La rinascita dell'anno Mille
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La rinascita dell'anno Mille

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La rinascita dell'anno Mille

Informazioni su questo libro

Intorno all'anno Mille, o meglio dai due secoli precedenti ai due seguenti, l'Europa visse un periodo di grandi trasformazioni, non solo economiche e produttive, ma anche strutturali, sociali e culturali. Lo sviluppo delle città, la rivoluzione agricola, la nascita di nuove classi come quelle degli artigiani e dei mercanti, il conseguente impulso all'alfabetizzazione, rimescolarono la società; avviarono la formazione di una mentalità moderna, secondo cui l'uomo è artefice del proprio destino. Ripresero gli scambi commerciali e culturali con l'Oriente. Parallelamente, si assisteva alla costituzione delle monarchie feudali e dei sistemi statali. Parte dell'Europa si andava articolando in tre aree linguistico-culturali e territoriali, francese, inglese e germanica (e più lentamente spagnola), nucleo delle future potenze che sarebbero divenute protagoniste della storia di molti secoli a venire.

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Informazioni

Editore
Pelago
Anno
2021
eBook ISBN
9791280714275
Argomento
Storia
FOCUS

GLI EVENTI

Dopo la morte di Ludovico il Pio, erede unico di Carlo Magno, le lotte tra i fratelli Lotario, Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo avevano polarizzato le aristocrazie dell’Impero. Nell’877 Carlo fu costretto a emanare il Capitolare di Quierzy, con il quale sembrava voler concedere diritti ereditari ai detentori di benefici territoriali. In realtà non si tratta di un testo rivoluzionario: se inizialmente il beneficio (in genere un’assegnazione di terre) e l’ufficio feudale erano concessi solo temporaneamente con la possibilità per il re di revocarle, nel tempo si era affermato l’uso di passarle di padre in figlio; il Capitolare, dunque, non faceva altro che mettere per iscritto, a beneficio dell’aristocrazia, un uso consuetudinario. Il problema centrale, difatti, era costituito dallo scarso potere dei governi centrali.
Durante il IX e il X secolo, all’indomani della disgregazione dell’Impero edificato da Carlo Magno, l’alta aristocrazia d’origine carolingia si contendeva quelle corone reali che, in sé e per sé, non fornivano nessun potere se non venivano cinte da chi fosse, con le proprie forze, in grado di esercitarlo.
Per comprendere l’evoluzione delle corone imperiali e reali nello scenario dell’Europa post-carolingia è infatti essenziale distinguere, come già facevano i Romani, fra auctoritas e potestas: cioè tra diritto all’esercizio del potere (auctoritas) ed esercizio del potere in sé e per sé (potestas).
Questo perché in Occidente, anche nei momenti di più forte eclisse del potere pubblico, l’idea che un’autorità sovrana fosse necessaria a legittimare un potere che di per sé si poteva ben esercitare mediante il semplice uso della forza non venne mai meno. I feudatari governavano, almeno sul piano formale, in quanto investiti di pubblici poteri: tuttavia, essi e le loro famiglie si erano semmai appropriati ereditariamente – in mancanza di istituzioni statali in grado di esercitare un controllo su questi problemi – dei pubblici uffici, usandoli praticamente come una proprietà “allodiale” (cioè privata).
Di conseguenza, il titolo di re conferiva una dignità e un’autorità supreme, incontestate in via di principio anche se trascurate nei fatti: e chiunque ambisse a tale titolo sapeva bene che, se dopo averlo conseguito fosse stato in grado di esercitare di fatto tale potere, esso gli sarebbe stato riconosciuto senza riserve. Ecco perché, anche durante il X secolo, i papi continuarono ad attribuire perfino la corona imperiale a una serie di nobili del Regno d’Italia, taluni tutt’altro che potenti e degni. Il fatto è che ai pontefici romani premeva salvaguardare un principio che nell’Impero bizantino (per il quale il papa era soltanto il vescovo di Roma e il patriarca di una delle sedi storicamente fondate dagli apostoli del Cristo) nessuno gli riconosceva, ma che in Occidente dopo Carlo Magno non era stato contestato: che cioè era al papa che spettava incoronare gli imperatori e che – pertanto – in un certo senso era il papa il detentore e il dispensatore “di diritto” della dignità imperiale. Questo legame si approfondì con l’ascesa al potere di Ottone I e la “svolta germanica” dell’istituzione imperiale, che sarebbe rimasta legata a quel contesto.

