BABBO NATALE E I NUOVI MODELLI DI BUSINESS
(… e cosa c’entra Babbo Natale con la Videoevoluzione?!)
Una cosa è certa la Videoevoluzione è in atto. Basti pensare al numero di canali che già sono fruibili nelle nostre case sia tramite il digitale terrestre che il satellite. Si è passati in poco tempo da averne si e no una decina, ad addirittura centinaia. Ma soprattutto a questi, che certo non segnano, se non nel numero, una vera rivoluzione, si aggiungono una marea di filmati che troviamo, lecitamente o meno, sul Web. Infatti in rete non ci sono più solo i filmini amatoriali di qualche ragazzata ripresa col telefonino, ma anche partite di calcio in diretta o le prime visioni del proprio telefilm preferito ad una qualità che non ha nulla da invidiare a quella dello standard televisivo. Si sono fatti largo siti come Zattoo (www.zattoo.com/it/about-zattoo/what-is-zattoo) che ritrasmette canali televisivi classici o Coolstreaming (www.coolstreaming.us) che ne permette addirittura di registrarne il flusso come fosse un videoregistratore, o PPStream (www.ppstream.com) che trasmette film e serie complete in primissima visione. Certo, in alcuni casi per trovarli e poterci accedere bisogna essere un po’ smanettoni e disinvolti col computer (e con le regole!), ma il segnale comunque è chiaro: la nuova fonte di contenuti video è internet che si candida nel ruolo di distributore.
Al momento in Europa la percezione che questo stia accadendo è ancora limitata perché c’è un freno a mano tirato, quello delle società di telecomunicazione che stanno cercando di controllare il più possibile l’accesso al Web in modo da creare un imbuto per loro proficuo. Tradotto significa costi da far pagare all’utente ogni volta che si connette o che scarica materiale (e di conseguenza un più lento sviluppo). Nelle Americhe invece questa empasse è già superata e l’accesso alla rete è facilitato: praticamente ci si collega ovunque e soprattutto molto spesso gratuitamente. Oltreoceano, il nuovo ruolo del Web come distributore di contenuti video è dato per assodato e si è passati oltre: ricercare un modello di business che sappia creare utili e mettere ordine, cosa indispensabile visto che la fruizione di video on-line sembra solo capace di danneggiare i vecchi modelli economici senza dare però alternative di guadagno per il futuro. Parliamoci chiaro, internet è percepito come l’esaltazione della pirateria, dove tutto si trova gratis, aggirando semplicemente gli ostacoli. Per questo molti lo temono e lo combattono perché si sentono danneggiati. Tra questi gli stessi produttori che pagano per realizzare quei contenuti video che internet divulga senza il rispetto di nessun copyright e che vedono così ridursi i loro guadagni. Ma il meccanismo oramai si è innestato ed è impossibile arrestarlo. C’è da fare una scelta: o rimanere legati fallimentarmente a vecchi modelli imprenditoriali che portano solo a vedere internet come un nemico o reimpostare tutto trovando un nuovo baricentro del mercato.
