portatore e costruttore di un «tipo di progresso, più sano, più umano, più sociale e più integrale» ( Ls, n. 112) [15] . Questo è possibile dal momento che, nell’ottica perseguita dall’intelligenza credente sul reale, «Lo sviluppo umano integrale sul piano naturale, risposta a una vocazione di Dio creatore, domanda il proprio inveramento in un “umanesimo trascendente, che ... conferisce [all’uomo] la sua più grande pienezza: questa è la finalità suprema dello sviluppo personale”. La vocazione cristiana a tale sviluppo riguarda dunque sia il piano naturale sia quello soprannaturale; motivo per cui, “quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il ‘bene’ comincia a svanire”» ( Cv, n. 18).
La fede cristiana, per sua insita natura, mostra la sua serietà scientifica quando si interessa del vivere umano e di tutto ciò che contribuisce a rendere qualitativamente, intensamente, più umano, perciò, “buono”, il vivere di ognuno e di tutta la casa comune [16] . Infatti, anche qualora il dato di fede non diventi opzione preferenziale accolta, interiorizzata e testimoniata da parte di chi non riflette e valuta secondo questa prassi sapienziale [17] , esso – dalla modalità con cui dispiega il suo intimo apporto nella costruzione vissuta della «vera civiltà: la civiltà dell’amore» [18] – si rivela straordinariamente fecondo nell’innervare e attualizzare il significato, le pratiche ragionevoli e le condizioni operative di vita piena, come racchiuse e sviscerate dal caposaldo interpretativo, teoretico e applicato, del bene comune. Siamo consapevoli, infatti, che il vero – quando è tale – contiene sempre un appello al bene e il bene – quando è vero – non può esserlo solo per uno o per qualcuno, ma per tutta l’umanità, ed estensivamente e concretamente per tutta la realtà [19] .
4.
Per esplicitare questo connubio prezioso per la vita buona di ogni ambito del reale, esaminiamo di seguito il rapporto tra questi due ambiti conoscitivi (fede cristiana e bene comune), nello specifico, riprendiamo e approfondiamo quanto è messo in risalto in uno degli ultimi contributi magisteriali sulla questione, l’Enciclica Lumen fidei di papa Francesco, che ha precisato con tenacia l’apporto del Cristianesimo nell’illuminare tutto il mondo materiale e la realtà «in tutta la sua ricchezza inesauribile» ( Lf, n. 34) [20] . L’analisi può essere svolta a due livelli.
Su un piano più generale, e valevole per ogni ambito e contesto, indebolita la luce della ragione autonoma e credendo che la fede sia una illusione che impedisce il cammino dell’uomo, «tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male, la strada che porta alla mèta da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza direzione» ( Lf, n. 3). Se a ciò poi aggiungiamo il fatto che per la crisi e l’oblìo in cui versa oggi la ricerca e la promozione della verità, si guarda con sospetto la «verità grande, la verità che spiega l’insieme della vita personale e sociale» ( Lf, n. 25), si relativizza e perde di interesse «la domanda sulla verità di tutto» ( Lf, n. 25). In un contesto simile, per il suo legame imprescindibile con l’amore (ci riferiamo principalmente all’Amore di Dio che configura e struttura in modo nuovo ogni realtà), la fede cristiana offre un grande servizio al bene comune (cfr. Lf, n. 26).
Chiarificatore di questo sostanziale e fondativo contributo che la luce della fede, nutrita dall’A/amore, può recare, anche all’attività socio-politica e a tutto ciò che si riferisce al contesto personale e comunitario dell’esistenza, è il testo seguente:
La verità oggi è ridotta spesso ad autenticità soggettiva del singolo, valida solo per la vita individuale. Una verità comune ci fa paura, perché la identifichiamo con l’imposizione intransigente dei totalitarismi. Se però la verità è la verità dell’amore, se è la verità che si schiude nell’incontro personale con l’Altro e con gli altri, allora resta liberata dalla chiusura nel singolo e può fare parte del bene comune. Essendo la verità di un amore, non è verità che s’imponga con la violenza, non è verità che schiaccia il singolo. Nascendo dall’amore può arrivare al cuore, al centro personale di ogni uomo. Risulta chiaro così che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti ( Lf, n. 34).
La potenza dell’A/amore che anima la consapevolezza della fede cristiana emerge, tra gli altri, anche in altri passaggi, ad esempio, laddove si afferma:
Oggi può sembrare realizzabile un’unione degli uomini in un impegno comune, nel volersi bene, nel condividere una stessa sorte, in una meta comune. Ma ci risulta molto difficile concepire un’unità nella stessa verità. Ci sembra che un’unione del genere si opponga alla libertà del pensiero e all’autonomia del soggetto. L’esperienza dell’amore ci dice invece che proprio nell’amore è possibile avere una visione comune, che in esso impariamo a vedere la realtà con gli occhi dell’altro, e che ciò non ci impoverisce, ma arricchisce il nostro sguardo. L’amore vero, a misura dell’amore divino, esige la verità e nello sguardo comune della verità, che è Gesù Cristo, diventa saldo e profondo. Questa è anche la gioia della fede, l’unità di visione in un solo corpo e in un solo spirito ( Lf, n. 47).
Ad un secondo livello, più precipuo e appropriato tematicamente al binomio “fede cristiana e bene comune”, sono dedicati due numeri nel quarto capitolo del testo magisteriale a cui ci stiamo riferendo in questa parte della trattazione (cfr. Lf, nn. 50-57). Già nel titolo del capitolo («Dio prepara per loro una città – cfr Eb 11,16») si sottolinea un approfondimento di un aspetto enucleato nell’ultima Enciclica di papa Benedetto XVI, la Caritas in veritate, nella parte in cui si attesta:
Quando la carità lo anima, l’impegno per il bene comune ha una valenza superiore a quella dell’impegno soltanto secolare e politico. Come ogni impegno per la giustizia, esso s’inscrive in quella testimonianza della carità divina che, operando nel tempo, prepara l’eterno. L’azione dell’uomo sulla terra, quando è ispirata e sostenuta dalla carità, contribuisce all’edificazione di quella universale città di Dio verso cui avanza la storia della famiglia umana. In una società in via di globalizzazione, il bene comune e l’impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell’intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni, così da dare forma di unità e di pace alla città dell’uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio ( Cv, n. 7).
Nel senso evidenziato, la città di Dio e la città dell’uomo (nel testo benedettino, di chiara matrice agostiniana), sono indissolubilmente congiunte, dal momento che lo Spirito del Vangelo permea la vita di ogni uomo «ed esorta i cristiani, cittadini dell’una e dell’altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni» ( Gs, n. 43). L’obiettivo terminale, espresso chiaramente, è quello di favorire «l’animazione del mondo con lo spirito cristiano» ed «essere testimoni di Cristo in ogni circostanza e anche in mezzo alla comunità umana» ( Gs, n. 43). In questo modo, è ribadita la doverosità di tenere assieme il riferimento al qui ed ora, l’oggi – che la fede cristiana invita e obbliga a vivere secondo la vocazione di ciascuno (cfr. 2 Ts 3,6-13; Ef 4,28) – e tutto ciò che vale per l’eternità, l’ eschaton, l’infinito e le realtà ultime. Non solo, ma è proprio questo sguardo decisivo, consapevolmente assunto, che, da un lato, favorisce la nostra partecipazio...