LE INCURSIONI DI UNGARI, NORMANNI, SARACENI

A partire dai primi anni del IX secolo l’Europa, già impoverita dal contrarsi dei traffici e dal ruralizzarsi della vita, venne fatta segno di continue incursioni di gruppi numericamente non forti, ma in cambio agguerriti e affamati di preda. Tali incursioni provenivano da est (gli Ungari o Magiari, per origine, lingua e cultura affini a Unni, Bulgari e Avari), da nord (i cosiddetti “Normanni”) e da sud (gli “Agareni” o “Saraceni”, cioè Arabo-Berberi dell’Africa settentrionale e di religione musulmana). Gli Ungari comparvero in Europa verso la metà del IX secolo, distruggendo il Regno dei Khazari nella Russia meridionale e attraversando i Carpazi nell’895. All’inizo del X secolo si stabilirono nella Pannonia. Gli Ungari iniziarono subito le loro incursioni a un ritmo quasi annuale verso i Balcani, l’Europa Centrale, la Baviera, la Sassonia e la grande Moravia. Attaccarono la Lorena, la Lombardia e la vallata del Rodano; raggiunsero la Borgogna e il Berry nel 935, Roma nel 937, l’Aquitania nel 951. Nessuna provincia dell’Occidente fu risparmiata, fino a quando Ottone I li sconfisse nel 955, accettarono la conversione e diedero vita a un regno in Pannonia, regione che da loro prenderà il nome di Ungheria.
Tra Jütland e penisola scandinava vivevano popoli germanici caratterizzati da una loro cultura e abituati a navigare tra il Baltico e il mare del Nord: erano Danesi, Svedesi, Norvegesi. Non tutti, beninteso, erano marinai: anzi, si può dire che il nucleo della cultura nordica del tempo fosse piuttosto contadino. Le fonti altomedievali europee li conoscono collettivamente come “Normanni”, cioè semplicemente “uomini del Nord”. Ma oggi sono forse ancor più noti con il termine “Vichinghi”, parola del loro idioma che non indicava tuttavia l’intera gente scandinava, ma soltanto quelli che, abitanti dei nuclei costieri riparati di solito dai profondi fiordi, si davano alla pirateria. In seguito a un miglioramento climatico che aveva in parte sciolto i ghiacci e reso più agevole la navigazione nei mari settentrionali, i Vichinghi giocarono un ruolo importante nel quadrante nord-occidentale dell’Europa.
Furono soprattutto i Danesi a battere, fra IX e X secolo, le coste dell’Inghilterra e del mare del Nord; gli Svedesi si dettero piuttosto al commercio fra mar Baltico e Mar Nero attraverso la rete dei fiumi russi, e il loro apporto di mercanti e di costruttori di centri fortificati lungo le sponde del Volga, del Don e del Dnjestr contribuì in modo determinante a quella che sarebbe stata la civiltà russa, nata appunto dal connubio fra le popolazioni autoctone slave e i nuclei di mercanti-guerrieri svedesi (detti “Variaghi”). I Norvegesi, infine, si dettero alle esplorazioni nell’Oceano Glaciale Artico, raggiungendo fra X e XI secolo Islanda, Groenlandia e forse addirittura le coste del Labrador in America (la cosiddetta “Vinlandia”). Fu il norvegese parlato dai coloni d’Islanda a fornire a queste popolazioni la loro lingua letteraria, il “norreno”: è la lingua dei capolavori della letteratura nordica, redatti tuttavia in epoca successiva, forse addirittura durante il XII-XIII secolo, quando essi, pur essendo già stati cristianizzati, si tramandavano grazie all’arte dei loro “scaldi” (poeti) comunque le gesta e le credenze degli avi (il poema Edda, la cosiddetta “Edda in prosa” ch’è un trattato teorico dello “scaldo” Snorri e dei canti epici denominate Saghe).