Fino a ieri si aveva una sola fonte di approvvigionamento di questi contenuti video, ovvero i broadcaster: il prodotto veniva realizzato, quindi trasmesso e il numero di telespettatori “convertito in ricavi” grazie agli inserzionisti pubblicitari. Tutti soddisfatti. Oggi però si è aperta una falla e per assurdo, come abbiamo visto, è stato il telespettatore stesso, ovvero la società di cui facciamo parte, a provocare il cambiamento mutando le sue abitudini e chiedendo il soddisfacimento di nuovi bisogni. Per questo è impensabile che l’unica via di uscita sia combattere il mezzo che al momento sembra poterli soddisfare. Soluzione? Allearsi con la rete e incominciare ad interpretare le sue regole e scriverne di nuove (Attenzione. È doverosa una specifica per seguire meglio il ragionamento: parlare di internet non significa necessariamente riferirsi al computer). Noi siamo abituati così perché fino ad ora abbiamo usato internet solo tramite l’utilizzo di un pc, ma nel nostro ragionamento sono da considerarsi due elementi distinti. Sì perché il punto sta qui: il computer non è così comodo da “guardare”. Un conto è la mobilità, ovvero la possibilità di vedere i video quando e dove uno vuole, come per esempio quando uno è in viaggio in treno o addirittura in sala d’aspetto dal dentista, si apre il pc e si “intrattiene”. Un conto invece è rilassarsi grazie ad una visione passiva, quella che tanto ci piace della vecchia e cara Tv, spaparanzati sul divano, magari in più di una persona. L’ambiguità di fondo che ci si trascina da quasi 15 anni sta proprio nel fatto di pensare il Webcasting come fruibile esclusivamente tramite il computer. Tant’è che quando negli Stati Uniti alla fine degli anni ‘90 ci furono i primi esempi di Tv via internet, confrontandola con la Tv tradizionale, il principale distinguo avveniva sul campo della fruizione identificando due modi opposti: il couchviewing e il deskviewing. Si diceva che in attesa della convergenza di televisione, computer e telefono in un unico artefatto, la Tv tradizionale si sarebbe continuata a vedere “dal divano” (couchviewing), mentre il Webcasting avrebbe visto i suoi fruitori seduti alla scrivania (deskviewing). Per la Tv tradizionale quindi si sarebbe riservata una situazione di visione passiva alla ricerca dello svago, un momento di rilassatezza; mentre nella Tv via internet sarebbe stato inevitabile presumere una situazione di visione attiva, particolarmente scomoda, caratterizzata da un alto grado di intenzionalità da parte dell’utente. A parte il valore aggiunto dell’intenzionalità che, come vedremo, commercialmente parlando, ha il suo peso, la Tv via internet certo non avrebbe avuto davanti a sé un grande futuro se questi fossero stati i veri presupposti. Ma ad oggi il deskviewing può essere già solo un ricordo. Sony e Samsung hanno messo in commercio nuovi modelli di televisori attrezzati per interagire con internet, gli SmartTv. C’è addirittura una società che si chiama Vizio, meno nota al grande pubblico, che è stata tra le prime a dotare i suoi televisori di centralina wi-fi (ovvero dai loro apparecchi esce solo il filo dell’alimentazione il resto viene trasmesso per onde radio). Per rendersi conto che tutto questo non è fantascienza, basti pensare che indagini di mercato danno la presenza di internet negli apparecchi televisivi in circa 90 milioni di televisori nel mondo già nel 2013. Ovvero la conquista del 40% del mercato da qui a 2 anni. Chissà quanti leggendo questo alzeranno le spalle come per dire “non ne ho bisogno, io mi tengo il mio vecchio e caro televisore che funziona benissimo.” Allora mi diverte citare Patrick Barry quando, ancora senior executive di Yahoo, disse: “appena 5 anni fa la gente sosteneva di non voler la posta elettronica sul cellulare. Ora sui telefonini vengono scambiati interi file”.
Tolto il sintonizzatore, l’apparecchio Tv rinasce e vive forse il momento più entusiasmante dal giorno della sua nascita: alta definizione, schermi led, 3d e internet appunto. Il sintonizzatore legava infatti l’apparecchio Tv alla vecchia televisione tradizionale e quindi ai broadcaster, ovvero all’antenna. Così facendo il televisore invece torna ad essere monitor e quindi di “tutti” pronto a rimanere davanti al divano per offrire una piacevole visione passiva di contenuti video ricevuti non più solo in un unico modo. Per farsi un’idea: il 2010 è stato l’anno in cui sono stati venduti in Italia più televisori a partire dal 1956, anno di inizio di trasmissione della Rai. Addirittura l’80% in più rispetto al 1977 quando è stato introdotto il colore nel nostro Paese. Si parla di poco meno di 7 milioni di apparecchi venduti. Certo questo grazie all’introduzione del digitale terrestre, ma ciò non toglie che con lui nelle case degli italiani siano entrati apparecchi più “intelligenti” e predisposti per utilizzi ancora sconosciuti alla massa. Insomma una grande occasione per velocizzare lo sviluppo.
