PANORAMA
LO SCENARIO
Secondo una stima dello storico statunitense Rodney Stark, direttore dell’Istituto di studi religiosi della Baylor University, a metà del primo secolo i cristiani nell’Impero romano erano qualche migliaio. Poi crebbero del 40% ogni decennio (un tasso che lo studioso sostiene essere caratteristico degli inizi di ogni nuova religione emergente), fino a diventare una decina di milioni all’epoca di Costantino e dell’Editto di Milano (313) che liberalizzò la religione cristiana nel mondo romano. In meno di tre secoli, il cristianesimo aveva raggiunto circa il 15% della popolazione. Non era una percentuale larghissima, ma evidentemente fu sufficiente a farlo diventare la forza religiosa dominante in termini anche socio-politici, fino a essere consacrato come religione ufficiale di Stato all’epoca di Teodosio I (380).
Da sempre gli studiosi si interrogano sui motivi per i quali una religione orientale monoteista sia diventata dominante nel mondo occidentale politeista; una religione comportamentale e salvifica, che non si occupava solo del rapporto tra divinità e uomo in questo mondo, ma del conforto durante la vita terrena (un aspetto molto diverso dalla protezione degli dei invocata dalla religione romana), del comportamento da tenere con i propri simili e non solo in rapporto con lo Stato, e soprattutto della redenzione nell’esistenza ultraterrena. Tutti concetti che all’epoca erano sostanzialmente sconosciuti.
Non si trattò certamente di una scalata al potere, ma di un itinerario complesso, che andava abbracciando gli aspetti più diversi dell’esistenza e della società, al di là della potenza del suo messaggio religioso, che però da solo non sarebbe stato sufficiente.
Si può dire, in primo luogo, che il cristianesimo introdusse nel mondo, occidentale e non, il concetto di ciò che oggi viene detto welfare, vale a dire il mutuo supporto sociale per i membri della sua comunità. Come sottolineava il filologo e grecista irlandese Eric Dodds,
“LA CHIESA FORNIVA LE ASSICURAZIONI SOCIALI FONDAMENTALI: SI CURAVA DELLE VEDOVE E DEGLI ORFANI, DEI VECCHI, DEI DISOCCUPATI, DEGLI INABILI […] PROVVEDEVA AL SERVIZIO DI INFERMERIA DURANTE LE EPIDEMIE.1”
A ciò si aggiunga il concetto cristiano secondo il quale gli uomini sono tutti uguali senza distinzione di etnia, sesso, stato sociale; cosa che giunse piuttosto inconsueta in una società, come quella dell’Impero, fortemente gerarchizzata, che aveva rafforzato la divisione in classi della popolazione anche rispetto all’epoca repubblicana.
Il ruolo delle donne, come sottolineano molti studiosi, fu anzi decisivo. I pochi dati che oggi abbiamo a disposizione mostrano comunque una percentuale femminile tra i cristiani dell’Impero sensibilmente superiore a quella maschile. Il motivo è semplice: come sottolinea Stark,
“LE DONNE CRISTIANE GODEVANO DAVVERO DI MAGGIOR UGUAGLIANZA CON GLI UOMINI DI QUANTA NE AVESSERO LE CONTROPARTI PAGANE O EBREE […] IL CRISTIANESIMO OFFRIVA LORO UNA VITA ENORMEMENTE SUPERIORE A QUELLA CHE AVREBBERO ALTRIMENTI CONDOTTO.2”
Sappiamo infatti che il cristianesimo, a differenza di altre religioni monoteiste, ha sempre predicato l’uguaglianza tra i due sessi e, in più, la completezza dell’unione matrimoniale. In quest’ambito, un ruolo chiave fu ricoperto dalle vedove; nel mondo romano una vedova che non aveva beni materiali finiva molto in basso nella scala sociale ed era destinata all’indigenza, oppure diveniva vittima dell’usura; e così i suoi figli orfani di padre. Nelle comunità cristiane, invece, le vedove ricevevano sussidi ed erano tolte dalla povertà. Una delle tante testimonianze ci viene da una vera e propria banca istituita dal liberto imperiale cristiano Carpoforo – particolarmente abile negli affari – tra il II e il III secolo per assistere vedove e orfani (lo stesso Plinio il Giovane ricorda che tra i doveri dei cristiani c’era quello di non rifiutare la richiesta di un depositum). Furono così proprio le donne a offrire un contributo importante alla diffusione dei valori cristiani e a favorire le conversioni dei loro mariti e figli (un esempio “alto” è quello della cristiana Monica, madre di Agostino, di padre pagano, inizialmente lontanissimo dall’idea di abbracciare questa religione).