L’Occidente venne minacciato soprattutto dalle incursioni dei Danesi. A partire dai primi del IX secolo, le loro leggere ed agili navi senza ponte e a remi, che dal serpente di mare intagliato a prua prendevano il nome di drakkar (“dragoni”) cominciarono a solcare le acque sia dell’Atlantico sia del Mediterraneo, saccheggiando le coste della Francia, dell’Inghilterra, della penisola iberica, dell’Italia, delle isole del Mediterraneo occidentale. Il ritrovamento nel fiordo danese di Roskilde di cinque scafi affondati verso il Mille, ha restituito alcune tipologie: due navi da guerra, due mercantili e una barca per la navigazione di cabotaggio. L’imbarcazione più grande è una nave da guerra lunga ventotto metri che poteva imbarcare cinquanta-sessanta guerrieri e faceva probabilmente parte di quel genere di scafi veloci e leggeri utilizzati per le continue incursioni. L’altra nave da guerra, di una decina di metri più corta, ricorda quelle della flotta del normanno Guglielmo il Conquistatore riprodotte nell’Arazzo di Bayeux. I due mercantili sono più piccoli (al pari di quelli per la navigazione costiera) e di maggiore capienza, vista la necessità di stivarvi le merci.
Pian piano, però, i Normanni passarono dalla razzia all’insediamento. Fu così che nel 910 un gruppo guidato da un capo di nome Rollone (un principe norvegese, che guidava dei Danesi) s’insediò nel Nord della Francia. Essi vi si radicarono e accettarono la sovranità del re di Francia che conferì a Rollone il titolo di “duca” (la parola latina dux aveva ormai assunto il significato di “capo di un gruppo etnico specifico” e quindi principe del territorio da esso insediato); nacque così il ducato di Normandia. In Inghilterra i Danesi riuscirono a imporre la loro egemonia e ad assicurarsi il pagamento di un tributo da parte dei re delle piccole monarchie d’origine anglica o sassone nelle quali l’Isola era divisa; solo nel Wessex il re Alfredo il Grande seppe tener loro testa, come vedremo. L’Europa delle coste mediterranee era a sua volta minacciata, fra IX e X secolo, da qualche razzia normanna (sono restati leggendari gli episodi del saccheggio vichingo di città come Luni e Fiesole).
Gli europei erano abituati a chiamare “Saraceni” o “Agareni” (cioè “figli di Sara”, o “figli di Agar”, con riferimento alla biblica storia di Abramo) tutti i popoli del vicino Oriente e della costa africana settentrionale che, avendo abbracciato l’islam e adottato la lingua e in parte i costumi arabi, sembravano non differenziarsi dagli Arabi veri e propri. Sappiamo che la conquista musulmana di Siria e di Egitto aveva fornito all’islam esperti marinai e aveva dato loro, per contro, una causa nuova per la quale battersi, conquistare, vincere. Siriani ed Egiziani, antiche popolazioni presto cristianizzate, avevano fin dal IV-V secolo aderito al credo monofisita e odiavano il dispotico e rapace governo bizantino che li trattava da eretici e che li opprimeva con ogni sorta di vessazioni (tasse, servizi pubblici obbligatori, deportazioni): per loro, quindi, il passaggio sotto l’islam, che considerava tutti i cristiani, in quanto “popoli del Libro”, dhimmi (“soggetti”/”protetti”) e liberi pertanto di esercitare in forma privata il loro culto, aveva obiettivamente costituito una sorta di liberazione e addirittura di promozione sociale.
Da allora, il controllo del mare era passato da Bisanzio ai vari potentati islamici, che non avevano però un centro politico unico.
Si erano andati costituendo soprattutto sulla costa nordafricana ad ovest della Sirte (cioè in quello che gli Arabi chiamavano al-Maghreb, “l’Occidente”), ma anche su quella spagnola e nelle Baleari vari “emirati” (dall’arabo amir, “principe”, “capo militare”), la principale attività dei quali era la guerra corsara sul mare. Le coste europee e le grandi isole mediterranee furono ripetutamente colpite dalle loro incursioni e in molti casi soggette ai loro insediamenti o addirittura alla loro conquista. Naturalmente, meta preferita dei corsari musulmani sarebbe stata il litorale dell’Impero bizantino, all’epoca molto più fiorente e densamente popolato di quello corrispondente all’ex pars Occidentis dell’Impero: ma esso era abbastanza ben protetto dalla potente flotta imperiale, per cui più facile e comoda per quanto meno ricca preda era l’area del Mediterraneo ad ovest del canale di Sicilia.

