Cesare e le guerre civili
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Cesare e le guerre civili

Informazioni su questo libro

Condottiero, scrittore e oratore di grande eloquenza, Giulio Cesare fu l'uomo che avrebbe provato a sanare decenni di guerre civili con una dittatura in odore di monarchia. Con lui la Repubblica intraprese un cammino irreversibile verso il suo tramonto, superata da forme ufficiose di governo come i triunvirati. Un sacrificio necessario per la sopravvivenza di Roma, anche se nessuno osò mai dire che la Repubblica non esisteva più. Questo sogno svanì alle Idi di marzo del 44 a.C., almeno finché comparve sulla scena Ottaviano, l'erede designato di Cesare, che, con il nome di Augusto, avrebbe assunto i poteri assoluti fondando un vero e proprio impero, benché camuffato da repubblica.

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Informazioni

Editore
Pelago
Anno
2021
eBook ISBN
9791280714404

PANORAMA

La Morte di Giulio Cesare, olio su tela di Vincenzo Camuccini (1798). Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli.
La Morte di Giulio Cesare, olio su tela di Vincenzo Camuccini (1798). Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli.

LO SCENARIO

In quel tempo (cioè all’epoca di Catone il censore e di Scipione l’Africano, prima metà del II sec. a.C.) «non potentia sed iure res publica administrabatur», lo Stato non veniva governato con il potere personale, ma con il diritto. L’implosione della Roma repubblicana, che segnò nel modo più sanguinoso il I secolo a.C., trova la sua sintesi in queste sette parole scritte nella biografia di Catone da Cornelio Nepote, lo storico coetaneo di Giulio Cesare che visse in prima persona quei decenni. Un secolo cruciale per i destini non solo di Roma, ma dell’intera civiltà occidentale, e dal quale uscì la formula apparentemente “magica” del principato, quello che comunemente chiamiamo impero.
Su questo lungo addio alla Repubblica si contano probabilmente più discussioni e opere di storici (coevi e successivi, fino a oggi) che non sulla caduta finale dell’impero romano, considerato a posteriori lo spartiacque tra Evo Antico e Medio Evo, termine coniato in realtà mille anni dopo, dall’umanista Flavio Biondo, nel 1483.
Svariati storici dell’epoca avevano pochi dubbi: a far crollare la Repubblica fu la cessazione del metus hostilis, espressione entrata nella storiografia come la «paura del nemico», sentimento in grado di mantenere la coesione interna di un popolo che si mobilita in modo unitario per difendere il suo territorio. In realtà questa espressione, e il suo significato, non sono un’invenzione romana, ma greca: lo storico siceliota Diodoro Siculo, anch’egli contemporaneo di Cesare, di Cicerone e di altri protagonisti della fine della Repubblica, ne parla in riferimento a un discorso che il siracusano Teodoro avrebbe rivolto al tiranno della città Dionigi il Vecchio (IV sec. a.C.), accusandolo di perseguire la guerra contro Cartagine al solo scopo di evitare ribellioni interne tra i Siracusani, come spiega la classicista e filologa Ilaria Ramelli nel libro Il pensiero sulla guerra nel mondo antico. Il concetto verrà poi fatto proprio da Catone, da Polibio e da due storici di opposte opinioni politiche, il pompeiano Posidonio e il cesariano Sallustio, il quale ne parla addirittura in tre diverse opere, La guerra giugurtina, la La congiura di Catilina e le Storie, tanto doveva essere affezionato a questa interpretazione. Scriveva Sallustio: «Prima della distruzione di Cartagine, popolo e Senato romano governavano insieme lo Stato in armonia e con moderazione e i cittadini non competevano fra loro per gli onori e per il dominio: il timore dei nemici manteneva il buon governo della città. Ma come sparì quel timore dai loro animi, comparvero naturalmente quei vizi come dissolutezza e superbia, che sono compagni della prosperità». Proseguendo:
