PANORAMA
LO SCENARIO
I secoli che vanno dal XI al XIII vedono una trasformazione profonda del concetto di Chiesa universale e di Impero universale, così come si erano configurati all’inizio del periodo, dalla loro lenta progressione parallela dei secoli precedenti alla sintesi della Renovatio imperii, la restaurazione dell’Impero romano, investito dalla missione universalistica del cristianesimo, di cui furono protagonisti l’imperatore Ottone III, che nel 999 trasferì la sua corte a Roma, e il papa Silvestro II, insediato sul trono di Pietro da Ottone stesso.
Si trattava di un ordine bicipite (imperatore e papa), ma che confluiva in quella respublica gentium christianarum in cui i confini territoriali delle due entità sostanzialmente coincidevano, anche se ognuna di esse aveva in teoria leggi e istituzioni diverse. In realtà esisteva una sola società cristiana, in cui tutto era compenetrato, nella quale anche il potere economico e amministrativo veniva espletato in un unico intreccio di laici, che si occupavano della gestione del patrimonio religioso, ed ecclesiastici, che gestivano quello laico.
In aggiunta, tutto ciò che aveva a che fare con il pensiero, la cultura, l’arte, la scienza, era gestito dalla Chiesa. Ha scritto lo storico novecentesco dell’arte e della società Arnold Hauser: «La Chiesa dell’Alto Medioevo, plenipotenziaria e mandataria della classe dominante in tutti i problemi spirituali, soffocò in germe ogni dubbio sull’assoluta validità dei comandamenti e dei precetti che scaturivano dall’idea che questo mondo è voluto da Dio e garantivano l’ordine esistente. La cultura, in cui ogni aspetto dell’esistenza era in diretto rapporto con la fede e le verità soteriologiche, era caratterizzata dalla dipendenza di tutta la vita spirituale – dell’arte e della scienza, del pensiero e della volontà – dall’autorità della Chiesa». Proseguendo:
“LA CONCEZIONE METAFISICA E RELIGIOSA DEL MONDO, IN CUI OGNI COSA TERRENA È IN DIRETTO RAPPORTO CON L’ULTRATERRENO […] È UTILIZZATA DALLA CHIESA PER CONFERIRE VALIDITÀ ASSOLUTA ALLA TEOCRAZIA GERARCHICA CHE SI ATTUA NEL SACERDOZIO SACRAMENTALE.1”
Ma a questo «monopolio» sullo spirito, sulla morale e sul significato delle azioni umane corrispondeva sempre meno un potere sulle cose terrene, cioè sull’Impero. E non solo a livello verticistico (papa e imperatore), ma anche sulle realtà locali. La posizione politica dei papi si indeboliva progressivamente, soffocata dalle faide delle famiglie aristocratiche laziali in seno alle quali si eleggevano i vicari di Cristo; il pontificato era diventato un premio per le fazioni vittoriose e gli stessi papi erano orditori o vittime di complotti e cospirazioni. In aggiunta, i signori locali dominavano chiese e monasteri, nominavano i vescovi e riscuotevano le imposte delle istituzioni ecclesiastiche.
A tutto ciò si oppose il movimento di riforma che prese il via dai monasteri franchi e germanici, e in particolar modo dall’Abbazia di Cluny in Borgogna. Fu un movimento di intransigente rinnovamento spirituale e morale verso un clero troppo mondanizzato, e rivolto a stabilire un’altrettanto intransigente autonomia del mondo ecclesiale e dei suoi possedimenti da intromissioni laiche. Come scriveva il medievista Cinzio Violante, l’imperatore Enrico III, il quale nel 1046 depose i tre pontefici che si disputavano il trono di Pietro facendo eleggere il suo candidato, Clemente II,
“FU L’ULTIMO IMPERATORE CHE […] POTÉ DIFENDERE INCONTRASTATO UN IDEALE DI COLLABORAZIONE PERFETTA TRA REGNUM E SACERDOTIUM, FONDATO SULLA SOSTANZIALE FUSIONE DI QUESTE DUE REALTÀ NELLA PERSONA DELL’IMPERATORE.2”
Già nel 1059 il papa Nicola II, con il sinodo Lateranense, fece terminare le interferenze della nobiltà germanica e degli imperatori nell’elezione del papa, attribuendo il diritto di nomina dei pontefici ai soli cardinali. Svaniva così per sempre il sogno della Renovatio imperii: la societas christiana quale emanazione dell’Impero romano cristianizzato si tramutò in emanazione della sola Chiesa di Roma.