L’INCASTELLAMENTO

La situazione dei secoli IX-X dette luogo un po’ dappertutto non solo al crearsi di vuoti di potere, bensì al ridefinirsi di nuovi organismi e al riempirsi quasi “spontaneo” di questi vuoti. In molti luoghi sorsero quasi dal nulla nuovi centri di potere aristocratico, sovente in origine sostenuti dalla pura forza delle loro armi e legittimati in seguito dal fatto stesso che si erano assunti – in mancanza di altri in grado di farlo – l’impegno di difendere gli abitanti di una città o di una regione. Ricordiamo a titolo di esempio due casi entrambi francosettentrionali: a Le Mans, per tutelarsi contro le incursioni normanne, i cittadini avevano obbligato nel IX secolo il loro vescovo, fino ad allora considerato il governatore di fatto della città, a cedere il potere a una banda di avventurieri armati, il capo dei quali, Ruggero, sarebbe divenuto conte del Maine; a Langres fu invece proprio il vescovo che alla fine di quel medesimo secolo prese l’iniziativa di cingere di mura la sua città, e il re non poté che riconoscerlo signore di essa anche sotto il profilo politico.
Allo stesso modo, nell’Italia formalmente inquadrata nel Regno d’origine longobarda e poi carolingia furono spesso i vescovi, in mancanza di rappresentanti del potere pubblico, a riorganizzare la difesa della stessa vita politica ed economica cittadina, circondandosi di armati e progressivamente facendosi coadiuvare da un consiglio costituito dai cittadini più ricchi, stimati e influenti.
Nell’Italia centrosettentrionale, fra Emilia, Lombardia e Toscana, una grande dinastia comitale – i signori di Canossa – ebbe a quanto pare origine altrettanto umile. In questo modo, pian piano – pur attraverso le continue lotte che turbarono il X secolo, caratterizzando i rapporti fra queste nuove aristocrazie insofferenti di qualunque disciplina –, l’Europa si avviò a una rinascita che si sarebbe presentata rapida e fiorente.
L’Europa si andò così riempiendo di “castelli”: vale a dire di insediamenti fortificati, all’interno della cui cinta muraria si trovavano sì la “torre”, il “mastio”, il “cassero”, cioè la dimora del signore locale con i magazzini delle riserve di derrate e di strumenti di lavoro di guerra, ma anche le più modeste abitazioni del personale del suo seguito e dei rustici che al signore erano soggetti. Attorno al castello, si ordinavano le varie unità insediative e produttive gestite da personaggi di vario rango – ora caratterizzati dalla loro funzione di combattenti a cavallo, ora invece da quella di agricoltori – ma tutti legati al “signore del luogo” da un preciso rapporto di dipendenza.
L’“incastellamento” fu quindi la fondamentale caratteristica di organizzazione del territorio tra IX e XI secolo, e interessò – in misure e in tempi diversi, ma sempre all’interno di tale periodo – l’intera Europa Occidentale.
Le varie “castellanie”, cioè la circoscrizione con al centro un castello, erano a loro volta parte di unità giuridiche più vaste che si ordinavano in un sistema di dipendenza gerarchica che almeno in teoria aveva al suo vertice possessori di signoria che erano anche pubblici ufficiali: cioè i vari duchi, marchesi e conti, che dipendevano formalmente e direttamente dal sovrano. D’altra parte tale dipendenza era, almeno oltre un certo titolo, puramente formale: il sistema feudale si fondava su una delega di poteri dal vertice alla base e dal centro alla periferia. Almeno in teoria, nessuno sfuggiva a questi legami; nella pratica, libertà personale e anche libero possesso di beni e terre (“allodio”) potevano sopravvivere.