Ecco allora chiarirsi la lista degli “ingredienti” che abbiamo a disposizione per pensare la nuova televisione:
- Prima di tutto abbiamo dei contenuti video da distribuire che ora possono avvalersi anche delle dinamiche di interattività offerte dalla rete
- Abbiamo un pubblico che chiede di essere “seguito” andando alla sua velocità senza dargli obblighi. Ma allo stesso tempo di farlo sentire partecipe. Un pubblico intenzionale più attento nel consumo
- C’è da mettere in lista anche il bisogno delle aziende che per tornare ad investire cercano un modo moderno ed adeguato di comunicare
- E poi, “scomparso il sintonizzatore”, abbiamo a disposizione internet come dinamica piattaforma di distribuzione pronta a soddisfare il bisogno di libertà dai vincoli temporali
- In fine ritorna con prepotenza il televisore, in quanto elettrodomestico, nella sua più evoluta dimensione pronto a soddisfare i valori di famigliarità e soprattutto il bisogno di comodità di una fruizione che possa essere anche passiva.
Ovviamente, come impone il nostro approccio, è la lista che si può stilare fino a qui “ascoltando” l’oggi, ma nulla vieta che venga ritoccata strada facendo. A questo punto manca solo determinare con quale meccanismo far muovere il tutto. Ecco le domande chiave:
- quale contenuto trasmettere?
- Il contenuto deve essere distribuito in maniere gratuita o a che prezzo?
- quale modello di advertising applicare?
- Bisogna proporre un’offerta compensativa o alternativa a quella tradizionale?
(non certo domande da poco?!)
La Tv – leggi, tutti i suoi dirigenti - per decidere verso che strada andare deve capire prima come “poter far soldi”. È detta male, ma rende l’idea. Finchè non sarà il denaro a indicare la strada potremo assistere solo ad esperimenti poco convinti, o goffi tentativi a pioggia su vari modelli, ma nulla di certo (e di serio). Allora vediamo quattro modi possibili per “far cassa”: tra qualche vecchia rimembranza e moderni sprizzi di creatività.
ED È ANCORA “RECLAME”: LE FORME CLASSICHE DI ADVERTISING
Il primo modello di business che si è provato ad impostare è quello classico della pubblicità. Il contenuto video (film, telefilm, news …) viene fornito all’utente gratuitamente e a pagarne le spese sono gli inserzionisti con la loro pubblicità. Infatti tutte le spese societarie e produttive vengono coperte da questi introiti proprio come accade nella televisione tradizionale. Ma in questo caso la parola d’ordine è targeting (per chi alla lettura fosse poco pratico del mestiere, è una parola di cui ci si riempie la bocca molto spesso per giustificare “numeri piccoli”, ma molto “targettizzati” appunto. Il target è l’obiettivo, quindi in poche parole significa puntare ad un pubblico selezionato secondo gli interessi del cliente). Il vero valore aggiunto della nuova televisione. Cosa cambia da prima? Vi chiederete voi, sempre di uno spot che interrompe la visione si tratta. Nella sostanza è vero, per il consumatore non cambia nulla, ma mettiamoci per un attimo nei panni dell’azienda. Prima su una serie di dati di marketing e di profilazione veniva scelto a priori il “giusto” canale televisivo su cui trasmettere e la trasmissione “giusta”. Infine ci si affidava poi all’esito dei dati Auditel. L’azienda sapeva infatti in seguito alla messa in onda del proprio commercial di 30 secondi che questo era stato visto, diciamo per esempio, da 5 milioni di telespettatori. Addirittura a questo numero seguiva anche una definizione di chi erano queste 5 milioni di teste: quanti anni avevano, più o meno. Da che zona del territorio seguivano, più o meno … il livello di studio, di classe sociale … tutto più o meno. Questo più o meno, con la nuova televisione tende a cadere e si passa al “uno ad uno”. Ovvero i metodi di rilevazione sono talmente più precisi che ottimizzandoli si può quasi arrivare a sapere chi è ogni singolo utente. Da questo è facile dedurre qual è il cambiamento: la nuova televisione dà alle aziende la possibilità di concentrare i propri sforzi comunicativi su gruppi, magari al momento più ristretti, ma senz’altro più significativi di persone. Con la digitalizzazione ed il Web cambia infatti l’approccio al problema che diventa quasi di tipo algoritmico. Perché il mezzo cambia, ma le domande a cui si deve rispondere sono sempre le stesse: quale tipologia di cliente deve essere colpita col messaggio? Come costruire su misura questo messaggio? Come raggiungerli? E soprattutto come misurare il suo effetto alla fine della campagna pubblicitaria?
