PANORAMA
LO SCENARIO
Lo “stupor mundi”, come era chiamato Federico II, fu senza dubbio uno dei protagonisti più complessi e difficili da etichettare (il che tutto sommato è un bene) di tutto il Medioevo. La tendenza di alcuni studiosi a riassumere un personaggio in pochi tratti, incasellandolo in brevi definizioni, in questo caso è destinata a naufragare, o perlomeno a suscitare lunghe polemiche. E per quanto riguarda l’imperatore svevo la schiera degli estimatori e dei detrattori non è solo cosa di oggi, ma ebbe origine già durante la sua epoca.
D’altra parte, la sua indocilità, la sua autonomia di pensiero in ogni campo, compreso quello religioso, il suo comportamento conflittuale con il Papato (che gli costò due scomuniche) e molto più amichevole con l’Islam, il suo scarso entusiasmo nei confronti delle crociate – all’epoca dovere imprescindibile di ogni sovrano cristiano – nonché la posizione geopolitica del suo Regno siciliano, ganascia di una possibile morsa tra il Nord e il Sud dell’Italia che racchiudeva il Patrimonio di Pietro cioè i territori papali, nonché propaggine meridionale, protesa nel Mediterraneo, di un Impero che mai si era spinto così a sud, lo rendevano un sovrano scomodo, potenzialmente molto pericoloso sotto diversi punti di vista.
Da qui i più contrastanti giudizi sulla sua figura. Ha scritto il medievista tedesco-italiano Hubert Houben, dell’Università del Salento:
“I SUOI SEGUACI LO CELEBRAVANO COME IL PRINCIPE DELLA PACE E L’IMPERATORE-MESSIA. I SUOI ANTAGONISTI, INVECE, LO CONDANNAVANO COME UN EPICUREO, UN ATEO CHE NON CREDEVA ALLA RISURREZIONE E AL GIUDIZIO DIVINO, COME UN TIRANNO, UN «MARTELLO DI DIO» SIMILE AD ATTILA O NERONE, O PERSINO COME L’INCARNAZIONE DELL’ANTICRISTO.”
Così prosegue Houben: «Anche tra gli storici moderni i giudizi sul personaggio e sulla sua politica sono contrastanti. Da una parte gli ammiratori come Jacob Burckhardt [lo storico svizzero dell’Ottocento che separò nettamente il Medioevo, considerandolo oscurantista, dal Rinascimento visto invece come l’apogeo del rinnovamento umano] che lo ritenne “il primo uomo moderno sul trono”; Friedrich Nietzsche che ammirò in Federico II il grande spirito libero, l’ateo, il genio, il “super-uomo”; Franz Kampers [storico tedesco dell’Otto-Novecento] che lo ritenne “battistrada del Rinascimento” […]»; dall’altra «alcuni storici di lingua inglese. L’americano Thomas Van Cleve che pubblicò nel 1972 una biografia di Federico II lo ritenne un “immutator mundi”, quindi uno che non ha cambiato nulla, un conservatore insomma. Simile è il giudizio di uno storico di Cambridge, David Abulafia, che […] lo ritenne un “normale” imperatore medievale, […] “un conservatore incallito”, un uomo che guardò più indietro che in avanti, orientando la sua politica sostanzialmente al modello dei suoi nonni, cioè di Federico I Barbarossa e di Ruggero II di Sicilia».1
A ogni modo, tra gli aspetti incontestabili dell’opera di Federico II c’è il ruolo chiave, geopolitico, istituzionale e culturale che volle dare alla Sicilia e in generale all’Italia meridionale. Ricordiamo che con l’avvento dei Normanni prima, e degli Svevi poi, la Sicilia – così come l’Italia meridionale – ebbe per la prima volta da tempo immemorabile un re insediato sul suo territorio: dall’VIII secolo l’isola era stata dominata dagli Arabi, e il Meridione peninsulare aveva visto succedersi Longobardi e Bizantini.