Il Mausoleo di Cecilia Metella sull’Appia Antica, costruito tra il 30 e il 10 a.C. Era dedicato a una nobildonna che si ipotizza fosse la nuora di Marco Licinio Crasso, membro del primo triunvirato insieme a Cesare e Pompeo.
Il Mausoleo di Cecilia Metella sull’Appia Antica, costruito tra il 30 e il 10 a.C. Era dedicato a una nobildonna che si ipotizza fosse la nuora di Marco Licinio Crasso, membro del primo triunvirato insieme a Cesare e Pompeo.
Vercingetorige getta le sue armi ai piedi di Cesare, olio su tela di Lionel Royer (1899). Musée Crozatier, Le Puy, Francia.
Vercingetorige getta le sue armi ai piedi di Cesare, olio su tela di Lionel Royer (1899). Musée Crozatier, Le Puy, Francia.
“COSÌ QUELLA PACE CHE AVEVANO BRAMATO NEI MOMENTI DI MAGGIORE TRAVAGLIO, UNA VOLTA CONSEGUITA, SI RIVELÒ ANCORA PIÙ DURA E CRUDELE. INFATTI I NOBILI E IL POPOLO TRASFORMARONO IN ABUSO QUELLI LA LORO DIGNITÀ, QUESTO LA SUA LIBERTÀ E OGNUNO A PROFITTARE, AD ARRAFFARE, A RUBARE PER SÉ. COSÌ TUTTO FU STRAPPATO TRA I DUE PARTITI E LA REPUBBLICA, CHE ERA NEL MEZZO, FU FATTA A PEZZI.1
Naturalmente non può essere questo l’unico fattore che determinò la crisi della Repubblica. Altri elementi, a lungo esaminati dagli storici, segnarono il secolo di guerre civili e di lacerazioni nella città a capo del mondo. In primo luogo, la forma della città-Stato si rivelava sempre più incompatibile con la gestione di domini così estesi e di popolazioni eterogenee; in assenza di un sistema burocratico di governo delle province, la raccolta dei tributi era appaltata a funzionari che vessavano le popolazioni per trarne profitti personali. In più i Romani dovettero affrontare la gestione di un esercito composto per la prima volta da soldati di professione, che andavano pagati con i bottini di guerra. Ebbe un ruolo cruciale anche la crisi agraria, causata dal trasferimento dei contadini nell’esercito, cosicché i terreni, divenuti incolti, furono ceduti a proprietari terrieri che prendevano in affitto anche l’ager publicus, cioè i territori di proprietà dello Stato conquistati ai nemici di una volta, nei quali facevano lavorare milioni di schiavi, a loro volta provenienti dai Paesi sottomessi. Gli ex contadini si riversarono nell’Urbs e nelle altre città alla ricerca di espedienti per sopravvivere o per beneficiare della distribuzione gratuita di viveri. Il risultato fu che Roma si espanse in modo incontrollato, attirando da ogni parte nullafacenti in cerca di fortuna, che non potevano avere certamente quel senso dello Stato proprio di coloro che ne avevano calpestato gli acciottolati decenni prima. Come avrebbe scritto, a metà del I secolo d.C., il filosofo Seneca:
“GUARDA QUESTA FOLLA CHE LE CASE DI UNA CITTÀ IMMENSA RIESCONO A STENTO AD ACCOGLIERE: LA MAGGIOR PARTE DI QUESTA TURBA È PRIVA DI PATRIA. SONO CONFLUITI COSTÌ DAI LORO MUNICIPI, DALLE LORO COLONIE, INSOMMA, DA TUTTO IL MONDO. […] NON C’È RAZZA UMANA CHE NON SIA ACCORSA ALLA CITTÀ CHE DISPONE DI GRANDI RICOMPENSE PER LE VIRTÙ E PER I VIZI.2
I Gracchi, cenotafio in bronzo dei fratelli Tiberio Sempronio Gracco e Gaio Sempronio Gracco, di Jean-Baptiste-Claude-Eugène Guillaume (1853). Musée d’Orsay, Parigi.