In pratica questa forma di pubblicità consiste in filmati di massimo 15/30 secondi, i classici spot, collocati in apertura o chiusura del filmato, chiamati pre o post-roll, o all’interno dello stesso suddividendolo in blocchi, ovvero gli in-program. A volte al posto del pre-roll viene utilizzato il branded slate, un video più semplice con una durata molto inferiore con la dicitura “questo programma è offerto da”.
Molto spesso queste comunicazioni pubblicitarie non viaggiano da sole. Esistono dei piccoli stratagemmi che aiutano a rafforzare il messaggio e che spesso offrono un link ai siti Web delle aziende inserzioniste. Sì, perché non dimentichiamo che la nuova televisione, quando guardata dal computer, vive totalmente nel mondo internet e quindi per questo ha un grado di interattività massimo rispetto all’offerta del momento. In questo caso il contenuto video si presenta quasi sempre come un monitor all’interno di una pagine che offre anche altri testi ed altre immagini. La comunicazione pubblicitaria quindi esce dal video e crea alleanze con ciò che ha attorno, creando appunto un meccanismo di rafforzamento del messaggio. La cosa più semplice che si può trovare sono i companion banner, ovvero delle immagini di dimensioni varie, ma non eccessive, posizionate a lato del visore. Generalmente riproducono graficamente il messaggio da comunicare con tanto di logo dell’azienda e link al proprio sito internet in linea con le campagne stampa o di affissione in atto. Altrimenti ci si affida ai logo bug. Questi sono posizionati invece all’interno del visore in sovrimpressione all’immagine trasmessa, proprio come fosse il logo della rete che lo trasmette, e si tratta normalmente del solo logo dell’azienda o prodotto pubblicizzato. Una piccola evoluzione dinamica del logo bug è dell’overlay, ovvero una grafica che appare in sovrimpressione, generalmente nella fascia bassa dello schermo, che riproduce il logo del prodotto e un messaggio a volte linkato ad una pagina internet. Fino ad arrivare ad una vera e propria vestizione del video: i branded canvas. Tutta la pagina in cui è collocato il visore viene graficamente ridisegnata nei colori e nelle immagini seguendo lo stile dell’azienda inserzionista. Le scelte qui possono essere varie. Muovendosi da un estremo all’altro della scala dell’invasività si va dall’utilizzo dei soli colori sociali abbinati ad una rivisitazione del logo, fino a veri e propri cartelli pubblicitari con tanto di interazione al passaggio del mouse.
Oltre ad avere un utente ben targettizzato, cosa c’è di meglio che averlo anche “attivo e consapevole della scelta”?! Ecco che in alcuni casi più evoluti il semplice pre-roll diventa uno spot non imposto dall’azienda inserzionista, ma selezionato dall’utente. Viene chiamato Ad-Selector: dopo aver selezionato il video da vedere, l’utente si trova di fronte ad un’altra scelta. Gli appare una pagina sovrascritta al video stesso personalizzata con messaggi e loghi dell’azienda inserzionista. Normalmente è una comunicazione che propone una gamma di 2 o 3 prodotti realizzati dalla stessa compagnia. Faccio un esempio: si può trattare di una casa automobilistica che lanciando la linea sportback delle sue auto invita l’utente a selezionare uno tra tre diversi spot ciascuno riferito ad un modello diverso. Si presume che così l’utente, agendo una scelta consapevole, selezioni un messaggio con un grado di interesse maggiore rispetto a quello che avrebbe potuto avere un filmato imposto. Qualche cosa di simile è il branded entertainmen selectors, una sistema che permette all’utente di controllare tutta la sua “esperienza pubblicitaria” durante la visione del video. Questo sistema dà all’utente la possibilità di scegliere di vedere un cortometraggio promozionale dell’azienda inserzionista superiore ai classici 30 secondi in cambio però poi di avere tutto il contenuto video prescelto libero da inserzioni pubblicitarie. Dalle prime applicazioni la formula del cortometraggio sembra piacere molto agli utenti che la preferiscono all’interruzione regolare con i classici spot (Per la serie via il dente, via il dolore!Sembra pensare il pubblico). Conti alla mano, questo genere di fruizioni permette all’utente oltretutto di vedere solo il 25% del tempo dei messaggi promozionali che vedrebbe se il contenuto video prescelto fosse veicolato nel modo tradizionale.