Nel 1075, infine, arrivò la “riforma tombale” con il Dictatus papae di Gregorio VII, basato sulle famose ventisette proposizioni (vedi capitolo Pagine Scelte). Gregorio VII partì dal presupposto secondo cui la società umana è parte dell’ordine universale divino, governato dalle leggi divine, per stabilire che il papa – e non altri – ha il compito di istituire una societas christiana sulla Terra. A essa devono sottomettersi re e imperatori, i poteri dei quali, in quanto ricevuti da Dio, vanno asserviti ai fini della Cristianità. E poiché, in quest’ottica, un sovrano che disobbedisce al papa disobbedisce in realtà a Dio, il pontefice ha il diritto di rimuoverlo dalla sua carica. La secchezza delle 27 proposizioni, ha osservato lo storico Glauco Maria Cantarella, le rende inequivocabili: «il papa è la figura centrale e dominante della Chiesa, può prendere ogni decisione in campo istituzionale e revocare tutte quelle dei suoi predecessori; il papa è sanctus se è stato eletto seguendo le procedure canoniche; di più, a lui solo spetta usare le insegne imperiali».3
Ebbe così inizio il periodo noto come “lotta per le investiture”, caratterizzato inizialmente dall’asperrima contesa tra Gregorio VII e l’imperatore Enrico IV, con scomuniche e deposizioni dell’uno nei confronti dell’altro.
Quella del Pontefice rappresentò infatti un’iniziativa che per Cantarella si configurò come una vera e propria rivoluzione storica:
“LO RIPETIAMO: FU UNA RIVOLUZIONE. NATA NON DA UN PROGETTO UNITARIO E COERENTE MA, SEMMAI, DALL’ORGANIZZAZIONE DI ELEMENTI DI CULTURA, DI NORMATIVA E (IN SENSO LATO) DI IDEOLOGIA CHE PREESISTEVANO AI PAPI DELL’XI SECOLO E CHE ERANO LEGATI ALL’ESSERE STESSO DELLA CHIESA DI ROMA.”
Proseguendo: «[Una rivoluzione] nata da una certo non prevedibile evoluzione delle situazioni politiche: dal 1075 fino al 1122 (anno in cui un compromesso siglato a Worms pose fine al conflitto) il papa e l’imperatore si fronteggiano. Si badi: ogni papa e ogni imperatore. La storia della riforma romana vive delle contingenze politiche e delle svolte che esse fanno operare all’azione così come all’elaborazione teorica: ma, con tutte le differenti sfumature ed accentuazioni, sono la figura del papa e quella dell’imperatore (vale a dire il potere e il carisma dell’uno e dell’altro) che si fronteggiano in una lotta mortale senza esclusione di colpi e senza possibilità di ritirate: cedere avrebbe significato, per l’uno e per l’altro, la perdita totale di tutto quello che era stato conquistato e preparato in secoli di storia. Perché la lotta (per la quale né l’uno né l’altro erano pronti: tutti e due dovettero forgiare le armi teoriche nel corso di essa) coinvolgeva la base stessa del potere: la dimensione e l’estensione dell’autorità. Iniziava la teorizzazione. Il papa ed il sovrano».4
E in effetti la contesa tra Impero e Papato fu la prima nel suo genere fin dall’antichità: una “guerra di parole” tra i protagonisti e i loro seguaci – come è stato scritto – senza precedenti. Il conflitto ebbe apparentemente fine con il Concordato di Worms, stipulato nel 1122 tra il papa Callisto II e l’imperatore Enrico V, con il quale si stabilivano nuove norme per le investiture ecclesiastiche, ma sancendo nei fatti l’autonomia del Papato dall’Imperatore. Non solo: fu riconosciuta ai vescovi una duplice funzione, spirituale, in seno alla Chiesa e ai fedeli, e materiale quali proprietari terrieri.