Tuttavia, data la scarsità e la debolezza dei centri costieri, quindi l’impossibilità di controllare le vie marittime contenendo la minaccia corsara, quella del X secolo era un’Europa continentale, dalle campagne spopolate, dalle grandi estensioni di foreste e di acquitrini paludosi, dove le comunicazioni fluviali e lacustri erano scarse e quelle terrestri quasi impossibili. La causa di tutto ciò era nel fatto che uno dei risultati della polverizzazione postcarolingia dei poteri era stato il rapido destrutturarsi di quel che restava del sistema stradale romano (fenomeno tipico il rovinare dei ponti, che difficilmente si potevano riparare e che si sostituivano di solito con rozzi e insicuri guadi) e la crescita di bande di briganti che s’identificavano di solito con i comitatus, le “masnade” che attorniavano gli esponenti dell’aristocrazia guerriera ormai non più inquadrata nelle istituzioni regie.
In questa situazione, i signori ecclesiastici (vescovi e abati) e laici (i discendenti delle famiglie che mantenevano o che si erano appropiate delle funzioni comitali e i loro vassalli), fortemente radicati nei possessi fondiari che costituivano la base del loro potere economico, attenti al controllo e alla difesa del territorio rispettivamente loro spettante e concretamente sostenuti nell’esercizio del loro potere dalle aristocrazie armate al loro servizio, s’impegnavano dappertutto a ristabilire le basi di una convivenza civile: si migliorò in tal modo gradualmente il tono di vita negli insediamenti urbani e in quelli rurali, si cominciò a restaurare le strade e a riparare i vecchi ponti o a edificarne di nuovi, si costruirono ospizi per i viandanti.
La vita cominciò a circolare nuovamente in Europa, ripresero i commerci, si fondarono nuovi mercati di solito prossimi ai santuari che celebravano periodicamente le feriae dei loro santi protettori (da qui il termine di “fiera”); la mobilità delle genti del tempo, favorita anche da un sostanziale miglioramento climatico e quindi da un incremento demografico, assunse la caratteristica forma del pellegrinaggio, i fini devoti del quale si accompagnavano sovente anche alla ricerca di nuove terre coltivabili dove insediarsi. Il sistema politico-istituzionale nato dall’emergenza e che consentì la rinascita dell’Europa Occidentale è quello che, con un termine entrato tuttavia più tardi nell’uso corrente, noi chiamiamo “feudale”.

IL SISTEMA FEUDALE

Il termine “feudo” deriva da una parola germanica indicante in origine gli animali da allevamento, precipua ricchezza d’un mondo nomade. Ma quando, dopo le grandi emigrazioni del III-VI secolo, i Germani divennero sedentari, tale termine finì con il qualificare genericamente il concetto di “bene”, di “possesso”, di “ricchezza”. Gli storici sono sostanzialmente concordi nel ritenere che l’avvio dell’istituto feudale vada ricercato in quei beni (animali, armi, oggetti preziosi) che i prìncipi germanici dell’età barbarica usavano offrire ai guerrieri del loro seguito, i membri di quello che già Tacito chiamava comitatus.
Con il passaggio dal nomadismo alla sedentarietà, i vari signori (domini secondo la vecchia accezione romana; o s...

Indice dei contenuti

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. La nascita della mentalità moderna
  6. PANORAMA
  7. FOCUS a cura di Marina Montesano
  8. APPROFONDIMENTI
  9. Piano dell'opera