Modalità che per la prima volta interconnettono i produttori con i consumatori permettendogli di conoscersi a vicenda. Una tecnica del web molto usata in questo senso è quella del tracking. Si tratta di un sistema che, partendo dai dati forniti dal computer mentre naviga indipendentemente dalla volontà del suo proprietario, permette di differenziare i messaggi in svariati modi, primo tra tutti su base geografica, arrivando ad una personalizzazione molto efficace. Infatti la prima cosa che si scopre del computer in navigazione è da dove si è connesso, ma non solo. Il tracking permette di analizzare le navigazioni precedenti, quindi prima tra tutti i siti visitati e le scelte effettuate dal suo proprietario, e stilare così una lista di cose “preferite”. Se da neofiti la cosa vi sembra inquietantemente impossibile fate una semplice verifica: digitate l’indirizzo di una compagnia aerea straniera e guardate cosa accade. Normalmente è un indirizzo.com preceduto dal nome della compagnia, ma una volta caricata la pagina vi trovate che il sito parla in italiano. Sappiate che se lo stesso indirizzo l’aveste composto dalla Francia il sito avrebbe parlato francese, dalla Spagna spagnolo, e così via. Questo è ciò che il tracking permette di fare: adattarsi alle vostre necessità e priorità fino ad arrivare a calibrare l’offerta sulla base degli interessi di ogni singolo utente.
Quanto raccontato finora riguarda la nuova televisione in chiave lineare, ovvero quella con la quale è possibile vedere i filmati solamente se si rimane connessi alla fonte di distribuzione del segnale. Ovvero il primordiale concetto di Webcasting. Questo modello di business infatti è molto deficitario se il filmato che ci interessa lo si scarica per vederlo in un secondo momento. Si incorre infatti nel problema dell’ Adv skipping (ovvero del saltare a piè pari la pubblicità) o dell’inevitabile perdita d’attualità del messaggio. Nessuno infatti può garantire all’azienda inserzionista che l’utente guardi il video nei tempi necessari per cui il messaggio pubblicitario contenuto sia ancora valido (“3.000 euro di eco incentivi … ma solo fino al 31 luglio” peccato che magari il filmato dopo essere stato scaricato sia stato visto a settembre!!!!) o che, nel caso dell’ Adv skipping, non “schiacci avanti” saltando bellamente lo spot, un po’ come accadeva un tempo quando registravamo con i videoregistratori Vhs i programmi Tv che non volevamo perdere. Ovviamente per non abbandonare questo semplice, quanto rassicurante e da sempre redditizio, modello di business si sono tentate varie soluzioni tra cui quella molto rigida del broadcast flag, un sistema che obbligava la visione dell’Adv e impediva di fare “zapping”. Una scelta non ben accolta dalle associazioni dei consumatori che ne hanno ottenuto la sospensione dell’utilizzo. Molte società di software sono infatti ora allo studio di soluzioni che mettano d’accordo su questo difficile tavolo di trattative un po’ tutti: produttori, investitori ed utenti. È il caso di tenere d’occhio infatti società come Yume, Skyrder, Mediadefender che stanno lavorando proprio su questo progetto. Chi lo azzeccherà probabilmente avrà in mano la gallina dalle uova d’oro.
Nel frattempo però questa carenza è di stimolo alla creatività. Dovendo abbandonare le vie sicure dell’ Adv classico, si perlustrano strade fino ad ora non praticate: quelle dell’inserimento dinamico della pubblicità o la sperimentazione del brand generated content.
IL BRANDED ENTERTAINMENT: LE AZIENDE COME EDITORI DI SE STESSE
La pubblicità, come siamo abituati a conoscerla, è pensata come una semplice interruzione del flusso video principale che lascia spazio ad una serie di messaggi, correlati per logica di target, per poi riprendere dal punto lasciato in sospeso. Questa struttura dell’offerta pubblicitaria in alcune modalità della nuova televisione, tra cui l’on-demand e comunque la visione off-line, viene completamente depotenziata. Infatti proponendola come “interruzione”, la pubblicità diventa irrilevante per i...