I Gracchi, cenotafio in bronzo dei fratelli Tiberio Sempronio Gracco e Gaio Sempronio Gracco, di Jean-Baptiste-Claude-Eugène Guillaume (1853). Musée d’Orsay, Parigi.
Se fino alla metà del II secolo a.C. l’espansione di Roma era stata costruita dal suo popolo attraverso la risolutezza, la semplicità di modi e la volontà di anteporre il bene comune agli interessi individuali, l’afflusso nell’Urbs dei ricchi dalle province depredate e della plebe disposta a tutto per sopravvivere fece sbiadire sempre più queste virtù del passato. Emersero nuove classi sociali di mercanti, di affaristi e di avventurieri. Non mancarono uomini politici che, ispirati dalla volontà di rifondare la Repubblica, come i Gracchi, cercarono di riportare una certa equità sociale con una serie di provvedimenti, opponendosi al Senato, che nel frattempo era degenerato in una oligarchia autoreferenziale che resisteva a ogni riforma per mantenere i propri privilegi.
Gaio Mario, busto del I secolo a.C. Museo Chiaramonti, Città del Vaticano.
Gaio Mario, busto del I secolo a.C. Museo Chiaramonti, Città del Vaticano.
Finché la competizione non si attuò con la violenza. Da qui le guerre civili che insanguinarono la Repubblica nel I secolo a.C. e proseguirono anche oltre l’assassinio di Giulio Cesare, fino all’avvento del principato nel 27 a.C. Qualcosa di strutturale era mancato in questa fase lunga e drammatica di transizione e per il politologo Giorgio Galli è rappresentato dall’assenza di una dottrina politica sulla rappresentanza.
Afferma Galli: «Quando la città diviene un impero, maturano elementi con esperienze embrionali di rappresentanza: i partiti, le campagne elettorali. Ma non si sviluppa una teoria politica che tragga da queste esperienze embrionali una dottrina (in ipotesi: quella della rappresentanza per la formazione di un organo legislativo). Ne consegue, nella fase di organizzazione del sistema politico dello Stato non più città, ma impero, una guerra civile permanente».3
Il politologo cita il grande storico tedesco dell’Ottocento Theodor Mommsen, autore della monumentale Storia di Roma, il quale, dice Galli, «vede i partiti come proiezioni della dinamica socio-economica, espressione di interessi organizzati (l’aristocrazia senatoria, i cavalieri, il proletariato), che danno luogo sin dai giorni del contrasto tra i Gracchi (avanzati) e il Senato (moderato) ai due schieramenti di progressisti e conservatori.
«Essi competono con la violenza, dall’assassinio di Tiberio Gracco sino agli scontri delle legioni: Mario contro Silla, Cicerone contro Catilina, Cesare contro Pompeo, Augusto contro Antonio».
Secondo Galli, l’elemento chiave della transizione armata da Repubblica a impero è:
“L’INTRECCIO TRA MECCANISMO LEGISLATIVO SENZA RAPPRESENTANZA (IL POTERE LEGISLATIVO È SOSTANZIALMENTE DEL POPOLO IN ASSEMBLEA COME NELLE CITTÀ-STATO) E CRISI DELLA REPUBBLICA QUANDO I DUE PARTITI DIVENTANO ORGANIZZAZIONI ARMATE.”
Sottolineando che «il principato (l’Impero) porrà fine alla lotta con la sostituzione del potere monarchico alla democrazia dello stato-città, non più all’altezza di gestire una territorio di grande estensione. Senza rappresentanza, i partiti diventano organizzazioni militari e poi si dissolvono sotto un potere autoritario».4
Il Foro di Cesare, primo tra i Fori imperiali di Roma a essere costruito. Al centro i resti del Tempio di Venere Genitrice, fatto erigere da Cesare e poi ristrutturato in età traianea.
Il For...

Indice dei contenuti

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Il lungo addio armato della Repubblica
  6. PANORAMA
  7. FOCUS
  8. APPROFONDIMENTI
  9. Piano dell'opera