Ad averlo subito intuito fu lo stesso Giuliano, uno degli imperatori più colti e capaci degli ultimi due secoli, nonché non certo amico dei cristiani in quanto, in epoca già post-costantiniana (era peraltro nipote di Costantino), aveva cercato inutilmente di restaurare la religione romana. Disse infatti che l’affermazione dei cristiani doveva attribuirsi «alla loro filantropia nei confronti degli estranei […] alla pretesa austerità nel loro tenore di vita» (Epistola 84).
Inoltre, il cristianesimo perseguì con decisione, fin dall’inizio, la missione di alfabetizzazione di una società in larga parte illetterata, non solo affinché questa potesse leggere la Bibbia, ma anche per fare penetrare e consolidare meglio i suoi valori e i suoi principi.
Quest’ultimo aspetto si sarebbe poi talmente amplificato nel tempo da creare una società, poi anche un’aristocrazia, di matrice cristiana, e parallela a quella che esisteva all’interno delle istituzioni “laiche”. Come afferma il grande storico dell’antichità Arnaldo Momigliano,
“IL FATTO CHE L’ARISTOCRAZIA ABBIA AVUTO UN’IMPORTANZA SEMPRE MAGGIORE NEGLI AFFARI DELLA CHIESA È SOLO UNO DEGLI ASPETTI DI QUELLO CHE È FORSE IL CARATTERE CENTRALE DEL SECOLO IV: L’AFFERMARSI DELLA CHIESA COME ORGANIZZAZIONE IN CONCORRENZA CON LO STATO, CAPACE DI ATTRARRE IN MISURA CRESCENTE LE PERSONE COLTE E INFLUENTI.”
Proseguendo: «Lo Stato, che pure cercava di irreggimentare ogni cosa, non era in grado di sopprimere o di impedire la concorrenza della Chiesa. Ci si poteva sottrarre all’autorità dello Stato abbracciando la carriera ecclesiastica. Chi amava il potere scopriva ben presto la possibilità di trovare maggior potere nella Chiesa che nello Stato. La Chiesa aveva attratto le menti più creative: sant’Ambrogio, san Gerolamo, Ilario di Poitiers, sant’Agostino in Occidente; Atanasio, Giovanni Crisostomo, Gregorio Nazianzeno e Basilio di Cesarea in Oriente. Quasi tutti erano dominatori nati, di una tempra che, se si eccettua lo studioso imperatore Giuliano, era difficile trovare sul trono imperiale. Univano la teologia cristiana alla filosofia pagana, l’abilità mondana nella politica alla fede sicura in valori immortali. Sapevano dire all’uomo colto e all’ignorante come doveva comportarsi e, di conseguenza, riuscivano a trasformare sia l’aspetto esterno sia il più intimo significato dell’esistenza quotidiana per un numero sempre maggiore di persone».3
Tutto ciò non deve però far dimenticare che, a differenza di altre religioni, dell’epoca o successive, il cristianesimo non si oppose al potere costituito dell’Impero. Anzi, fu una religione lealista, che non manifestò mai la volontà di sovvertire le istituzioni del mondo pagano, sostituendovi le proprie. Secondo alcuni studiosi, di questo aspetto erano consapevoli anche gli imperatori, pur...