Consapevole delle potenzialità della regione, che poteva contare su una fiorente agricoltura e una posizione strategica nel Mediterraneo, Federico decise di consolidare le istituzioni del Regno: limitò il potere dell’aristocrazia, affermò un controllo stretto sulle città e istituì una complessa struttura burocratica, non disgiunta da una politica di tassazione particolarmente rapace. Fu il primo sovrano cattolico a cambiare l’antico sistema feudale di tributi in natura e servizi in una tassazione diretta, trasformando la colletta, un’imposta diretta introdotta dai Normanni come tributo straordinario, in una imposta ordinaria e determinata in base al patrimonio fondiario.
Con le Costituzioni di Melfi dette al suo regno un nuovo insieme legislativo, di stampo bizantino e, sotto il profilo del diritto, derivato dal Codex iuris civilis di Giustiniano, che superava la concezione feudale dello Stato a favore di un governo centralizzato ed efficiente. Il potere imperiale veniva, così, affrancato da quello ecclesiastico, come pure da quello delle baronie locali, e ritornava alla persona stessa dell’imperatore. Gli ebrei e i musulmani ebbero protezione da parte del re medesimo (che però poteva esercitare il controllo su di essi, come nel caso dell’enclave islamica di Lucera), quindi con una sostanziale libertà di culto.
Si trattò, comunque, di una visione che possiamo definire quasi antitetica a quella che proprio suo nonno, Federico I Barbarossa, aveva messo in atto offrendo una larga autonomia ai Comuni in Italia e favorendo una sorta di federalismo nel Regno di Germania. Da qui, altri giudizi contrastanti sulla “modernità” delle riforme istituzionali del giovane imperatore svevo.
Per formare adeguatamente i propri funzionari, nel 1224 Federico II fondò lo studium generale di Napoli, prima università della Penisola sorta per iniziativa di un sovrano e non quale aggregazione spontanea di studenti e insegnanti, come per esempio era avvenuto a Bologna. Vi si insegnavano diritto civile e canonico, grammatica, scienze naturali, filosofia e teologia, senza intromissioni da parte della Chiesa. Lo studium di Salerno divenne invece l’ateneo ufficiale di medicina del Regno, dato che in base alle Costituzioni di Melfi poteva praticare la medicina – per la prima volta nella storia – solo chi avesse ottenuto la Licentia medendi e praticandi dopo cinque anni di studio in questa scuola. La corte federiciana di Palermo divenne un importante centro di cultura, luogo d’incontro di intellettuali latini, greci, islamici ed ebrei, dove circolavano le prime traduzioni dei commenti degli studiosi arabi ad Aristotele.
Ma l’aspetto chiave del governo di Federico II, e anche quello che gli avrebbe attirato – ancora oggi – le critiche più violente, risiede nell’atteggiamento che ebbe nei confronti dell’Islam.
L’imperatore strinse un rapporto amichevole con il sultano ayyubide del Cairo, al-Kamil, nipote di Saladino, con cui concluse un accordo in base al quale Gerusalemme, sia pure smilitarizzata, fu restituita ai cristiani per dieci anni. Con altri principi islamici di Egitto e Spagna intessé strette relazioni diplomatiche. Al contrario, si mostrò riluttante a intraprendere la nuova crociata che papa Gregorio IX aveva indetto (anche allo scopo di tenerlo lontano dallo scenario italiano). L’intento di Federico era in realtà quello di evitare uno scontro diretto con il sultano al-Kamil e con gli altri principi islamici, ma anche di impedire un esito prevedibilmente rovinoso dell’impresa, dato il caos che avvolgeva i Regni cristiani d’Oriente. Tanto che la crociata, cronologicamente la sesta, fu incruenta e venne svolta per via diplomatica, con il risultato cui si è accennato in merito a Gerusalemme: questo fu visto come uno scandalo, da parte del Papato e non solo.
In seguito a tutto ciò, Federico fu bersagliato da epiteti quali «eretico», «emiro», «sultano battezzato» che, seppure in forme meno aspre, avrebbero caratterizzato parte della storiografia successiva fino ai giorni nostri.
In realtà, i suoi rapporti con il mondo islamico furono anche diplomatici, ma certamente non di sottomissione. È ...